sabato 10 aprile 2010

Short stories: "Luciano's paranoia"

Mi chiamo Luciano Pinardi e i prossimi sono 35. 35 non sono pochi, ma non sono nemmeno quisquilie. E comunque una volta c’era meno casino. L’aria era meno inquinata. I centri commerciali non esistevano. C’era molto più verde. E poi c’era il glam metal. C’erano band con i capelloni. C’erano gli Skid Row, porca miseria. Era tutto un altro vivere. Adesso invece non ho che mia madre che mi tramortisce le meningi dalla mattina alla sera e mio padre che le dà spago. Lavorano in tandem. Entrambi con l’osteoporosi e mille altri acciacchi dell’età. Il loro cruccio principale? Ch’io possa rimanere per l’eternità senza ragazza, un single. Non avendomi mai visto con una donna al mio fianco, non se ne capacitano. Eppure non ti abbiamo fatto così brutto, pare si chiedano. Non sarà mica dell’altra sponda, fa il papi. Oddio, no, non è possibile: all’asilo stava dietro alla Mara, che aveva la frangetta bionda, la bella nipotina del Tarcisio, cugino di tuo cugino di secondo grado, che adesso abita a Desio. Sì, ma sono passati quasi 40 anni, le fa il vecchio. Si pongono sul mio conto mille interrogativi senza tregua. E io comincio a non sopportarli più, anche se ho quasi 35 anni, e vivo ancora con loro, e dovrei aver imparato a sopportarli, perché con la maturità si impara, o meglio, si dovrebbe imparare a sopportare chi comincia a dare segni di squilibrio mentale. Per carità, no che non intendo prendere per i fondelli coloro che mi hanno dato la vita, e che amo infinitamente, ma il fatto è che… davvero… talvolta mi sembrano così ottusi, così tristi, così bigi. Sono ancora lì a credere che un uomo possa essere ritenuto tale solo se prende moglie. Solo se va a vivere sotto un tetto con una che crede di sapere chi è e che dopo sei mesi di convivenza si rende invece conto di non avere mai conosciuto e di non voler mai conoscere. Se non prende moglie è un uomo-sessuale, va avanti il papi. Oppure un alcolizzato. Un paranoico. Un troglodita. I miei non si rendono proprio conto che i tempi sono cambiati. Che oggi va bene qualunque cosa. Anche sposarsi con il proprio pappagallino, se le cose dovessero buttare in una qualche maniera. I tempi sono cambiati, miei cari mamma e papà. Una volta c’era la guerra, oggi non c’è più; oddio, c’è ancora, ma lontano dall’Italia. Un tempo non c’era la televisione, oggi c’è. Un tempo erano quasi tutti analfabeti, oggi parlano e scrivono più o meno tutti bene. Oggi, quindi, uno dovrebbe avere il sacrosanto diritto di non sposarsi, o no? E grazie a Dio non ci si mette anche mia sorella che se ne è andata da casa a 25 anni – ne ha uno in meno di me – e ha già procreato per tre volte con il suo bel maritino romagnolo, conosciuto in un campeggio a Tenerife, professione informatico. Lei se ne sta sulle sue, dice ai miei di non interferire nelle mie faccende, che so il far mio, e che presto o tardi arriverà anche il mio momento. Ha ragione.
35 anni… ma che diamine ho fatto in questi quasi 35 anni? Nulla. Quante ragazze ho avuto in quasi 35 anni? Qualcuna. Però i miei non ne hanno mai vista mezza. Ecco perché mio padre si ostina a pensare ch’io sia dell’altra sponda. Come se ci fosse qualcosa di male a essere dell’altra sponda, peraltro. Insomma: ho sempre preferito gestirmi gli innamoramenti lontano da casa. Senza rendere partecipi i miei delle mie faccende sentimentali. Chiamiamolo pudore, chiamiamola riservatezza, chiamiamolo… Il punto è che io sto bene così. Le cose mi vanno bene così. Io sono sereno così. Perché gli altri, il popolo, il mondo, mi devono rompere le scatole dalla mattina alla sera? Perché non devono rispettare la mia originalità? La mia individualità? Vivo ancora con i miei solo perché non ho un lavoro fisso. Solo perché oggi lavoro in un mollificio e domani chissà. Solo perché non ce l’ho fatta a finire l’università: mi ero iscritto alla facoltà di lettere moderne, ma poi… ho dato solo un paio di esami in un paio di anni. Solo perchè il mio conto in banca urla pietà, e i miei non sono così ricchi – anzi non lo sono per niente – per comprarmi una casa tutta per me. Il destino ha voluto così, ma non me ne dispiaccio. Vivere con i miei vecchi, tutto sommato, è un vantaggio. C’è sempre pronto da mangiare e ci sono sempre i vestiti puliti e profumati.
No, non amo particolarmente bere. E nemmeno fumare, se è per questo. Più di una volta ho provato la marijuana, ma non mi ha dato grandi soddisfazioni. Lo stesso è accaduto con l’hashish.
Il cinema? Ogni tanto vado a vedere qualche film, ma la cosa non mi entusiasma più di tanto. Più che altro è la coda per andare a prendere i biglietti che mi snerva. È questo il problema principale. Il tale che abita sotto di me, anche lui sulla trentina, ma molto più pelato, più di una volta mi è venuto a citofonare per andare con lui al cinema. Anche l’altro giorno. Mi ha detto che è uscito un nuovo film di un nuovo regista. Si intitola "La banda". Parla di un gruppo di palestinesi che fa amicizia con un gruppo di israeliani. Non mi interessa, gli ho detto e lui ci è rimasto malissimo. Ha quindi insistito per un po’, poi, però, non ha potuto far altro che riprendere immalinconito la strada di casa.
La politica poi… Sempre a ripetere le stesse cose. Ma i politici non si rendono conto che sono ridicoli? Non si rendono conto che un qualunque italiano mediamente intelligente non è così pirla da credere alle loro parole? Temo che non se ne rendano conto, sennò non sparerebbero così tante boiate. Durante la campagna elettorale sbocciano così sorrisi da paraplegici, in tv e sui cartelloni della pubblicità, che mi danno la nausea. E mi tocca quindi stare a sentire certe proposte assurde, velleitarie, infantili… I miei? Naturalmente la pensano esattamente all’opposto di me. Per loro la politica e i politici sono il sale della esistenza. Non si può vivere senza i politici, senza gli amministratori, senza un controllo. Chissà, forse hanno ragione loro, ma di che controllo parlano? Di che politica parlano? Chi è il politico per loro?
A questa stregua chiunque potrebbe quindi pensare a me come a una specie di nichilista, uno che non sa bene chi è e cosa fa, e mille altre cose, ma in realtà non è così. Non è affatto così. In realtà c’è una cosa che mi dà grandi emozioni, che mi piace fare e che continuo a fare: è leggere. Ebbene sì: mi piace la lettura. No, non ho detto scrivere, ho detto che mi piace leggere. A volte penso di avere un certo gusto nella lettura. Mi accorgo di ciò dal fatto che difficilmente scelgo i libri riportati nella topten settimanale del Corriere della Sera. Tutti sanno infatti che i libri riportati nella topten settimanale del Corriere della Sera sono libri che valgono poco o nulla perché sono quelli che leggono tutti quelli che di lettura non capiscono un accidenti. I libri che di solito ti trovi subito davanti agli occhi appena entri in una libreria. I libri che vendono anche all’Esselunga di Vimercate non lontano dalle merendine del Buondì che amo ancora mangiare. Personalmente amo le biografie. Amo leggere testi dove qualcuno, famoso o no, racconta qualcosa di un qualcuno sicuramente famoso. Non so se mi sono spiegato. Spesso l’autore dei miei libri è quindi uno sconosciuto, mentre è una celebrità colui di cui va raccontando… D’altra parte ci possono anche essere le cosiddette autobiografie dove, invece, la notorietà dell’autore corrisponde necessariamente a quella del protagonista; ho detto una cosa scontata e scimunita, lo so, tuttavia, essere chiari non è certo un peccato.
Sicché di questi ultimi tempi ho letto almeno tre interessanti biografie: quella del Re Sole, quella della poetessa russa Achamtova e quella di Dean Martin. Mi sono piaciute tutte e tre. Della prima mi hanno affascinato la figura del padre di Luigi il Grande, dal pessimo carattere e dalla cagionevole salute; quella del Richelieu, con il suo assolutismo monarchico e la sua lungimiranza; quella del Mazzarino, un mezzo siciliano e mezzo abruzzese che – succedendo al Richelieu - per vent’anni rimbambì i francesi con il suo genio politico e amministrativo. Infine Anna d’Austria, la mamma del sovrano. Anche lei mi ha galvanizzato, con i suoi amori veri o presunti, la sua innata eleganza, la sua opulenza. E dunque mi fa specie pensare che il libro ha iniziato ad annoiarmi proprio nel momento in cui, in teoria, avrebbe dovuto iniziare a interessarmi, quando cioè è entrato nel merito delle vicende del re. Ho trovato, probabilmente, divertenti la sua infanzia e le sue scorribande da un letto all’altro, ma poi il resto… mi è sembrato così… risaputo.
La biografia dell’Achamatova mi ha intrigato perché la sua storia coincide con uno dei periodi storici che mi esaltano di più: il periodo a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento. Arrivano la teoria della relatività, il cubismo di Picasso, la rivoluzione russa, la prima guerra mondiale. È un periodo così pregno e florido di avvenimenti che oggi mi sembra che non accada più nulla, escludendo l’11 settembre. Ho l’impressione quindi che il genere umano si sia rammollito. L’arte decaduta e così la letteratura… Della biografia della Achamtova mi sono rimasti impressi i primi tempi, quelli della sua giovinezza; con i primi amori, le prime poesie, gli incontri con Block e Modì, le notti brave al Cane Randagio. Poi con lo scoppio della rivoluzione bolscevica il fascino si squaglia, tutto cambia, tutto diviene pericolante, angosciante, grigio e freddo. Non c’è più da mangiare. Block muore, fucilano il marito della poetessa, il figlio Lev Nikolaievic, nato nel ’12, finisce in un campo di prigionia. Finché un giorno anche il suo debole cuore cede: è il 5 marzo del 1966.
Infine mi sono confrontato con il buon vecchio Dean - padre di una moltitudine di figli, marito di una moltitudine di mogli - anche lui, come il Mazzarino, di origine italiana. Il suo vero nome era Dino Crocetti e i suoi venivano dall’Abruzzo. La sua biografia è stata scritta da Nick Tosches. Non è scritta divinamente, ma si sa, in questi casi, non è certo la letteratura a tenerti incollato al libro. Di Dean ho amato soprattutto le beghe che ha avuto con Jerry Lewis, sua celebre spalla, e i retroscena del suo rapporto con Frank Sinatra e Sammy Davis Junior, il cosiddetto Rat Pack, Branco di ratti. In fondo io e Dean siamo amici da lustri. Ero un bambinetto quando vidi per la prima volta "Un dollaro d’onore", film del 1959, in cui canta "My rifle, my pony and me", con di fianco John Wayne.
La mia timidezza? Beh, sì, forse il vero problema dei miei problemi sta proprio in questo. Nella mia timidezza quasi patologica. Sono troppo timido. Mi nascondo dietro a mille scuse, storie, congetture, ma poi, senza tanti giri di parole, l’unica verità è questa: sono troppo timido. Ho sempre fatto fatica a interagire col prossimo. Non che il prossimo mi faccia schifo o paura. Ma il prossimo mi imbarazza. Mi mette in soggezione. Mi impensierisce. E così amo starmene spesso per i fatti miei, magari a leggere. Anche con le ragazze le cose non sono mai andate alla grande per via di questa mia inclinazione caratteriale. Penso per esempio a uno dei miei primi amori, forse il più importante: Linda. Linda mi piaceva in tutto e per tutto, ma poi le cose fra noi non sono andate avanti perché secondo lei non ero abbastanza volitivo. Perché non mi divertivo come gli altri. Perché non ero abbastanza aggressivo sessualmente. Preferisco gli schiaffi alle carezze, diceva. Sicché Linda, ora, sta con un altro. Si è sposata da poco e aspetta un bambino. Pochi giorni fa ci siamo rivisti al supermercato. Aveva un livido sulla guancia destra ma mi ha detto di non essersi mai sentita così bene in vita sua, aggiungendo che mi vedeva molliccio come sempre. Molliccio? Sì, molliccio.
Insomma, eccomi qui, con le mie solite paranoie, a domandarmi perché e percome e per chi sto ancora qui a pensare a tutte ste stronzate. Ormai ho quasi 35 anni, un’età in cui non c’è più tempo per filosofeggiare. Ormai è tempo di agire. E allora agiamo. Stasera ho messo a punto un piano. Da stasera intendo cambiare registro. Stasera voglio rifarmi una vita. Avere quasi 35 anni, può anche significare avere ancora tutta la vita davanti a sé. Ho anch’io quindi il diritto di sognare, di crederci. E allora stasera… stasera… stasera faccio un salto alla Mondadori e vedo se è uscito qualcosa di nuovo. Compro un nuovo libro e poi l’indomani vado a leggerlo su una panchina del parco di villa Borromeo, ad Arcore. So già che - in pieno percorso vita - mi passerà davanti una giovane fanciulla che mi si siederà accanto chiedendomi delucidazioni in merito al testo che ho fra le mani. E fra noi sarà come esserci conosciuti da sempre. Senz’altro andrà a finire così. Mi esorterà quindi a bussare alla porta di qualche casa editrice per lavorare come recensore e correttore di bozze. Dopodichè, sarà mio dovere presentarla ai miei, invitarla a cena dai miei, e… Mi chiamo Luciano Pinardi e i prossimi sono 35. 35 non sono pochi, ma non sono nemmeno quisquilie. E comunque una volta c’era meno casino. L’aria era meno inquinata. I centri commerciali non esistevano. C’era molto più verde. E poi c’era il glam metal. C’erano band con i capelloni. C’erano gli Skid Row, porca miseria.

Nessun commento:

Posta un commento