6.
La Cesira
strabuzzò gli occhi, terribilmente angustiata.
«Cos'hai
detto?».
«C'è scritto
"scusatemi"».
La Cesira
squadrò l'amica senza parole.
«Secondo te cosa
significa?».
«Non lo so e
forse non vorrei nemmeno saperlo».
Il Giannino le
fissò dall'alto col volto stranito, incapace di immaginare quel che potesse
essere accaduto al prete; benché di certo, rifletté con soddisfazione, tutte le
malvagie insinuazioni sulla sua pigrizia avanzate dalla Cesira, si fossero
ormai dimostrate palesemente infondate.
«Che faccio?».
«Dai un'occhiata
alla casa per assicurarti che sia tutto in ordine, anche in giardino, e poi
scendi a mostrarci quel che hai trovato», disse la Maria, in tono un po’
sgarbato.
Il ragazzo
sbuffò e si mise in cerca di eventuali altre tracce che potessero fare luce
sulla sparizione del prete; ma non trovò nulla di strano.
Corse dabbasso e
sottopose la missiva alle due compaesane, che esaminarono il reperto con grande
attenzione, maneggiandolo con la delicatezza riservata normalmente agli oggetti
più preziosi e delicati.
«C'è proprio
scritto così», mugugnò affranta, la Maria, «"scusatemi", ma cosa
starà a significare?».
«Mah, a meno
che…».
«Stai
scherzando?».
«Stai pensando
anche tu a quel che sto pensando io?».
«Perché, a cosa
state pensando?», chiese il Giannino, rompendo il loro idilliaco botta e
risposta, rammaricandosi del fatto di non essere ancora riuscito a elaborare
una valida tesi che potesse giustificare il misterioso destino del pievano.
«Lascia stare»,
disse la Cesira, «non corriamo troppo. Questo messaggio può voler dire mille
cose. Ma non pensiamo subito al peggio».
«Povero don
Filippo…», blaterò il giovane, tormentato dai dubbi.
Passò la Ilma
Casiraghi, parente alla lontana del sindaco Raimondo Boffalora, che si stupì
nel vedere quel terzetto improvvisato e furtivo alle spalle della casa di don
Filippo; diede, dunque, sfogo alla sua proverbiale curiosità, facendosi avanti
con una battuta scontata, ma ideale per farsi spazio nella conversazione.
«Si lavora sodo
stamattina, eh».
Le due donne dondolarono
la testa e le fecero cenno di avvicinarsi:
«Ilma, don
Filippo è scomparso».
La donna sorrise
di gusto, credendo che le stessero tirando qualche stupido giochetto per
divertirsi e arrivare a sera con piglio irriverente.
«Cosa?».
«Scomparso. Guarda
cosa abbiamo trovato».
La donna lesse il
biglietto e cambiò subito espressione:
«Che vuol
dire?».
«E' il biglietto
che ho recuperato dalla scrivania di don Filippo», disse il Giannino.
«Oddio»,
tartagliò la Ilma, «non posso credere che…».
«Neanche noi»,
fece la Cesira, intuendo quel che intendesse insinuare l'amica, con l'aria
sempre più scombuiata, «tuttavia questo messaggio potrebbe essere fin troppo
eloquente».
«Oh, Santa Maria
Vergine», esclamò la nuova arrivata, «e adesso che si fa?».
«Dobbiamo comunicarlo
agli uomini, al più presto», disse la Cesira, «sarà il caso di provare a
cercarlo, prima che sia troppo tardi. Da qualche parte sarà pur andato».
«Ma adesso tutti
gli uomini sono al lavoro», precisò il Giannino.
«Allora
spargiamo la voce, a chiunque», reclamò la Ilma, «non perdiamo altro tempo, magari
qualcuno l'ha visto in giro. Gli uomini li informiamo all'ora di pranzo, quando
rientrano dalla campagna. Che ne dite?».
«Aspettate»,
intimò il Giannino, «a quest'ora il Marengo dovrebbe essere in casa. Andiamo
prima da lui, e sentiamo cosa ci dice. Poi capiremo come muoverci».
«Giusto, il
Marengo», recitò la Maria, con il suo tipico entusiasmo giovanile. «Di solito
la mattina se ne sta nel suo studio a scrivere, a pensare, a studiare qualche
nuova legge… facciamogli vedere il biglietto e vediamo cosa ne pensa».
7.
Era l'uomo più
in vista del paese, ancor più del sindaco; in pratica, il saggio della
comunità, a cui tutti si appellavano per un consiglio, un aiuto,
un'intercessione. Abitava in una vecchia e isolata casa sul confine con
l'amministrazione di Ornago, verso cascina Rossino. Si riconosceva anche da
lontano, poiché spiccava in mezzo ai campi di frumento e granoturco, come un
gigantesco fungo su un sottile e marcescente strato di aghi di pino.
Le tre donne e
il Giannino si misero in marcia per la casa del Marengo, senza sapere bene cosa
stessero facendo, percorrendo in fretta e furia la via centrale del paese e poi
il curvone che conduce al confine col villaggio dove sorgeva il famoso
santuario dedicato alla Beata Vergine del Rosario. Bussarono con forza alla sua
porta, né più né meno come avevano fatto poco prima a casa di don Filippo,
ansiosi di potere dare l'incredibile notizia al loro luminare.
«Che diavolo è
tutto sto chiasso».
Il Marengo stava
consultando un saggio di numismatica, con un paio di occhiali che anziché
migliorargli la vista, gliela peggioravano. Non seppe spiegarsi il motivo di
tanta foga. Sapeva che da un po’ non pioveva, che i campi ne stavano risentendo,
e che tanti buraghesi erano preoccupati per le scorte invernali, tuttavia gli
sembrò davvero fuori luogo che alcuni di essi potessero correre da lui per un
motivo del genere, risaputo e scontato. Doveva esserci dell'altro di ben più
grave. Un'impellenza. Forse qualche paesano s'era fatto male nei campi; non era
raro che qualcuno rimanesse ferito con una pala o un forcone.
Lasciò di
malavoglia la scrivania e raggiunse l'uscio, dove trovò i quattro compaesani con
le facce sconvolte, come se avessero appena visto un fantasma.
«Diamine, che
succede signori? Cos'è tutta questa agitazione?».
La Cesira fece
una smorfia assurda, con gli occhi che per poco non sputarono sangue. Acciuffò
con rabbia la mano del Marengo e gli spiaccicò sul palmo il foglietto trovato da
don Filippo.
L'uomo sbigottì,
strizzò gli occhi e lesse ad alta voce:
«"Scusatemi"».
E subito dopo:
«Che vuol dire? Chi
ha scritto questa cosa?».
«Marengo», fece
la Cesira, «non la riconosce la calligrafia? E' quella di don Filippo!».
Il Marengo inarcò
le sopracciglia mostrando tutto il suo stupore: all'improvviso gli parve di
essere precipitato in un incubo.
«Quindi?».
«Don Filippo è
scomparso», incalzò il Giannino, «sono entrato dalla sua finestra della cucina,
sollecitato dalla Cesira che pensava stesse ancora dormendo, e… ho trovato questo
biglietto».
Il Marengo
scosse la testa, meditabondo.
«Calma signori,
calma».
Gli parve
impossibile che davvero il pievano fosse sparito così, dall'oggi al domani,
senza alcun preavviso, lasciando solo quel misero e criptico straccetto di cellulosa
sulla scrivania. Capì che qualcosa non quadrava e che andava immediatamente dato
il giusto peso e valore alla vicenda.
«L'altra sera
don Filippo era in giro per il paese, abbiamo scambiato due chiacchiere,
l'hanno visto tutti», rifletté il Marengo. «Non capisco dove e come possa
essere sparito. E non mi sembrava certo depresso da pensare di compiere qualche
gesto sconsiderato».
Al suono di
queste parole la Cesira rabbrividì, non osando minimamente immaginare che don
Filippo potesse avere perso la testa fino a smarrire i lumi della ragione. Lei
stessa lo poteva confermare meglio di chiunque altro, che spessissimo si
trovava a vagabondare fra le sue mura di casa: don Filippo era l'uomo più
felice e tranquillo della terra. Impossibile credere che potesse aver compiuto qualche
gesto sconsiderato. Ma allora cosa era successo?
«Ci penso io»,
disse il Marengo, congedando i quattro. «Mi metto io sulle tracce del prete, ma
intanto portatevi avanti e fate sapere a tutti della sua sparizione».
«E come rimaniamo
d'accordo?», domandò il Giannino.
«Se non abbiamo
notizie di don Filippo entro sera, ci vediamo dopocena in piazza per un'assemblea,
con tutti gli uomini del paese».
«Un'assemblea?»,
chiese la Maria.
«Organizzeremo
insieme il da farsi, senza farci prendere dal panico», chiuse il saggio della
comunità, «vedrete che ritroveremo don Filippo sano e salvo».
8.
Dopo il pasto
serale si raccolse nella piazza centrale del paese gran parte degli abitanti di
Burago. I loro volti erano tirati e preoccupati: le indagini del Marengo non
avevano dato alcun frutto e a chiunque parve assolutamente inverosimile che don
Filippo potesse essere sparito. Sparito dove? E perché?
Erano le domande
che si accavallavano con maggiore frequenza, coinvolgendo un po’ tutti, grandi
e piccini. Per i più piccoli, per la verità, fu anche motivo di divertimento:
nella loro vita non si erano mai trovati a vivere un momento così critico, che l'innocenza
aveva tramutato in una specie di fiaba agrodolce. La folla si ricompose e il
silenzio calò, quando dalla parte opposta all'ingresso principale della chiesa
comparvero il Marengo e il sindaco del paese, Raimondo Boffalora; che il primo
aveva interpellato subito dopo la visita delle tre donne e del Giannino.
Il Marengo aveva
la faccia scura, come raramente era capitato di vedere. L'intero giorno
trascorso senza avere scoperto nulla, gli aveva procurato una forte
apprensione, al punto che era arrivato a temere il peggio; in cuor suo s'era
immaginato che prima del calare della sera, il pievano sarebbe ricomparso fra i
suoi fedeli, rassicurandoli su ogni cosa, dissipando qualunque funerea
previsione; ma così non era avvenuto e ora c'era davvero da capire in che modo
muoversi per cercare di venire a capo dell'incredibile enigma.
I due uomini cavalcarono
un piccolo palchetto, riservato di solito alle cerimonie religiose o ai
festeggiamenti, e presero a interloquire con i presenti con grande solennità:
«Cittadini di
Burago», esordì il Marengo, come il grande capo di una tribù zingara, «oggi
abbiamo ricevuto questa inaspettata e indecifrabile notizia, che immagino sia
ormai di dominio pubblico. Don Filippo è ufficialmente sparito. Ma non sappiamo
ancora nulla. Non sappiamo se è scappato, se si è fatto male da qualche parte,
o se si è…»
La folla
brontolò angustiata.
«L'unica cosa
che abbiamo è questo biglietto… c'è scritto "scusatemi". Ma non
lanciamoci in conclusioni affrettate. Può volere dire ogni cosa. L'importante,
in questo momento, è non farci travolgere dall'emozione».
Con un cenno del
mento, invitò il sindaco a proseguire.
«Io e il Marengo
ci siamo riuniti oggi pomeriggio e abbiamo deciso di organizzarci in questo
modo. Domani sospendiamo qualunque attività, per dedicarci unanimemente alla
ricerca di don Filippo. Se è scomparso come sembra, qualche traccia dovrà pur
esserci. L'appuntamento è con tutti voi per le sei in punto, qui. Ci
organizzeremo in due gruppi. Il primo, con il Marengo, passerà al setaccio la parte
settentrionale del paese; il secondo, con me, quella meridionale. Dopo cena ci
ridiamo appuntamento in questa sede, per vedere cosa abbiamo raccolto e…
nient'altro, questo è quanto».
La folla si
espresse con un potente brusio, ma nessuno se la sentì di opporsi all'invito
del Marengo e del sindaco, benché tutti fossero consapevoli del fatto che,
saltare un giorno di lavoro, in piena estate, non era certo una bella cosa.
«Se qualcuno ha delle
domande da porre, questo è il momento giusto per farlo», recitò il Marengo.
Nessuno fiatò. Il
sindaco si guardò intorno perplesso in cerca di un'eventuale battuta a tempo
scaduto, ma non si sentì volare una mosca.
«Bene, allora… possiamo
andare a dormire, un buon riposo farà bene a tutti noi: domani ci aspetterà una
lunga giornata».
9.
4 agosto
L'ultimo ad
arrivare in piazza fu il Giannino che aveva trascorso la notte perseguitato
dagli incubi. In uno c'era don Filippo trasformato in un cadavere vivente che
cercava di mangiargli la testa; un sogno tanto terribile da ridestarlo
completamente nel cuore della notte, obbligandolo a girare per casa come un
mentecatto.
«Allora ci siamo
tutti», gridò il Marengo, «facciamo un po’ di attenzione».
Il sole era
ancora basso sull'orizzonte e il braccio che il Marengo allungò davanti a sé
non inventò alcuna ombra, rendendo ancora più lugubre l'imponente puntello.
«Alla mia
destra, con me, alla mia sinistra, con il sindaco. Come dicevamo ieri…
setacciamo nord e sud, senza farci scappare nulla, anche l'indizio più banale
potrebbe rivelare qualcosa di importante».
«Le donne
rimarranno a casa con i bimbi più piccoli», precisò il sindaco, con volto
segnato da un risveglio troppo brusco, «torneremo per l'ora di pranzo. Se non
abbiamo trovato nulla riprendiamo le ricerche nel pomeriggio».
Si misero in
cammino come profughi in fuga da una terra devastata da epidemie e pestilenze,
per un lungo tratto in fila indiana, come accade in processione.
Giunsero a un
paio di chilometri dal centro abitato e, in corrispondenza delle prime
boscaglie, si sparpagliarono ovunque, cercando di intuire quale direzione
avrebbe potuto prendere il prete. Sperando, dunque, che fosse scappato e
null'altro.
Ogni anomalia
del paesaggio poteva essere potenzialmente utile alle indagini; così qualche brandello
di vestito o i segni del passaggio di un cavallo al galoppo.
Il gruppo del
Marengo perlustrò la zona a nord di Burago, dai confini con i giardini di villa
Sottocasa, alla strada per Roncello, aiutandosi con dei bastoni per vincere i
punti più impervi. Il giovane Andrea Brambilla, noto per la sua eccessiva
sensibilità, tirò un urlo quando vide dietro un cespuglio di rovi uno
scheletro. Vari uomini accorsero per capire cosa fosse accaduto, ma non ci
volle molto a intuire che si trovavano di fronte al banale resto di un
roditore, o forse di una volpe. Il severo Domenico Carimati, cugino del
sindaco, gli tirò uno scappellotto ammonendolo di non sollevare cagnara per
niente. Il ragazzo non si scompose più di tanto e riprese le sue ricerche come
un cane bastonato.
A sud, invece, poco
oltre i confini della strada che conduceva a Omate, gli uomini del sindaco girarono
intorno a un pericolante cascinotto che pareva contrassegnato, in
corrispondenza della porta d'ingresso, da macchie di sangue.
Lo stesso primo
cittadino attirò l'attenzione dei perlustratori rimasti nel suo raggio d'azione,
perché venissero a esprimere la loro opinione ed eventualmente a dargli una
mano a sfondare l'uscio.
Pochi istanti
dopo la questione venne risolta dall'arrivo improvviso e furibondo del padrone
della piccola costruzione, che nonostante il disappunto spiegò loro l'origine del
liquido ematico che aveva impiastrato parte della sua tenuta: era quello
proveniente da una gallina che la moglie aveva sgozzato il giorno prima, per
cuocerla in padella. Alla fine si risolse tutto con una risata isterica.
A mezzogiorno
nessuno dei due gruppi aveva scovato granché. Tornarono in paese e, mangiucchiando
qualcosa, si confrontarono sulla battuta appena conclusa.
«Siamo ancora in
alto mare», disse il sindaco.
Il Marengo lo
fissò perplesso.
«Sono anch'io
dubbioso. Ma magari oggi pomeriggio andrà meglio».
Il Giannino
storse la bocca, rincuorandosi che il saggio della comunità potesse avere anche
solo un briciolo di ragione.
10.
Ripresero le
ricerche all'una, puntando verso le radure che dividevano Burago da Cavenago,
una zona presa poco in considerazione dal vivere quotidiano, anche per via
delle numerose macchie boscose che in certi punti rendevano davvero difficoltoso
il cammino e improponibile il transito di carri e buoi.
Il sindaco e i
suoi uomini si diressero verso sud, dalle parti di cascina Trivulzina, in
anticipo di qualche metro sui terreni che davano su Caponago e Cambiago.
Chiesero agli abitanti del piccolo centro cavenaghese, se per caso avessero visto
da qualche parte don Filippo. Ma la risposta fu negativa.
«Gli è successo
qualcosa?», chiese una donna sulla cinquantina, particolarmente curiosa di ciò
che accadeva a Burago, da cui proveniva il suo ramo materno.
«Non sappiamo
che fine abbia fatto. Non si trova da almeno ventiquattro ore».
La donna ebbe un
sussulto.
«Oh, Maria
Vergine, ma com'è possibile?».
Il sindaco non
volle darle troppa corda e la congedò con un misero cenno del capo. Salutarono
tutti e tornarono sulla loro strada, affaticati dal calore e da ore e ore di
cammino sulle spalle, senza alcun risultato.
Nei pressi del
confine con Omate, si soffermarono su un cippo che pareva essere stato mozzato
da poco nella parte superiore, alterando la scritta che indicava le distanze da
Monza e Melzo.
«Raimondo,
guarda qui», si fece avanti Carlo Bucchi, il panettiere.
Il sindaco si
avvicinò al cippo e lo accarezzò con la mano destra, impolverandosela.
«Strano,
qualcuno deve essersi divertito con una vanga o un badile».
«Qui è
addirittura saltato via un pezzo di granito».
Il primo
cittadino guardò l'amico con sufficienza.
«Ma non saprei
in che modo collegarlo alla sparizione del prete».
Il Carlo fece
una smorfia buffa, rendendosi conto dell'inutilità della scoperta, ma anche del
fatto che ogni tanto valeva comunque la pena soffermarsi su qualcosa di
anomalo, benché banale; dando così un minimo di senso alla giornata; altrimenti
sarebbe stato solo un continuo guardarsi intorno monotono e preoccupato, che
nel giro di poco avrebbe ridotto a zero l'umore dell'improvvisata truppa.
Sull'altro
fronte le cose non andarono meglio. Dopo aver perlustrato i boschi fra Burago e
Cavenago, ed essere finiti più volte circondati da minacciosi rovi, il Marengo
e i suoi uomini si ritrovarono senza forze e speranze nei pressi del famoso laghetto,
il piccolo stagno che sorgeva a metà strada fra i due paesi, e che d'estate si
copriva di una spessa coltre verdognola, dovuta all'accumulo esagerato di
materiale algale.
«Sarebbe utile
che qualcuno andasse a farci un giro».
«Ma è pericoloso»,
disse Ferdinando Sala, un contadino della periferia buraghese.
«Ci vado io», si
propose l'Ambrogino, il figlio di Pia la lattaia.
Il Marengo lo
guardò affranto, rendendosi conto che, in effetti, avrebbe potuto correre dei
rischi.
«Sei sicuro?».
«Sicurissimo».
«Va bene, ma
stai attento: non avvicinarti troppo alle sponde… sai che possono trasformarsi
in una trappola mortale».
«Non ho paura di
niente, io».
«Ma la prudenza
non è mai troppa».
L'Ambrogino lo
fissò esaltato, orgoglioso di avere ricevuto un incarico tanto importante.
Partì con foga, quasi di corsa, e in una decina di minuti fu a destinazione.