sabato 10 aprile 2010

Short stories: "Campbell's Blues"

Le cose erano andate così e adesso Andy Warhol era veramente incazzato con Dylan. Scoprire che l'opera che aveva regalato al menestrello di Duluth - un quadro raffigurante Elvis Presley - era finita nelle mani di Grossman in cambio di un divano, lo aveva davvero mandato in bestia. In ogni caso, ancora una volta, era arrivato il momento di incrociare il cammino del cantautore americano: l'intellighenzia artistica newyorkese del periodo bazzicava, infatti, sempre negli stessi posti e quindi non era difficile per Warhol e Dylan inciampare l'uno nell'altro. L'appuntamento era per le 17.00 in un fumoso localino del Greenwich Village, dove anni prima Bob apriva per John Lee Hooker, in occasione della mostra di un artista che cominciava a muovere i primi passi nel mondo della pop-art: Brian Coleman, del vicino New Jersey.
All'arrivo di Bob, Andy stava chiacchierando con una biondona sulla cinquantina. Una conversazione piacevole, animata ogni tanto dall'intervento di un beone col ciuffo, che da una vita frequentava il locale newyorkese e da Lou Reed, abbigliato per l'occasione come un damerino d'altri tempi. Bob intravide immediatamente Andy ma fece finta di niente. Aveva altro per la testa. Si mise perciò a gironzolare per il locale in compagnia di Dave Van Ronk, amico dei primi Sessanta che lo aveva aiutato a spiccare il volo verso la celebrità.
A un certo punto - dopo aver consultato varie opere che non l'avevano minimamente entusiasmato, stampe, quadri e insegne luminose - l'autore di Mr. Tambourine man fu attratto da un coloratissimo barattolo. In realtà, era l'immagine pubblicitaria raffigurante una lattina di zuppa Campbell's, disegnata da Warhol.
"Interessante ", fece Dylan.
"Trovi?", ribatté Van Ronk.
"Molto affascinante. Potrei utilizzarlo per la copertina del mio nuovo disco".
"Di che disco parli?".
"Un disco che intitolerò 'Self Portrait'".
I due andarono avanti a parlottare ancora per un po’ del misterioso barattolo, finché non li raggiunse Warhol con la biondona al seguito.
"Ho saputo che non ami molto la pop-art", disse Andy a Bob, evitando, però, di tirare fuori esplicitamente la storia del quadro di Presley. Dylan diventò rosso.
"Scherzi? Io amo la pop-art", bofonchiò il menestrello newyorkese. "Questo giovane, questo Coleman, credo che abbia del talento… Mi piacerebbe, addirittura, chiedergli di lavorare per la copertina del mio nuovo disco".
"Possiamo chiederglielo, se vuoi", disse Andy.
Coleman era a qualche metro dal quartetto asserragliato intorno al barattolo di zuppa. Andy lo cercò con lo sguardo, dopodiché lo invitò con un gesto della mano a raggiungerli. L'artista del New Jersey fu subito da loro.
"Molto piacere", fece Dylan.
"Piacere mio", disse Coleman. "Sono un suo fan, anche se lei non ne è al corrente", aggiunse ridacchiando.
"Beh, ora posso dire anch'io di essere un suo fan, dopo aver visto questo incredibile barattolo. Il resto della mostra non è certo a questa altezza".
Cadde il silenzio. Warhol cominciò a ridere sotto i baffi, mentre Coleman prese a digrignare i denti.
"Credo che ci sia un equivoco", commentò.
"Prego?", domando Dylan.
Coleman guardò Andy prima di rispondere con un'espressione a dir poco accigliata.
"Questo lavoro è opera di Andy", fece Coleman, con voce tremante. "Lo abbiamo esposto solo per sottolineare la corrente artistica del mio operato…".
Dylan deglutì amaramente, mentre Warhol - con un ghigno assatanato - si allontanava con una scusa qualsiasi dal gruppo, strattonando per mano la biondona. Coleman fissò inviperito il cantautore del Minnesota che cercò in tutti i modi di salvarsi in corner, dicendo che non si era espresso bene, e che anche le altre opere erano degne. Ma non ci fu molto da fare e da dire. Bob se ne andò quasi subito e lui e Andy non si rividero più per molti anni.

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