venerdì 30 aprile 2010

Short stories: "Liberté, egalité, fraternité"

Mario Galimberti bussa alla porta del quotidiano La Luce per la prima volta verso la fine del 2002. Si è laureato da poco tempo in scienze biologiche ed è in cerca di lavoro. Ha visto che il giornale appena fondato da Valerio Fumagalli dedica un'intera pagina alla scienza, e dunque s'è messo in testa di farsi avanti per iniziare a collaborare. Di esperienza, del resto, ne ha abbastanza: negli ultimi anni ha sgobbato come cronista per Il Giorno Dopo, e scritto articoli di divulgazione scientifica per La Relatività, Il Giornale dei Ministri e Unità Proletaria. A lui la posizione politica dei giornali non interessa. Perciò non lo tocca minimamente il fatto che il quotidiano abbia tendenze spudoratamente destrorse, contrarie alla sua filosofia di pensiero. La redazione della Luce sorge nei pressi della ferrovia, in via Milazzo. La zona è piuttosto malfamata, buia e sozza. All'interno, però, è tutto molto più affascinante. C'è aria di nuovo. L'ambiente è luminoso e accogliente.
Varcata la soglia redazionale, Mario si rivolge a un volenteroso centralinista per chiedere di Giacomo Malaguti.
"Buongiorno".
"Buongiorno".
"Avrei un appuntamento con Malaguti".
"Il suo nome?".
"Mario Galimberti".
La Luce è ancora un giornalino, e i redattori presenti un pugno di giovinastri vogliosi di dire la loro, ma con quasi nessuna esperienza. A quanto pare della squadra iniziale assoldata da Fumagalli, solo due non hanno passato l'esame finale. Malaguti, ultrasettantenne con trascorsi in via Napoli, storica sede del Milanese, laureato in matematica, è a capo della pagina scientifica e di quella culturale. Ottimo il suo feeling con il direttore, col quale lavora da anni. Mario l'ha contattato telefonicamente qualche giorno prima per un appuntamento.
Il caporedattore va incontro al giovane traballando. Indossa le Clark e una giacca chiara. Ha la pelle del volto screpolata. Mario pensa possa trattarsi di psoriasi. Gli tende la mano e lo invita ad accomodarsi alla sua scrivania strapiena di riviste.
"Mi piacerebbe lavorare per La Luce. Sono laureato in scienze biologiche".
"Mi diceva che ha già frequentato altri giornali…".
"A parte l'esperienza di cronista al Giorno Dopo, ho sviluppato dei servizi per La Relatività".
"Mi ha portato qualcosa?".
"Queste fotocopie. Sono gli ultimi servizi che ho realizzato".
"Bene, gli darò un'occhiata".
Nei dintorni c'è un'altra figura storica del giornale con cui Mario avrà spesso a che fare negli anni: si chiama Gianfranco Limonta ed è in procinto di partire per la Germania, per qualche giorno di vacanza. Gianfranco è alto, magro e ha l'aria gentile.
Mario e Giacomo non parlano molto. In fondo non c'è molto da dire. Malaguti gli dice semplicemente di sviluppare un paio di pezzi di prova da tremila battute. Mario, pieno di entusiasmo, replica che glieli manderà al più presto. Comporrà un articolo sulle alghe e uno sull'uomo di Altamura.
"Allora grazie e arrivederci".
"Grazie a lei".
Si risentono al telefono pochi giorni dopo. Per Malaguti è tutto ok. La collaborazione può avere inizio.
"Ho trovato un po’ troppo elaborato il servizio sui vulcani, ma complessivamente direi che ha tutti i requisiti per lavorare con noi. I due pezzi di prova, invece, vanno bene…".
Mario ci dà dentro fin da subito con accanimento. Le scienze sono la sua passione e così la scrittura. Meglio di così, si muore.
Passano i giorni…
Mario scrive, scrive, scrive. Di medicina, botanica, fisica, chimica, psicologia, geologia, antropologia, astronomia… Ogni tanto si presenta in redazione per una visita veloce e per andare a bere il caffè con Malaguti. Il caporedattore gli racconta un po’ di aneddoti. Gli dice, per esempio, che il giornale sta andando bene e che la pagina scientifica è la chicca del quotidiano. Parlano di Giovanni Cappone, responsabile della scienza al Corriere della Sera e dei trucchi per arrivare sulle notizie prima degli altri. Ci sono siti molto interessanti. Ma l'ideale è sempre e comunque affidarsi ai giornali stranieri: New York Times, Los Angeles Times, Telegraph, Nature, Scientific American.
"Visiti comunque anche il portale di Adnkronos".
"Come scusi?".
"Adnkronos è sempre ricco di informazioni".
"L'agenzia di stampa?".
"Proprio. Anche l'Ansa".
In un'occasione vede per la prima volta "dal vivo" il gigante: Valerio Fumagalli. Lo scorge di fronte al suo ufficio, subito dopo l'ingresso della redazione, sulla sinistra. Osserva il direttore sottecchi, senza presentarsi. Un po’ per soggezione e timidezza, un po’ perché - in tutta onestà - non saprebbe che dirgli. Gli stringerà la mano solo parecchi anni dopo, alla fine di un dibattito a Trezzo. Gli fa una discreta impressione: severo, autoritario, elegante. È proprio come lo descrivono, pensa fra sé e sé.
Quando arriva il primo mensile, Mario sbigottisce: sono quasi cinquecento euro. Cinquecento euro per una manciata di articoli. Alla Gazzetta della Melonera, dove ha fatto la gavetta, veniva pagato cinque euro ad articolo. Roba da matti. Non può crederci. Ne discute col padre.
"Porca miseria, mai visto così tanti soldi in un colpo solo".
"Beh, allora dacci dentro".
"Perché ti sembra che non mi stia dando abbastanza da fare?".
"Non dico questo. Dico che ti conviene lavorare il più possibile così magari ti assumono anche".
"Sarebbe il massimo".
Facendo due conti, se ci fosse la possibilità di scrivere di più, potrebbe arrivare a uno stipendio standard. E, in effetti, è ciò che accade.
I mesi successivi arrivano sberle da duemila euro. Per la prima volta nella sua vita Mario vede il suo conto in banca lievitare. Un bel respiro di sollievo, dopo una vita di rinunce e sacrifici. Potrà finalmente comprare un paio di pantaloni in più. Fare un regalo a qualcuno. Riempire fino all'orlo il serbatoio di benzina. Ma la pacchia non va avanti per molto. Torna, infatti, dalle ferie nel 2004, apre la busta di luglio e si trova una bella sorpresa: una cifra dimezzata rispetto alle altre volte. Se prima un articolo veniva pagato cinquanta euro, ora, misteriosamente, ne vale venticinque. Così lo stipendio complessivo non arriva a milleduecento euro. Ahia.
Chiama in redazione per avere spiegazioni e parla con Nadia Contini, segretaria di Fumagalli, donna severa e altezzosa, che negli anni darà pochissima confidenza a Mario. La Contini gli dice che Malaguti avrebbe dovuto avvertirlo che ci sarebbe stato un cambiamento, ma il capo della scienza, probabilmente, se l'è scordato. Il discorso è molto semplice: per far quadrare i conti, ai collaboratori sono stati dimezzati i compensi.
"Dimezzati?".
"Per forza".
"Porca miseria".
"Sennò certi freelance prendevano troppo. Più degli stagisti che passano in redazione dodici ore al giorno".
Va beh. Pazienza. Prenderà la metà di ciò che prendeva all'inizio…
Mario ci mette una pietra sopra e va avanti con il suo lavoro, come ha sempre fatto, con impegno e perseveranza. Dall'Umbria arriva, intanto, Anna Molinari, nuova spalla di Malaguti. È una ragazza introversa e sicuramente meno boriosa di molti suoi colleghi. Prende il posto di Gianfranco Limonta, che lascerà le scienze per occuparsi d'altro.
Mario, di lì a poco, familiarizza anche con Andrea Girone, cognato di Fumagalli, che gestisce la cultura sotto la supervisione di Malaguti. È un ragazzotto con gli occhiali, la faccia piena, lo sguardo sornione. Gli rimane impressa quella volta in cui Fumagalli gli tira al volo un pacchetto di sigarette. È compiaciuto dalla confidenza che li unisce. Per un attimo pensa a cosa significhi essere il cognato di Valerio Fumagalli. Cosa significhi avere la strada spianata in un ambiente cinico e spietato come il giornalismo.
Trascorrono i mesi e il giornale continua a far parlare di sé. Mentre tutti gli altri quotidiani calano, precipitano nei debiti, preannunciando una crisi mai vista, La Luce cresce giorno dopo giorno. Nel luglio 2006 le statistiche lo indicano come il quotidiano con l'incremento di vendite maggiore: si parla del 37%. Il 2006 si chiude, dunque, con profitti da capogiro.
Il rapporto fra Mario e Malaguti è sempre più stretto. Mario molla tutte le altre collaborazioni giornalistiche. Gli rimane solo quella col mensile Flora del Belpaese, dove cura - a onor del vero con scarso entusiasmo - una rubrica di frutticoltura. Non ha tempo per dedicarsi ad altro. La Luce lo assorbe in tutto e per tutto. Malaguti chiama il collaboratore tutte le mattine intorno alle 11.00 per sapere cosa c'è di nuovo e ordina a Mario il da farsi. Sei giorni su sette. Natale, Pasqua, Ferragosto. Peraltro c'è sempre la possibilità di essere assunti. Un sogno che potrebbe realizzarsi e che riguarda tutti quelli che si danno da fare come Mario. In casa di Mario il tema viene spesso tirato in ballo:
"Ma allora non ti hanno ancora parlato di assunzione?".
"Non ancora".
"Allora fatti avanti".
"Non è così facile. Lo sanno che sono lì perché un giorno mi piacerebbe essere assunto".
"Secondo me non ti stai dando abbastanza da fare".
"Dai pà, cosa ne vuoi sapere tu? L'ambiente dei giornali è tutt'altro che benevolo. Adesso, comunque, faccio il tesserino. Con l'iscrizione all'albo vedrai che avrò più chance".
"Speriamo".
Ma l'ottimismo di Mario svanisce presto. Circa un terzo degli articoli che gli vengono commissionati, finisce nel cestino. Saranno un migliaio in pochi anni. Senza motivo. Multiuniversi, proteine miracolose, incroci fra conigli e gatti, magari l'indomani di apertura su Repubblica e il Corriere, nient'altro che approssimative pallottole di carta, speranzose di finire in un canestro, fra un'andata e ritorno dal gabinetto di qualche impiegato appassionato di basket. Un mistero. Angherie allo stato puro. Mario, in pratica, lavora per niente. Ci rimane male, ma non ribatte. In fin dei conti La Luce gli sta dando da vivere, e si sta facendo una bella esperienza: qualche volta finisce addirittura in prima pagina. Con i big. Malaguti, peraltro, è spesso burbero. A volte lo tratta sgarbatamente, aggredendolo con ferocia.
"Sentiamo oggi quali altre cazzate ha da dirmi?".
"Scusi?".
"Dai, dai".
Mario è perplesso. Chiede spiegazioni alla signora Contini, ma lei gli dice che non si può far nulla, che è il suo carattere, che la pagina scientifica se la gestisce per conto suo, e nessuno può ammonirlo. Malaguti, l'intoccabile. Anche per via dell'età. Soprattutto per via dell'età. Lo riconoscono anche vari redattori, un po’ insofferenti alla strafottenza del vecchiardo. Un giorno Malaguti va giù ancora più pesante e dice a Mario che se non ha tempo può tranquillamente farsi da parte, che c'è la fila per scrivere per il quotidiano. Mario scende dal pero. Come può sostenere che non abbia tempo una persona che scrive senza battere ciglio ottanta articoli al mese, sabato compreso? San Stefano compreso? Primo dell'anno compreso? Senza dire beh?
"Come?".
"Ha capito benissimo".
"Ma certo che ho tempo".
"E allora mi faccia proposte che stanno in piedi e non notizie già trite e ritrite".
Aleggia la parola mobbing, ma chi se ne frega: Mario, ormai è abituato, sa che nel giro di qualche giorno Malaguti tornerà sereno. Tornerà a sorridere e a congratularsi per i suoi articoli.
"Bello il pezzo sui gatti".
"Sono contento".
"Bello davvero, semplice e preciso".
"Grazie".
Passano altri mesi e il successo della Luce è ormai percepibile da chiunque, non solo dagli addetti ai lavori. La redazione si sposta dalla periferia al centro. Finisce nella centralissima via Michelangelo, a due passi da San Babila. Addio treni merci, officine derelitte, e negozi di kebab. Cambiano i colori, i profumi, gli umori dei redattori che ora si stimano come non mai. Non sono più gli spauracchi di un tempo in cerca di gloria. Ora stanno avendo davvero successo. Qualcuno finisce in televisione. Altri decollano per testate già da tempo affermate. Altri… diventano comunisti.
Nel frattempo cambia il formato del giornale. Diviene più piccolo. Imitando più il design di Repubblica che quello del Giorno Dopo. Repubblica è l'odiato, ma sotto, sotto, stimato e rispettato, nemico. Malaguti lo anticipa a Mario, sottolineandogli che le pagine scientifiche diverranno due. Mario è esaltato. Potrà scrivere di più.
"Molto bene, sarò lieto di impegnarmi ulteriormente".
"Eh sì, ci sarà molto più spazio".
In realtà è una balla. La pagina sarà una sola e molto più piccola di quella di prima. Se prima ci stavano otto articoli, ora ce ne stanno la metà. Non è una buona cosa. Significa che dovrà scrivere meno. E scrivendo meno lo stipendio si abbasserà. Peraltro il numero di collaboratori è aumentato e la concorrenza è spietata. E spesso sleale. Con quella di Mario ci sono anche le firme di Roberto Manzoni, Anna Tiraboschi, Alice Binda, Giorgio De Palma e molte altre meno assidue.
A Mario giunge voce che Malaguti faccia scrivere anche in base a piccoli ricatti. Sessuali. Glielo dice una collaboratrice silurata dal caporedattore di cui, però, non farà mai il nome. Non esclude che possa, infatti, trattarsi di una corbelleria messa in piazza dalla stessa freelance, per essere stata fatta fuori dal numero uno della pagina culturale.
Da milleduecento euro lo stipendio di Mario cala a mille euro, poi a ottocento. Quando arriva a quota seicento, scatta il campanello di allarme. Chiede a Malaguti di farlo scrivere di più, ma l'esito è deplorevole. Gli dice di sì, ma in pratica è no.
"Sì, sì, non c'è problema".
"Mi basta arrivare a mille euro".
"A mille euro? Sicuro".
Manda mail a destra e a manca, ma nessuno risponde. I bei tempi degli esordi sono finiti. Mario diventa, intanto, papà e si sposa. Va a vivere in una casetta risalente ai primi del Novecento in mezzo alla campagna. È un po’ piccola, ma per partire va fin troppo bene. Tra un articolo e l'altro troverà anche il tempo per dedicarsi alla sua passione preferita: il giardinaggio.
"Adesso coi soldi non puoi più scherzare. Devi insistere per l'assunzione".
"Papà, ti ho detto che non è così semplice. Non è che tutti i giorni ho modo di parlare coi capi".
"Guarda che adesso devi anche pensare al piccolo Emanuele".
"Ci penso al piccolo, ma tu non mi assillare".
Mario ricontatta la signora Contini, sempre meno galvanizzata di rispondergli.
"Ancora lei?".
"Eh sì".
Chiede un appuntamento con Alessio Sindona, condirettore della Luce. Sindona decide di riceverlo nel suo nuovissimo e spazioso ufficio. È il 2007. Il condirettore fa a Mario una buona impressione. In lui ritrova addirittura qualcosa di suo nonno. È forse il sorriso. Sindona, in virtù del buon lavoro svolto negli anni, offre a Mario un fisso di circa millecento euro netti, indipendentemente dal numero di articoli redatti. Non c'è, per il momento, la possibilità di assunzione, ma è comunque una piccola grande rivoluzione per l'attività professionale di Mario.
"È un grande risultato".
Mario è al settimo cielo. Va a casa e torna a darci dentro, ma il mese dopo è ancora una doccia fredda: lo stipendio è di poco superiore ai settecento euro.
"Amore, settecento euro".
"Settecento euro? Ma Sindona non ti aveva detto che ti dava il fisso?".
"Così mi aveva detto. Non so perché me ne sono arrivati solo settecento".
"Mario, sai che senza il tuo stipendio pieno non possiamo andare avanti".
"Lo so benissimo, ma se una persona mi dice una cosa, io le credo. Se Sindona mi ha detto che mi dava millecento euro non so perché non me li abbia dati".
Qualcosa non torna. Mario di nuovo interpella la signora Contini, che a sua volta contatta Sindona, il quale dice, semplicemente, che s'è dimenticato della proposta fatta a Mario. Troppi impegni, troppe cose per la testa, troppe fighe... C'è sempre qualche casino con la pubblicità. Ci sono i politici che premono. Le trasmissioni televisive da affrontare. Ma non importa. La cosa si risolve immediatamente e Mario può finalmente godere, da lì a pochi giorni, dei suoi primi millecento euro netti.
Malaguti, all'indomani, è vittima di un grave incidente stradale. Va fuori strada, forse per un ictus. Un'arteria schizzata del cervello gli fa perdere il controllo. La sua macchina prende fuoco. Rimane in ospedale per diverse settimane. La faccenda è piuttosto seria. Il timone della pagina scientifica viene affidato ad Anna Molinari, con cui Mario riuscirà a costruire il primo discreto rapporto di amicizia alla Luce.
"Porca miseria, e adesso?".
"Adesso ci sono io".
"Bene, ma dici che si riprenderà?".
"Non si sa ancora nulla".
"Porca miseria che botta. Ha addirittura preso fuoco?".
"Così mi hanno detto. Appena so qualcosa in più te lo faccio sapere".
Anna è una ragazza tenera e disponibile e fa di tutto per agevolare il lavoro di Mario. Spesso si vedono in redazione e scambiano due chiacchiere. Ma difficilmente si confidano l'un l'altro come fanno i veri amici. Parlano quasi sempre di lavoro. Mario, dunque, non sa nulla della sua vita privata. Non sa se è sposata, fidanzata, se ha dei figli. Anche se qualcosa riesce a intuire. L'unico dato ufficiale che gli risulta è che vive con un'inquilina nei pressi della redazione della Luce, con il cuore sempre rivolto alla sua Umbria, dove vivono i suoi genitori. Lui, al contrario, è un po’ più espansivo. Le racconta, per esempio, della sua famiglia e della sua passione per le piante e per l'entomologia. Quando è nato Emanuele le ha girato la foto del piccolo, raccogliendo entusiasta un bel messaggio benaugurale.
Con Anna arriva a ottenere anche una decina di aperture al mese. Da record. Cose del genere succedevano solo agli storici inizi, quando la busta paga conteneva cifre da capogiro, e forse il giornale non poteva far altro che contare su giovani e zelanti scagnozzi, da spremere come meloni, senza correre troppi rischi. Ma con l'estate del 2008 la pagina scientifica viene boicottata. Non c'è più Malaguti a tirare le redini della cultura, e si vede.
Con i mesi caldi la cosiddetta fogliazione cambia i connotati, le pagine diminuiscono. È un procedimento che l'amministrazione ritiene necessario, per far quadrare i conti e per la fisiologica penuria di manodopera e notizie. Mario trepida. Cosa ne sarà di lui? Ci risiamo. Signora Contini a rapporto. La segretaria di Fumagalli gli risponde di non preoccuparsi, che potrà scrivere per altre pagine: costume, attualità, cultura. In fondo l'ha già fatto in passato.
"Ma siamo sicuri?".
"È già successo. Non si preoccupi, vedrà…".
Non c'è problema. Evviva. In realtà è l'ennesima bugia. Le proposte che tutte le mattine Mario invia in redazione, dopo aver perso ore e ore a spulciare giornali e siti internet, non vengono minimamente prese in considerazione. Buchi nell'acqua su buchi nell'acqua. Mario chiede allora udienza per la prima volta a Roberto Ferrari. Abita a Biassono, non lontano da lui, respirano la stessa aria, forse potrà dargli una mano. Chiamasi romanticamente "solidarietà geografica". Si occupa di cattolicesimo, ha conosciuto il Papa. L'ha accompagnato in più di cinquanta visite internazionali. Non può respingerlo. E invece. Neanche per sogno.
"Ho le mani legate".
"In che senso?".
"Lo sa quel che mi è successo…".
Ferrari si dice costernato, ma il caos del nome in codice Biancospino e dei servizi segreti l'hanno travolto privandogli il respiro. Adesso va in giro con la scorta. Nella sua città natale, quando passa per le vie del centro, nascosto dietro a imperscrutabili finestrini neri come il bitume, sembra che stia sfilando il duce. Parola del capo del Giornale di Biassono. Anche qui, comunque, una mezza scemenza. Ferrari, infatti, continuerà a fare il suo mestiere senza problemi, candeggiato dall'onnipotente e inavvicinabile Fumagalli. A guadagnare uno sfacelo in barba alle mezze calzette come Mario che si arrabattano per portare a casa mille euro. E alle tante parole evidentemente poco trasparenti scambiate con il pontefice. Dopo tre mesi arriva la resa dei conti.
È la fine di settembre e Mario, in teoria, dovrebbe essere pagato, anche se non ha scritto. Questi erano gli accordi. E invece Sindona dice chiaramente alla Contini di comunicargli che, non avendo lavorato, non ha diritto a percepire alcuno stipendio.
"Ma come? Mi avevate detto che avrei scritto per altre pagine…".
"E invece non è stato possibile".
"Avreste almeno potuto avvertirmi, così evitavo di stare tutto il giorno al computer a cercare news".
"Mi dispiace".
"Così almeno cercavo un altro lavoretto, in attesa della ripresa autunnale".
"Mi dispiace".
Mi dispiace un cazzo.
Mario, dopo tre mesi di obbligata inattività, è sul lastrico. Ma piano, piano, riesce a rimettersi ancora una volta in carreggiata, lavorando assiduamente durante l'inverno 2008-2009. Malaguti ormai non fa più parte della squadra, non viene più in redazione. S'è rimesso dall'incidente ma ha comunque una certa età, e verosimilmente non può più sostenere certi sforzi fisici e mentali.
Mario prosegue la sua avventura con Anna, che, però, ha molto meno potere decisionale dell'ex capo negriero. Vuol dire che spesso le proposte dell'operoso freelance che piacciono a lei, non piacciono ai vertici e così non se ne fa niente.
"Nemmeno quella sugli animali più strani?".
"Il direttore dice di parcheggiarla".
"Ma se ieri non desiderava altro che articoli sugli animali come l'opossum…".
"Oggi, evidentemente, ha la luna storta".
Va tutto discretamente bene fino all'estate del 2009. Mario si trova in montagna in Alto Adige con la sua famigliola, sempre più numerosa e casinista. I figli sono diventati due. Un altro maschio: Alberto.
Ha appena raggiunto una piccola cima. Il paesaggio è stupendo: le cime austriache innevate, le vacche al pascolo, la tipica flora montana rattrappita per fronteggiare al meglio i venti gelidi. Ansima… Si sdraia in mezzo al prato e, riparato da un gigantesco masso, sfodera dallo zaino il Corsera. Inizia a leggere e ha un sussulto. Scopre che Fumagalli ha firmato un accordo con Il Giornale dei Ministri e che da settembre lascerà la redazione della Luce. Si parla di un supercontratto. Echeggia il nome di Silvio Buonarroti. Questa è forte. Una cosa del genere, non se la sarebbe mai aspettata. Arrivano le grane serie, pensa. Peraltro la crisi a livello internazionale impera. Il numero di disoccupati è in forte crescita ovunque. Ovunque si sente dire che nei prossimi mesi salteranno un sacco di posti. Figuriamoci se non toccherà anche a lui.
Chiama subito la signora Contini, da duemila metri di quota, sotto un cielo splendidamente terso e il sottofondo squillante dei ruscelli. La segretaria di Fumagalli gli dice che è tutto vero e che probabilmente il suo fisso andrà a farsi benedire.
"Non mi dica così".
"Beh, sa, il suo fisso è una sorta di accordo amichevole fra lei e Sindona. Se adesso Sindona se ne va con Fumagalli, capirà…".
"Vorrei non capire".
"Mi dispiace".
Daccapo. L'agonia. Il nuovo direttore della Luce è Marco Bolognini. Mario non l'ha mai conosciuto, se non attraverso la televisione, non si può perciò pronunciare, comunque si ripromette di andare subito a trovarlo, non appena rientrerà dai monti. Non c'è tempo da perdere.
L'incontro fra i due avviene il 28 agosto. Bolognini è raggiante. Pacioso. Pieno di sé. La nuova poltrona, evidentemente, lo galvanizza non poco. Fa accomodare Mario nel suo ufficio, dove fino a poche ore prima sedeva Fumagalli.
Dalla finestra principale Mario osserva con scarso interesse l'ingresso di un lussuoso hotel, dove forse è già stato per condurre un'intervista anni prima, quando ancora lavorava per Il Giorno Dopo. Ci sono dei lavori in corso. Il rumore del trapano impazza. Le grida degli operari si susseguono tra un'imprecazione e l'altra. Mario gli racconta tutto. Il suo timore è quello di essere privato del fisso. Se così fosse non avrebbe più modo di cavarsela.
Bolognini gli dice che per il momento non ci sono cambiamenti, poi si vedrà, non ha idea del giornale che creerà e degli sviluppi che ci saranno. Il momento non è fantastico.
"Ci risentiamo, poi vediamo".
"Però…".
"Mi rendo conto che non può rimanere dall'oggi al domani senza stipendio, però in questo momento, davvero, non so cosa dirle".
L'incontro dura pochi minuti. Bolognini ha fretta. Saluta sbrigativamente Mario. Alla porta c'è un collaboratore che evidentemente gli fa molta più gola, anche se la sua condotta morale lascia un po’ a desiderare. Nel 2006 è stato, infatti, coinvolto nell'inchiesta giudiziaria per truffa in ambito sportivo. È Luca Mantovani.
Mario gli passa di fianco e lo guarda con aria confusa. Qualcosa non torna. Pensa all'onestà e alla purezza d'intenti di Chris O'Donnel, nel ruolo di Charlie Simms, nel film 'Scent of woman' di Martin Brest e alla strafottenza di Philip Seymour Hoffman nei panni di George Willis jr. Mario, naturalmente, s'immedesima nel primo.
Con la fine del 2009 le cose precipitano. La pagina scientifica comincia a saltare ripetutamente, fino a sparire del tutto. Non ci sono spiegazioni. Regna il caos più totale. Il giornale perde copie. Si parla di circa diecimila copie, che da lì a qualche mese diverranno ventimila.
Saltano alcuni redattori e figure storiche come Nadia Contini. Per Mario sembra arrivata la fine.
Incontra, però, Fabrizio Biagini, nuovo capo della cultura, che, dopo aver confabulato con Mauro Suma, un provvisorio vicedirettore in partenza per Il Tirreno, gli dà qualche speranza.
"Ciao".
"Ciao".
"Scusa se ti ho fatto aspettare".
"Non importa".
Parlano insieme per mezz'ora. Di politica, comunismo, Darwin, evoluzionismo. Biagini è prolisso, verboso, arrogante. Un atteggiamento complessivo che indispone Mario. Ha la faccia grossa e la pancia tronfia. I pori della pelle dilatati. Mario odia le persone che si prendono troppo sul serio e Biagini è esattamente una di queste. Ultimamente ha in piedi dei casini con un comunista, Napolitano, che ha deciso di scrivere per l'ex quotidiano di Fumagalli, anche se c'è chi dice che scrivere per La Luce è da coglioni e da… fascisti. Biagini lo difende a spada tratta. È il suo beniamino.
Per ciò che riguarda Mario, gli promette in tutte le lingue che lo farà scrivere. Vuole dei pezzi che affondino la lama nel cuore delle persone e che mischino cultura e attualità. Vuole il presente. La pecunia intellettuale.
"Ci vuole una giusta dose di belligeranza per sviluppare certi pezzi. Ci vuole coraggio e autostima. Sono sicuro di poter contare su di te".
"Mah, io farò del mio meglio come ho sempre fatto".
"Si può e si deve fare sempre di più. Tu mandami le proposte".
"Certo".
"In ogni caso mi farò vivo io prima del tempo per commissionarti qualche pezzo".
"Ottimo".
"Ci sono in giro dei libri molti interessanti da cui prendere spunto".
"Mi piacciono i libri".
"Molto bene, allora…".
"Ci sentiamo".
"A presto. Ciao".
Ma alla fine i presentimenti di Mario sono più che fondati. Mario gira a Fabrizio tonnellate di mail e di proposte, senza mai essere preso in considerazione. Il borioso redattore della Luce non sa cosa significhi mantenere la parola, anche se nei suoi editoriali si spaccia per un paladino della giustizia morale. L'ennesimo commediante.
Un giorno gli chiede semplicemente la mail di Davide Balla, per una confidenza. Ha scritto un saggio su Walt Whitman e vorrebbe farglielo leggere. Balla è un giovane poeta, collaboratore della Luce, e amico di Biagini. Ha appena stroncato il lavoro dell'osannata Angela Marini, da poco scomparsa. Non a torto. Ma anche qui, buonanotte al secchio. Mille a zero, palla al centro.
Pochi giorni dopo, una fredda mattina di febbraio, è la volta di Patrizio Salvi, vicedirettore della Luce, ricciolino e magrolino con un naso che parla. Mario l'ha sempre conosciuto di fama, ma mai di persona. Salvi lo accoglie benevolmente. È molto gentile. Cerca di trovare il mondo per toglierlo dalle spine. Ci riesce pensando ad Alice Pirotta, carina e petulante, già autrice di un libro sull'osteoporosi, il capo della pagina web.
"Col web non dovrebbero esserci problemi".
"Sono contento".
"Sennò potrei pensare alla pagina di cronaca locale".
"Va bene anche questa soluzione".
"Hai esperienza in questo campo?".
"Ho fatto il cronista a Il Giorno Dopo per due anni. I marciapiedi sono il mio forte".
"Fantastico".
A febbraio del 2010, Mario riprende a scrivere come ha sempre fatto. Parte con Robin Hood ed è una figata. La medusa immortale, la fissazione del sesso per gli uomini, il segreto del carisma di personalità come George Clooney… Non gli sembra vero. I suoi pezzi finiscono online, anziché sul cartaceo. Ma va bene così. Il web, dopotutto, è il futuro.
Tutto prosegue alla perfezione, un piccolo miracolo, chi ci sperava più, ma i primi di marzo arriva una strana mail dalla Pirotta. Dice che dalla fine del mese non potrà più scrivere per il web. Mario trasale. Cos'è questa storia? Nessuno dei piani alti gli ha detto niente. Sembrava che, dopo tante vicissitudini, finalmente si fosse sistemato tutto con Salvi e, invece, la situazione torna ad essere burrascosa. Contorta. Per la prima volta si fa avanti il nuovissimo direttore generale, che Mario non ha mai sentito nominare: Sandro Corona.
Cerca su internet informazioni sul suo conto ma non trova nulla. L'unico Sandro Corona rintracciabile da Google è un simpatizzante del Fronte della Gioventù, di diciannove anni, assassinato nel 1979, da un commando di brigatisti, in qualche modo legati all'oscuro movimento milanese dei Cani Randagi. Da dove salta fuori questo Corona?
Mario comincia a darsi da fare per prendere contatti col nuovo capo e, dopo una decina di telefonate senza esito, passando quasi sempre dalla solita insopportabile centralinista, lo trova il pomeriggio dell'11 marzo. I due parlano fugacemente al telefono.
"Buongiorno direttore".
"Buongiorno Galimberti".
Corona ha una parlata sciolta e decisa. La tipica parlata di chi viene ingaggiato per assassinare i poveri cristi come Mario. Una specie di boia. Corona è fin troppo schietto. Non ha certo peli sulla lingua. Dice a Mario che del suo lavoro non sa che farsene. Il web non frutta soldi, per cui Mario può tranquillamente farsi da parte e andare a farsi benedire.
"Sono stato chiamato qui per questo".
"In che senso?".
"Per far quadrare i conti".
"Sì, ma…".
"Il giornale è in caduta libera. Le vendite sono crollate. La dipartita di Fumagalli ha determinato uno tsunami editoriale difficilmente gestibile".
"Eppure Alice avrebbe bisogno di una mano".
"Il web non dà ritorni economici, non serve il suo contributo, il motore pubblicitario segue delle regole ben precise".
Mario non ci crede. Ma questo da dove arriva? Come può permettersi di liquidare con una telefonata di pochi secondi, colui che ha scritto tremila articoli ed è una delle firme più presenti nella storia del giornale?
Chiede spiegazioni. Ma Corona non ha tempo, dice che deve lavorare. Beato lui. Mario insiste. Corona gli dice che ha già lasciato a casa dei capi e che ora per far quadrare i bilanci, deve per forza iniziare a lasciare a casa i pesci piccoli come Mario. Mario ribatte che i capi hanno le spalle coperte, lui no. Corona se ne strafrega. Mario afferma che senza l'entrata della Luce non potrà pagare il mutuo e dar da mangiare alla sua famiglia. Corona non fa neanche una piega. Mario blatera che perfino Fumagalli ha più volte parlato e continua a parlare di meritocrazia nei suoi editoriali e dell'impossibilità morale di abbandonare al loro destino gente come Mario. Ma Corona è irremovibile. Mario e Corona si salutano.
"Arrivederci".
"Arrivederci".
Mario è sconcertato. È accarezzato da un istinto omicida.
"Morte al boia bastardo".
Ricorda quel giorno in redazione in cui un fattorino disse che l'ambiente di via Milazzo gli ricordava la scenografia ideale nella quale girare la scena di un film di un tale che entra e fa una strage. Adesso capisce cosa voleva dire.
"Dov'è che si nascondono le carogne?".
Pensa poi a un libro recentemente letto di Jim Shepard, "Project X", incentrato su due giovanissimi killer intenzionati a far saltare all'aria una scuola. Degli eroi. Pensa ai terroristi di Al Qaeda. E se fossero proprio le persone come Corona a spingerli a compiere gli attentati nei cosiddetti paesi civilizzati? Perché non si ha il coraggio di assumersi le proprie responsabilità? Perché non si ha il coraggio di indagare a fondo la psicologia delle persone per capire che tante volte la causa dei nostri mali siamo proprio noi stessi?
Mario non si arrende. Cerca di mettersi in contatto con Salvi. Il vicedirettore della Luce gli scrive una mail il 12 marzo nella quale gli spiega che proverà a fare qualcosa. Santi numi.
"Cercherò una soluzione, anche se non sarà facile".
"Possibile che non ci sia un modo per farmi andare avanti?".
In realtà non fa niente. Passano tre settimane. Tre settimane di totale silenzio in cui Mario cerca inutilmente di rimettersi in contatto con Salvi. Salvi è occupato, Salvi è in riunione, Salvi adesso non può, Salvi adesso ha da fare. È sempre la solita centralinista a fucilare i buoni propositi di Mario.
"Mi dispiace".
"Ma voi siete solo capaci di dire mi dispiace?", vorrebbe fischiare Mario nelle orecchie di tutti quelli della Luce.
Passano altri dieci giorni. Salvi è preso con le elezioni. Il Pdl e Fagiani, la Lega e Bassani, Parisi e il carcere, Pirovano e la sua inutile candidatura. Ancora non ha tempo per Mario.
Mario contatta il comitato di redazione su consiglio di un amico che lavora alla Rizzoli. Gli risponde un tal Carlo Sivori. Mario gli rispiega tutta la rava e la fava per filo e per segno, ma Carlo Sivori gli dà poche speranze. Gli dice che - essendo un collaboratore - possono disfarsi di lui quando vogliono. È la legge.
"La legge?".
"La legge".
"Mi dia qualche dettaglio in più".
"Essere stronzi è, ahité, incontestabile in punta di diritto. Quello che ti hanno detto Biagini e Salvi non vale un cazzo".
"Viva la giustizia".
"Il tuo caso è passato in archivio. È la legge".
Bella legge di merda, pensa Mario. Altri dieci giorni di pena. L'apocalisse all'orizzonte. Mario si ritrova a dover per forza giocare l'ultima carta, quella che non avrebbe mai voluto mettere in campo: decide di andare in redazione e parlare con Marco Bolognini. L'agonia.
Mario contatta la segretaria di Bolognini non senza difficoltà: una ventina di telefonate e altrettante mail a vuoto prima di potersi esprimere. La solita tiritera. Come se cercasse di comunicare con Dio. Con un Dio vigliacco e incivile.
Gli dice che deve assolutamente parlare con il capo. Il grande capo. Ma la segretaria è vaga.
"Adesso vediamo".
"Adesso vediamo?".
Un fatto curioso. Prima tutte le segretarie gli davano del tu, ora gli danno del lei, come se all'improvviso si fosse trasformato nel primo pirla che passa per strada e chiede di poter collaborare con La Luce. E invece lui ha già scritto per il giornale più di tremila articoli! Forse più di quelli redatti dallo stesso Fumagalli! Mario è scandalizzato. Potrà dire ai suoi due figli affamati "adesso vediamo?".
Dopo una decina di telefonate supplichevoli Mario riesce, in ogni caso, a ottenere l'incontro con Bolognini. Dio. Arriva il giorno dell'appuntamento. Si ripresenta il copione dell'altra volta. Ma l'atmosfera è ben più lugubre. Bolognini è molto meno sorridente.
"Forse perché questa volta non c'è fuori Mantovani, il delinquente, pronto a fargli visita e a leccargli il culo?", riflette il freelance.
Mario attacca dicendo che senza il fisso della Luce non può campare. Lo ha già ripetuto mille volte, senza esito. Ma Bolognini è ipoacustico da qualche minuto. Il direttore cerca di far capire a Mario che c'è crisi, e che molti altri hanno fatto la sua fine. È una fine inevitabile. L'azienda per andare avanti deve anche affidarsi a queste soluzioni ciniche e spietate.
"Lo stato di crisi è stato prorogato".
"Sono stanco di sentire questa parola".
"Ma è la realtà che ci circonda".
"Ai miei figli non importa molto del fallimento delle banche americane".
"La prego, signor Galimberti, dove vuole arrivare?".
"A rivendicare il mio diritto di lavoratore, onesto e meritevole".
"Tutti sono in qualche modo meritevoli di qualcosa. Ogni persona veste il suo ruolo nella società, e come tale va rispettata".
Mario vorrebbe rispondere malamente a Bolognini, tirando in piedi il fatto che finché ci saranno persone che senza scrupoli guadagnano quello che guadagna lui, non ci saranno grandi chance per tutti gli altri. Nelle sue orecchie risuona il vecchio leitmotiv della rivoluzione francese: libertà, uguaglianza, fraternità. Cazzo. Parole che chissà quando prenderanno veramente forma nella società malata in cui siamo costretti a navigare.
In pochi secondi nella mente di Mario trascorrono più di duecento anni di storia. Un'immagine, in ogni caso, ha la meglio sulle altre. È quella della ghigliottina che pende inesorabile sul capo di tiranni come Bolognini e del suo leccapiedi Corona. Poco dopo è invece la volta di un'immagine. Quella in cui Georg Dreyman - nel film di Florian Henckel von Donnersmarck "Le vite degli altri" - umilia il ministro della cultura Bruno Hempf, scandalizzato dal fatto che un governo possa avvalersi di persone tanto infami. Come può, dunque, il giornalismo italiano essere rappresentato da personaggi del calibro di Bolognini? Come si può razionalmente pensare che il centro-destra possa essere una valida alternativa alla debole sinistra italiana?
Bolognini sbuffa. Mario lo guarda in cagnesco, ma evita di andare avanti a parlare con uno che sa già non lo ascolterà nemmeno se dovesse rimanere lì per una vita.
"Va beh, arrivederci".
Torna a casa con la coda fra le gambe e una rabbia che non si può comprendere.
La notte trascorre agitata e a poco servono le parole di consolazione della moglie e gli sguardi spensierati dei due piccoli che continuano a saltargli intorno come folletti. Si gira e rigira nel letto senza prendere sonno. Si alza. Raggiunge la cucina per bere un sorso d'acqua. Riprova a dormire. Tenta con il libro che ha sul comodino, guarda caso un testo sulla ghigliottina recentemente recensito proprio dalla Luce dal titolo "La vedova allegra". Niente. Alle tre esce in cortile, magari cambiando aria…
Si mette a fissare le stelle. Come se le stelle, all'improvviso, avessero un consiglio da dargli. Un suggerimento. Infatti… Mario, come per magia, torna sereno e lucido, nel momento in cui è accarezzato da un'idea folle, geniale. Grazie al luccichio degli astri, adesso sa perfettamente cosa fare.
Passano un paio di giorni. È un caldo martedì di aprile quando decide di raggiungere per l'ennesima volta la redazione della Luce. In questa occasione, però, non è mogio e afflitto, come accadeva negli ultimi tempi, ma fiero e orgoglioso. Cammina con la testa alta.
Ha con sé un lucchetto e una catena, organizzata in un'imbracatura di sicurezza. In via Milazzo soffia un piacevole venticello e l'odore della primavera è un'autentica goduria. A destinazione gli bastano pochi secondi per cingersi la vita e le spalle con la strana cintura acquistata in ferramenta, e immolarsi alla cancellata dell'ingresso del giornale. Fa scattare la molla del lucchetto, impugna la chiave e la fa sparire in un tombino vicino: il gioco è fatto. In queste condizioni possono liberarlo solo i vigili del fuoco.
Il volto di Mario è raggiante. Ripensa a quelli che, anche se non li ha mai conosciuti, ritiene ormai degli amici fraterni: gli operai dell'Italia Costruzioni, rimasti per otto giorni, ad agosto, in cima alla gru protestando contro il licenziamento.
Le macchine in colonna cominciano a guardare sbalorditi Mario, incatenato all'ingresso della Luce. Non credono ai loro occhi.
"Cosa ci fa quel malato di mente appiccicato al cancello?".
Il primo della Luce a vederlo è Carlo Sivori, il sindacalista. Strabuzza gli occhi. Poi fila dritto per la sua strada. Così si comportano tutti gli altri che arrivano dopo di lui. È una scena a dir poco deplorevole… Arriva Corona e impallidisce. Cosa sta combinando Galimberti? Deglutisce imbarazzato, prima di guadagnare anche lui come un furetto le scale per la redazione, in qualche modo consapevole della sua responsabilità.
Mezz'ora dopo la messinscena di Mario, è la volta di Anna Molinari, l'unica che si degna di rivolgere la parola all'ex collega. Gli chiede spiegazioni, il perché di questo gesto. Mario con un sorriso indefesso le dice semplicemente che se deve proprio morire di fame, lo farà davanti al giornale che l'ha mantenuto per otto anni prima di abbandonarlo per strada come un verme.
Anna è sgomenta. Cerca di dissuaderlo dal suo scopo. Ma Mario le dice che c'è ben poco da fare. La chiave è finita nelle fogne di Milano. E nemmeno Dio potrebbe tirarla fuori dal ventre putrido della città.
"Ti prego Mario, magari c'è un'altra soluzione".
"Non ci sono soluzioni".
"Ma hai provato…".
"Le ho provate tutte, credimi, dovreste trovarvi al mio posto per capire quel che sto dicendo".
Anna se ne va. Mario continua imperterrito nella sua gag. Peccato non vedere comparire all'orizzonte Bolognini, col suo faccione da cavallo.
In effetti, manca solo lui all'appello. Ma oggi, forse, è il suo giorno di riposo. Ieri, peraltro, era ad Anno Primo, la nota trasmissione di Rai Uno, si sarà stancato, poverino. E parlava di meritocrazia. Figlio di puttana.
"Brutto ipocrita della miseria. A questa stregua è meglio Tagliabue e la sua cricca di borghesi travestiti da pezzenti".
Ma va bene anche così.
Dopo un'ora e mezza d'incatenamento è il momento della prima troupe televisiva. Qualche automobilista ha abboccato alla grande. Sono quelli di Telelombardia. Chiedono a Mario il motivo della sua protesta. E lui gli risponde con grande serenità:
"Ho lavorato per La Luce otto anni, sei giorni su sette, ho scritto tremila articoli, e adesso mi vogliono far fuori come un indolente parassita".
La troupe televisiva chiede ulteriori chiarimenti. Trovano davvero anomalo il fatto che si possa far fuori una persona che ha dato così tanto per un'azienda. Giuridicamente gli spetterà qualcosa…
"Non c'è altro da aggiungere. Se sono venuto qui è perché non ci sono altre strade per rivendicare il mio diritto di lavoratore".
"E adesso cosa intende fare?".
"Imitare quelli dell'Italia Costruzioni".
"Cioè?".
"Starò qui fino al sorgere del nuovo sole, e dell'altro ancora se sarà necessario".
"Non si schioderà finché non le verrà restituito il lavoro?".
"Esattamente".
A quelli di Telelombardia succedono i giornalisti di Rai Tre, Rete A, Milano News e infine Canale Cinque. Con quelli di Mediaset c'è anche un volto assai noto della televisione: è Vincenzo Sulmona, del programma L'altra Notizia. Interroga Mario e rimane basito.
"Come hanno potuto comportarsi così i suoi colleghi, signor Galimberti?".
"Hanno potuto e stop".
"Eppure lei dovrebbe godere di qualche ammortizzatore sociale…".
"Gli ammortizzatori sociali? Non so nemmeno cosa siano. Benedirei la cassa integrazione".
"Ma è scandaloso".
"Questa è la legge, mi hanno detto".
Dopo Sulmona, Mario è affiancato da due uomini delle forze dell'ordine e dal capo dei vigili del fuoco, sopraggiunti con l'arrivo delle telecamere.
Le forze dell'ordine cercano di convincere Mario a lasciarsi liberare dai vigili del fuoco che le cose, dopo tutto questo cancan, sicuramente volgeranno in meglio, ma il freelance non ne vuole sapere.
"Si fidi di noi".
"Non mi fido più di nessuno".
"Vedrà che…".
Niente da fare. Mario non desiste. Si lascerà liberare solo quando Corona, Bolognini, Salvi e Biagini verranno a supplicarlo di riprendere a scrivere per il giornale, chiedendo pubblicamente scusa.
Passano altre due d'ore. Mario finisce su Youtube e il video è cliccatissimo. Gli internauti si schierano in massa in favore di Mario: il giovane padre di famiglia incatenato davanti alla redazione della Luce… In poco tempo nascono due gruppi su Facebook a sostegno del povero collaboratore del giornale di via Milazzo, emarginato senza motivo come un lebbroso.
"Mario tieni duro".
"Siamo tutti con te":
"I figli di puttana della Luce non meritano un giornalista come Mario".
Mario viene informato dalle forze dell'ordine che la sua protesta ha fatto centro. L'opinione pubblica è con lui.
Mario si rende conto di aver ottenuto ciò che vuole e, finalmente, con le ultime luci del giorno, dopo circa dieci ore di sacrificio, di fronte a migliaia di automobilisti ignari, si abbandona alle mani dei vigili del fuoco che lo liberano dalla morsa delle catene.
Alle 20.00 parlano di Mario molti telegiornali. Il giornalista in poche ore diventa una specie di star, il beniamino degli ultimi, di coloro che, pur lottando un'intera vita, non riescono mai ad emergere solo perché sono troppo onesti con se stessi e con gli altri. Mentre quelli della Luce non possono far altro che nascondersi dietro a una vergognosa indifferenza. I loro nomi: Marco Bolognini, Sandro Corona, Patrizio Salvi, Fabrizio Biagini.
L'indomani Sulmona si presenta davanti alla redazione della Luce. Raggiunge Corona e chiede spiegazioni in merito all'accaduto. Corona fa finta di non sapere nulla. Sono ordini impartiti dall'alto. Lui non ne sa niente.
"Ma come è possibile signor Corona?".
"Le dinamiche burocratiche dei giornali sono molto più complicate di quanto si possa immaginare. Nessuno voleva infierire sul nostro ex collaboratore".
"Il vostro giornalista ha anche due figli piccoli e un mutuo salato da pagare. Chiede solo mille euro al mese. Ha lavorato per La Luce otto anni di fila".
"Glielo ripeto. Io non c'entro nulla. Ho agito per conto dell'azienda".
Sulmona va a pescare anche Bolognini rintanato in un ristorante meneghino dalle parti di Brera. È in compagnia di una suadente apprendista con i capelli biondi raccolti e una borsetta che su due piedi basterebbe a sfamare mezzo Congo. Ma anche Bolognini dice di essere all'oscuro della vicenda, scaricando le colpe su fantomatici amministratori che evidentemente hanno agito con pochi scrupoli.
Sulmona, davanti a tanta falsità e spavalderia, non ha nemmeno la forza di mollargli il suo famoso tacchino, col quale è solito bollare chi cerca di fare il furbo. In compenso riesce a farsi fare una promessa davanti alle telecamere: nel giro di ventiquattro ore reintrodurrà nella squadra del giornale il meritevole Mario Galimberti.
L'indomani Bolognini chiama Mario dicendogli che è stato vittima di un clamoroso equivoco e che lui non avrebbe mai voluto emarginarlo, che il giornale non può fare a meno della sua vibrante penna.
"È così, glielo posso assicurare. La volta scorsa, nel mio ufficio, non sono stato forse abbastanza chiaro".
"È stato chiarissimo".
"Non dicevo che…".
Mario lo sta a sentire per pietà. Gli dice che va tutto bene e che non c'è nessun problema e che riprenderà quindi felicemente a collaborare con La Luce. In realtà ha appena firmato un contratto sostanzioso con l'Eni, in procinto di dare il via a un giornale web. L'hanno contattato subito dopo il caos suscitato dal suo eroico gesto. Mario sarà uno dei responsabili della testata e percepirà il doppio di quello che prendeva alla Luce.


Poi…


Da lì a qualche mese il quotidiano diretto da Bolognini, anche per via della perdurante crisi economica, comincerà ad accusare problemi di vendita. Cinquemila copie, diecimila copie, ventimila copie… Un anno e mezzo dopo la redazione finirà smembrata. Gli uffici di via Milazzo verranno occupati dall'atelier di moda di un magnate russo, col suo interminabile stuolo di facinorose escort. Si partirà con i prepensionamenti e poi con i licenziamenti. Alla fine rimarranno in redazione solo quattro gatti che si scanneranno tra loro, mentre Mario Galimberti, pur senza volerlo, diventerà un boss del giornalismo online.
Uno degli ultimi ad andarsene sarà l'ex sindacalista Carlo Sivori, del comitato di redazione, che invano aveva tentato di salvare Mario dalla balordaggine dei vicini di scrivania.
Dopo tre anni il giornale crollerà su se stesso e sarà costretto a chiudere i battenti. Stessa sorte toccherà a molte altre testate giornalistiche surclassate dall'avvento di internet e dalla definitiva consapevolezza che per una società giusta ed equilibrata è davvero necessario mettere sempre e comunque al primo posto l'uomo e non più il business. Per i giornalisti vecchio stampo, ipocriti, crudeli, mangiasoldi, giungerà il momento del giudizio.
E così oggi, in occasione dell'inaugurazione di Expo 2015, di Bolognini, Corona, Salvi e Biagini, si sono perse completamente le tracce. Qualcuno dice di averli visti rincorrere i propri fantasmi su qualche tv privata, o redigere articoli su tombini divelti e vecchiette cadute dalle scale nelle redazioni di piccoli giornali web. Mario però ci crede poco. La ghigliottina artigianale che nasconde in garage sotto una pesante coperta è ancora inzuppata di sangue.

Nessun commento:

Posta un commento