mercoledì 19 febbraio 2014

La pittura di Joseph Todorovitch

American painter Joseph Michael Todorovitch was born in San Gabriel, California. This young artist was inspired as a child by his grandmother, and has enjoyed the creative process as long as he can remember. Realizing art is life, he aggressively began to study drawing as a high school student, and then attended Cal State University Fullerton where he received his bachelor degree in fine art. During this time Joseph also studied at various southern California art schools and developed a great respect for sound draftsmanship and traditional painting. As he studied art history, he was greatly inspired by the painters of the 19th and 20th centuries. Also drawn to the work of contemporary masters, Joseph has continued to be heavily influenced by their naturalistic style.



lunedì 10 febbraio 2014

La voce di Israel


LA VOCE DI ISRAEL

Tra le pagine del tempo
E' scritto un altro nome
Dall'accento un po’ straniero
Italiano per cognome
Per le strade gira carico di fantasia
Per le strade corre carico di allegria

Lo conoscono per finta
Forse il prete per davvero
Ma in quell'abito scucito
Sembra proprio un uomo vero
Lo accompagnano per mano i genitori
Lo riprendono per sempre i suoi tutori

RIT. Sarai grande per davvero
Quando gli alberi da frutto
Saranno germogliati
Nel tuo cuore ormai sconfitto
Preso a rate dal buon samaritano
Preso a rate dalla moglie di un sultano

Da grande sarai la legge
E da buon carabiniere
Profeta di giustizia
E di certo buon borghese
Per quegli uomini che inventano illusioni
Per quegli uomini pietisti un po’ coglioni

Padre di cinque figli
Di una casa e di un cortile
Ministro dei pezzenti
Con quell'aria giovanile
Per un dollaro d'onore e carità
Per un giorno nuovo che mai arriverà

RIT. Sarai grande per davvero
Quando gli alberi da frutto
Saranno germogliati
Nel tuo cuore ormai sconfitto
Preso a rate dal buon samaritano
Preso a rate dalla moglie di un sultano

E porterai per non morire
La tua vita come esempio
Cercherai fra le scartoffie
L'indirizzo di quel tempio
Dove pregano per gli angeli di strada
Dove pregano per chi non ha più casa

1994 

La nostra generazione


LA NOSTRA GENERAZIONE

Ho chiuso i conti col passato
Mi sono scelto un altro amico
Mi sono domandato come sorge il sole
E come fa a brillare

Frequento un'altra religione
Che non si può pubblicizzare
Mi sono domandato come gira il mondo
E chi lo fa girare

RIT. Non è quel che sembra una canzone
Non è quel che sembra una canzone
Ma è soltanto la nostra generazione

Ho chiuso i conti col passato
Non ho più nulla da temere
Mi sono domandato come soffia il vento
E come fa a fischiare

RIT. Non è quel che sembra una canzone
Non è quel che sembra una canzone
Ma è soltanto la nostra generazione

E un'altra volta un pugno nello stomaco sarà
Più forte del presente e del futuro che verrà
Senza tempo e senza età

1994 

Ferragosto # 7


31.

«E' un bel mistero», proseguì il Boffalora.
Calò il silenzio, mentre i raggi della luna continuavano a illuminare il capo di don Filippo, facendogli assumere ogni volta forme e colori diversi. I due si persero in pensieri intimi, lasciando che i vari ceri sparsi per la stanza emettessero il loro ultimo canto. Il Marengo interrogò le proprie esperienze, cercando di dare un nuovo senso alla vicenda, dimenticando per un attimo il biglietto trovato dal Giannino. Rifletté sul fatto che un giorno aveva sentito il curato fare degli strani discorsi sull'amore e sui sentimenti; si stupì che anche un sacerdote potesse comprendere dinamiche tipiche dell'affettività di solito appannaggio di un rapporto di coppia. Aveva dato quasi l'impressione di volersi giustificare, o forse era solo un pretesto per poter fare breccia nel cuore dei popolani, mostrando di conoscere a fondo non solo l'animo maschile, ma anche quello femminile. Seppur in modo velato affrontò la tematica sessuale, spogliandola dei classici moralismi che la chiesa era solita affibbiarle.  
Era accaduto anche nel corso di un'omelia, che ormai volgeva al termine. Non disse nulla di compromettente, ma suggerì in buona sostanza l'importanza dell'amore fisico, fondamentale per coronare al meglio una storia sentimentale, anche dal punto di vista cristiano. Pochi buraghesi avevano dato peso a quelle parole che, in realtà, avevano compreso solo in parte; il curato era stato bravo a parlare per sillogismi e metafore, volendo in pratica esprimere un concetto fra le righe, facendo passare tutto e niente. Ma il Marengo era un uomo altamente istruito, e sapeva che in quell'occasione don Filippo stava dicendo qualcosa di molto profondo, che andava appunto filtrato per poter essere compreso adeguatamente. Lui qualcosa aveva intuito, ma alla fine, non sapendo dove volesse andare a parare il pievano, non aveva dato peso alla cosa, dimenticandola.  
Dal canto suo il sindaco si eclissò dedicando la sua attenzione a tutt'altro, ossia all'idea che ormai da tempo gli ronzava per la testa: costruire un nuovo canale che potesse irrigare le terre che puntavano a Ornago. Da tempo i contadini di quelle parti si lamentavano, perché spesso i raccolti disastravano a causa della siccità e di un sistema irriguo scadente. Non era come per i campi a sud di Burago, che godevano, invece, di un servizio molto più elaborato, per via di una serie di lavori che avevano attuato nei secoli i nobili Trivulzio, a beneficio soprattutto di Omate e Agrate.
Era anche un interesse personale, visto che da quelle parti possedeva delle distese agricole, che di anno in anno ruotava per cercare di ottenere la produzione migliore. Benché negli ultimi mesi avesse lasciato tutto nelle mani di un fattore, per potersi occupare a tempo pieno di politica, che da un po’ stava cercando di esercitare anche al di là dei confini del comune. Fra le persone da convincere per attuare il suo piano, peraltro, c'era lo stesso Marengo, sempre piuttosto contrario agli  interventi sul territorio. Boffalora si convinse, comunque, che gli avrebbe parlato presto, non appena l'assurda situazione del prete scomparso si fosse risolta.

32.

Il Marengo si alzò e prese a trotterellare apparentemente senza scopo intorno alla salma di don Filippo, infastidito da un dolore alla tempia destra, che gli insorgeva tutte le volte che faceva troppo tardi. Il sindaco lo osservò inquieto, ma non se la sentì di intavolare una nuova conversazione. Si conoscevano da parecchi anni, ma non c'era mai stata grandissima confidenza fra i due. Era per via dello strano ruolo rivestito dal Marengo, che spesso cozzava con l'autorità legale del primo cittadino, in teoria colui che avrebbe dovuto in ogni caso avere l'ultima parola. E invece la decisione definitiva per tutti gli aspetti legati alla comunità toccava quasi sempre al Marengo.
«Sentito anche tu?», disse all'improvviso il saggio del paese.
«Sentito cosa?».
«Un colpo».
Il sindaco agitò la testa.
«Eppure…».
Un altro colpo più forte convinse entrambi: sembrò quello che si ode quando qualcuno sta cercando di spostare un mobile, strisciandolo sul pavimento perché troppo pesante.
«Di sopra», disse Boffalora.
Si guardarono preoccupati. Era ormai notte fonda e tutti i compaesani erano già a letto, o in procinto di infilarsi sotto le lenzuola. Come poteva essere spiegato quel rumore?
«Andiamo», disse il Marengo, sollecitando il sindaco a darsi una mossa.
Il primo cittadino si alzò di malavoglia, preoccupato per la propria incolumità. Aveva uno strano sentore. E come la Cesira poco tempo prima fu vittima dell'ipotesi che in quella casa ci fossero i fantasmi e che, forse, proprio quello di don Filippo si stesse ora prendendo gioco di loro o gli stesse tramando qualcosa alle spalle. Burago, del resto, era una comunità all'antica, che osservava in tutto e per tutto i precetti cristiani che si tramandavano da secoli, per non dire millenni. E in paese era assai viva l'idea che forze soprannaturali castigate dalla Provvidenza, potessero in qualche modo interferire con il quieto vivere dei popolani. Le leggende, a proposito, si sprecavano.
L'unico in grado di mantenersi sempre e comunque razionale era il Marengo, che non aveva mai creduto alle tante storie di spettri che giravano in paese, né alle voci che volevano la Marta Bucchi, responsabile di chissà quali sortilegi ai danni di chiunque osasse guardarla malamente o pettegolare sul suo conto.
Il sindaco si mise in pista quando il Marengo aveva già percorso metà scala. Salirono quatti, quatti, cercando di fare meno baccano possibile.
Da sopra, intanto, giungevano nuovi sordidi messaggi dall'aldilà.
«Marengo, attento», sussurrò il Boffalora.
«Datti una svegliata, potrebbero essere più di uno».
Il sindaco prese a tremare, quando si udì un sommesso ma evidente chiacchierio proveniente dalla camera del prete.
«Chi può esserci là dentro?», mugugnò fra sé il Marengo.
Si disposero ai lati della porta socchiusa, uno a destra e l'altro a sinistra. Il Marengo estrasse un coltello che portava sempre con sé, infilato in una specie di tasca interna dei pantaloni.
«Sei pronto?», domandò al primo cittadino.
Il Boffalora disse sì a denti stretti, ma in quel momento avrebbe preferito essere da ben altra parte.
«Andiamo».
Il Marengo con una spallata spalancò la porta della camera di don Filippo, impugnando l'arma come un indigeno bellicoso, protagonista di qualche romanzo d'avventura.  
Partì un urlo a due voci, dettato dalla paura di venire affettati dalla furia del Marengo: erano l'Ambrogino e il Giannino, spaventati a morte e del tutto impreparati alla comparsa dei compaesani in assetto da guerra.

33.

«Che ci fate voi qui?».
Ci fu un attimo di empasse. L'Ambrogino e il Giannino si guardarono esterrefatti.
«Pensavamo di trovare qualcosa che potesse aiutarci a far luce sulla morte di don Filippo», disse il Giannino, con aria desolata. «Avendo trovato qui il famoso biglietto, abbiamo pensato che…».
«Non dovreste prendere iniziative per conto vostro», affermò il Marengo, con severità. «Avremmo potuto farvi del male».
Ancora gli brillava la lama del coltello fra le mani.
«Non volevamo creare scompigli», disse l'Ambrogino. «Dopo la veglia ci siamo messi a frugare intorno alla casa, e alla fine siamo giunti fin qui. Siamo entrati dalla finestra del retro e non pensavamo che foste ancora al capezzale del prete».
Il Marengo e il Boffalora li guardarono stizziti.  
«Abbiamo tirato tardi per un motivo ben preciso», disse il Boffalora.
«In che senso?», chiese il Giannino.
«Andiamo dabbasso che vi facciamo vedere».
La luna si era spostata e il suo luccichio non era più utile a indagare l'anatomia devastata del curato. Il Marengo e il Boffalora ridettero quindi vita alle candele sparse per la stanza, sollevando un gran profumo di cera, che piacque soprattutto ai due nuovi arrivati.
«Ecco», disse il Marengo, puntando l'indice sulla tempia di don Filippo.
«Cosa c'è?», chiese il Giannino.
«Vi sembra normale?», domandò il sindaco.
L'Ambrogino si avvicinò con spirito indagatore, seguito immediatamente dall'amico. Notarono qualcosa di strano sul corpo livido del prete, ma non seppero giustificare l'enfasi dei due adulti. Di fatto il capo di don Filippo era ormai completamente violaceo e quell'aria anatomica indicata dai due uomini non sembrava tanto diversa dalle altre.
«Pare una ferita», mugugnò il Giannino.
«Appunto», fece il Marengo.
«E allora?», disse l'Ambrogino.
«Secondo voi è possibile che don Filippo possa essersi procurato un livido del genere cadendo nello stagno?».
L'Ambrogino e il Giannino si interrogarono senza giungere a un risultato soddisfacente.
«Boh», disse il Giannino, «non me la sentirei di escluderlo».
«Però il fondo del lago è melmoso», arguì l'Ambrogino, «difficile picchiare contro un sasso. Io ci sono entrato in quel laghetto…».
Il Marengo lo osservò con affetto. Ancora una volta il giovane era riuscito a convincerlo della sua intelligenza e lungimiranza.
«Esattamente. Lo stagno è melmoso e… guardate bene questa ferita… risulta incomparabile all'ipotesi che possa essersela procurata scontrandosi con una roccia».
«Vorreste quindi dire che…», replicò l'Ambrogino.
«Per ora non possiamo dire niente, se non che don Filippo è morto», commentò Boffalora, «tuttavia questa ecchimosi sta a indicare che le cose potrebbero essere andate diversamente da come abbiamo supposto finora. Gli sviluppi della vicenda potrebbero essere molto più complessi».
«Gandolfo», disse, di botto, il Giannino, «chiediamo al medico del paese, saprà sicuramente darci qualche informazione in più».
«E' quel che pensavo anch'io», affermò, stupito, il Marengo, «chi se la sente di andare a chiamarlo?».

34.

«Un attimo, però», disse il Boffalora, «ora che ci penso, Gandolfo è ammalato. Non si è ancora fatto vedere perché è a casa con la gastroenterite».
«In effetti», disse il Marengo, «non c'era nemmeno durante la veglia».
«Ho visto sua moglie e mi ha detto che è steso a letto da un paio di giorni», precisò il sindaco.  
«Gastro che?», domandò il Giannino.
«E' una malattia dello stomaco, della pancia», disse il Boffalora, «quella che ti fa andare in bagno ogni due minuti».
Spalancò gli occhi sorridendo.
«La diarrea, ha la diarrea, se la sta facendo sotto», disse il Giannino sganasciandosi come un poppante.
«Come la mettiamo, quindi?», domandò l'Ambrogino.
«Non abbiamo alternativa», disse il Marengo, «se domani don Filippo verrà tumulato, non avremo più la possibilità di scrutarne il corpo in cerca di indizi che potrebbero portare a un nuovo fronte delle indagini. Senza Gandolfo rischiano di perdere delle informazioni preziose. Solo lui potrebbe dare conferma alle nostre ipotesi».
«Va bene, ci pensiamo noi», fece l'Ambrogino, sempre più protagonista della vicenda costata la vita al pievano.
I due giovani si incamminarono nel buio totale della sera, soffermandosi con una certa apprensione sulle porte e le finestre ben serrate dei compaesani, come se tutti temessero che lo spettro del prete, per chissà quale motivo, potesse far visita ai loro giacigli imponendogli terribili penitenze. Di buono godettero del respiro notturno dei campi, così profumati durante questo periodo della stagione estiva. 
«Non gli farà piacere», disse l'Ambrogino.
«Se non viene lo tiriamo giù di forza dal letto».
A destinazione bussarono vigorosamente all'uscio del medico di famiglia. Si fece notare dalla finestra del piano superiore la moglie, con i capelli scompigliati e un'aria spiritata.
«Ma come diavolo vi permettete di fare tutto sto baccano nel cuore della notte? Cosa vi è preso? Se questo è uno scherzo non mi farò scrupoli a dirlo ai vostri genitori».
La signora era davvero imbufalita, ma i due giovani sapevano di essere dalla parte della ragione e con stoicismo proseguirono nella loro missione.
«C'è il dottore?», chiese il Giannino, «il Marengo e il sindaco lo stanno aspettando in casa di don Filippo».
«Cosa?!», sbigottì la moglie del medico, «cosa gli salta in mente? Il dottore è malato, l'ho già detto al Boffalora, possibile che…».
«Don Filippo potrebbe non essere morto annegato, signora, ci ascolti», disse l'Ambrogino, «e il parere di Gandolfo potrebbe essere determinante per fare luce sulla vicenda».
Il medico che aveva udito gran parte della conversazione, si rivestì in fretta e furia e prima ancora che la moglie gli andasse a dire qualcosa era già dabbasso con i due giovani.
«Gandolfo!», urlò la moglie, «non sei nelle condizioni di… e se poi ti scappa dal curato…».
Il medico la liquidò con un brutale gesto della mano. Capì la gravità della situazione e non si preoccupò del fatto che fino a pochi istanti prima era stato costretto a raggiungere il bagno ogni due minuti per liberare l'intestino.
«Il Marengo dice…», principiò il Giannino.
«Non ditemi nulla. Ora vediamo», disse Gandolfo.

35.

Trovarono il Marengo e il sindaco quasi assopiti, ognuno sulla sua sedia, divorati dalla stanchezza.
«Eccoci», cantò il Giannino.
«Dottore», disse il Boffalora, «grazie per essere qui. Abbiamo fatto una scoperta che, secondo noi, potrebbe rimettere in discussione tutta la vicenda».
Il medico, benché non avesse ancora preso parte attivamente al succedersi degli eventi, sapeva già tutto dalla moglie. Non ebbe bisogno di altre delucidazioni e senza alcuna indicazione si avvicinò al corpo senza vita del prete, per osservarlo da vicino.
«E' annegato», disse, limitandosi a scrutarne la faccia.
«Come fai a dirlo?», chiese il sindaco.
«Non è la prima volta che vedo qualcuno morto annegato. La faccia è riconoscibilissima, quando i polmoni saltano per aria il corpo si gonfia e assume questo colorito orrendo».
I presenti patirono un brivido di angoscia, mentre Gandolfo si mise a ispezionare da vicino il corpo, completando una specie di autopsia virtuale. Si aiutò sbottonando la camicia del prete e indagando la marmoreità della salma sotto i vestiti che la Cesira e le altre donne avevano sistemato con tanta cura. Poi arrivò al capo.
«Giannino, fammi bene luce qui».
Era il punto in cui il Marengo e il sindaco avevano individuato la strana contusione.  
«Don Filippo è stato pestato».
Sentendo queste parole i due uomini tirarono un sospiro di sollievo, capendo di essere sulla giusta strada.
«E' quello che abbiamo pensato anche noi», disse il Marengo.
«Non c'è dubbio», rettificò il medico del paese. «Il taglio è profondo, il curato ha perso molto sangue, e questo ematoma giustifica l'azione di un corpo contundente».
«In tal caso la vicenda è tutta da riscrivere, come abbiamo ipotizzato», disse  il Boffalora.
«Non so come possano essere andate le cose, ma è sicuro che una botta del genere non si prende per caso».
«Il fondo dello stagno è melmoso, non è possibile picchiare la testa. Questo significa che don Filippo è stato gettato nel laghetto dopo essere stato colpito al capo», disse l'Ambrogino.
«Può essere», spiegò Gandolfo, «anche se la faccia indica che c'è acqua nei polmoni e che quindi è morto annegato».
«Tutto torna», disse il Marengo, «l'hanno intontito con una brutta botta alla testa, dopodiché l'hanno fatto sparire nello stagno, credendolo forse già morto».
«La tua teoria non fa una piega», disse il sindaco del paese, «ma a questo punto si profila un altro devastante interrogativo: chi e perché avrebbe avuto motivo di uccidere don Filippo?».
Di fronte a questo quesito nessuno se la sentì di rispondere. E furono tutti persuasi di trovarsi dinanzi a un caso giudiziario, un bell'enigma da risolvere da cima a fondo.
Calò il silenzio nell'improvvisata camera ardente, finché il malessere di Gandolfo non ebbe il sopravvento sul suo corpo malandato. L'uomo si sfogò con un peto di proverbiale potenza, impossibile da trattenere fino a casa. A stento i presenti riuscirono a contenere le ghigna.

«Perdonatemi», disse con aria imbarazzata il medico del paese. E corse fuori per liberare l'intestino ai piedi del primo cespuglio che trovò dietro alla casa di don Filippo.