giovedì 23 dicembre 2010

Short stories: "La primavera di Sakhalin"

C'è un impianto di lavorazione del legname in una remota zona dell'isola di Sakhalin, nella taiga, a 83 chilometri dal villaggio di Nish. A sudovest della città di Nogliki, sulla costa del Pacifico, dove non esiste nulla, non c'è nessuno, se non il cielo. Qui vivono due ometti nordcoreani che per mantenere la famiglia hanno scelto di fare i custodi dell'impianto di lavorazione. Sono i primi di agosto. Entro l'inverno siberiano, che non ha bisogno di presentazioni, i datori di lavoro verranno a riprenderli e li riporteranno a casa. Tutto ok.
In realtà passano i giorni, le settimane e i mesi, ma a 83 chilometri da Nish non si vede nessuno. I titolari dell'impianto, evidentemente, hanno altro a cui pensare: i due povericristi, in fin dei conti, possono aspettare. E, infatti, aspettano. Aspettano finché non si fa avanti il capo della comunità nordoreana di Sakhalin, il quale si chiede:
"Che fine hanno fatto i miei compaesani?".
La domanda viene riportata ai capoccia dell'impianto di lavorazione del legname, ma la risposta è vaga. L'uomo capisce che c'è sotto del marcio. Forse la mafia russa. E allora ci pensa lui a sollecitare la polizia del distretto di Nogliki che, di lì a poco, manda un gruppo di agenti in perlustrazione a 83 chilometri da Nish.
L'inverno è finito. L'aria di aprile è clemente e profumata. I fiori sbocciano, gli animali escono dalle loro tane, i fiumi riprendono a scorrere impetuosi. Gli agenti raggiungono l'impianto di lavorazione del legno e finalmente trovano i due nordcoreani… morti di fame.
Olga Savchenko, capo dell'ufficio immigrazione di Sakhalin, è indignata. Rattristita. Angosciata. Convoca immediatamente una conferenza stampa, ma è ormai troppo tardi: la primavera di Sakhalin è già arrivata da un pezzo.

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