
In realtà passano i giorni, le settimane e i mesi, ma a 83 chilometri da Nish non si vede nessuno. I titolari dell'impianto, evidentemente, hanno altro a cui pensare: i due povericristi, in fin dei conti, possono aspettare. E, infatti, aspettano. Aspettano finché non si fa avanti il capo della comunità nordoreana di Sakhalin, il quale si chiede:
"Che fine hanno fatto i miei compaesani?".
La domanda viene riportata ai capoccia dell'impianto di lavorazione del legname, ma la risposta è vaga. L'uomo capisce che c'è sotto del marcio. Forse la mafia russa. E allora ci pensa lui a sollecitare la polizia del distretto di Nogliki che, di lì a poco, manda un gruppo di agenti in perlustrazione a 83 chilometri da Nish.
L'inverno è finito. L'aria di aprile è clemente e profumata. I fiori sbocciano, gli animali escono dalle loro tane, i fiumi riprendono a scorrere impetuosi. Gli agenti raggiungono l'impianto di lavorazione del legno e finalmente trovano i due nordcoreani… morti di fame.
Olga Savchenko, capo dell'ufficio immigrazione di Sakhalin, è indignata. Rattristita. Angosciata. Convoca immediatamente una conferenza stampa, ma è ormai troppo tardi: la primavera di Sakhalin è già arrivata da un pezzo.
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