giovedì 23 dicembre 2010

Short stories: "La presa della Bastiglia"

Le conferenze stampa a cui partecipo avvengono quasi sempre in antichi palazzi o lussuosi hotel. E a parte Palazzo Marino, dove di solito gli incontri sono a pian terreno, finisco sempre col dover fare un po’ di scale a piedi. Per un semplice motivo: soffro di claustrofobia e non riesco a prendere l’ascensore. O meglio: potrei anche riuscirci, ma evito, per non correre il rischio di rimanere bloccato e... Comunque non ci sono grossi problemi: per il circolo della Stampa devo, infatti, fare solo un paio di piani a piedi, lo stesso quando finisco in qualche palazzone del Settecento... Ultimamente, il record, alla Curci Editore: sei piani a piedi. Oggi, però, l’inaspettato.
Oggi devo andare a sentire parlare la bella sessuologa Alessandra Graziottin. Cerco il civico indicatomi dalla mia caporedattrice, piazza Diaz 7, lo trovo; sopra il mio capo svetta una specie di Empire State Bulding. Controllo il foglietto riportanti nomi e indirizzi e leggo che la conferenza si terrà alla ‘Terrazza Martini’. Ahia. Trattandosi di ‘terrazza’, rifletto argutamente, non sarà di certo al secondo piano o al terzo, tantomeno a pianterreno. Infatti… Entro e chiedo al centralinista a che piano si trova la location designata e quest’ultimo, indicandomi l’ascensore, con un dito sghembo, mi dice che è al quindicesimo piano. Sono fregato. In altri casi, infatti, si può sempre optare per la tragicomica frase "per tre o quattro piani di scale preferisco andare a piedi", ma per quindici che chance ci sono di sfuggire alla prigione di Schlinder?
Non ho scelta. Devo buttarmi e prendere l’ascensore o saltare la conferenza. Opto dunque per la prima soluzione. È un attimo. Una collega pone al centralinista la mia stessa domanda e senza remore raggiunge l’ascensore. Come la invidio... Io la seguo senza batter ciglio.
"Vai al quindicesimo?", le chiedo.
"Certo".
"Benissimo, anch’io", dico, senza minimamente far trapelare la mia idiosincrasia per certe diavolerie della scienza e della tecnica. E si parte.
L’ascensore è di quelle più diaboliche, quelle che si chiudono ermeticamente e non lasciano nemmeno l’idea di uno spiraglio d’aria al quale aggrapparsi. Il massimo. La mia coinquilina è piuttosto graziosa. Avrà sì e no ventotto anni, un bel viso, in cima a un corpo minuto. Mi concentro su di lei e insieme vinciamo la forza di gravità.
"Per chi scrivi?", domando.
"Tempo medico", risponde.
Vorrei chiederle altro per non dover pensare che da un momento all’altro potrei rimanere bloccato, ma sono a corto di idee. Parlare con gli sconosciuti in mezzo metro quadrato, evidentemente, non è il mio forte. La giornalista intuisce che non abbiamo più niente da dirci e mi abbandona al mio destino di claustrofobico. Si gira verso lo specchio e si dà una sistematina. È tutto a posto, si racconta. Poi il suono di un campanello. Le porte dell’ascensore miracolosamente si spalancano.
"Siamo arrivati!", esulto come un bimbo che ha appena ricevuto la prima comunione.
La collega mi regala un sorriso schizzinoso e se ne va per la sua strada.
Appena dentro non faccio in tempo a tirare un sospiro di sollievo che vengo accolto da un signorotto elegante che mi offre l’opportunità di lasciare il cappotto in una specie di guardaroba. Indosso un maglione piuttosto disastrato, mentre mi rendo conto dell'aria chic che mi circonda… peraltro ieri ho sudato sette camicie assistendo al concerto dei Dodos, con addosso gli stessi abiti... Vorrei quindi evitare di svestirmi, ma alla fine non mi resta che cedere alle lusinghe del signorotto, mostrandomi in tutta la mia nudità.
Faccio un giro per la ‘terrazza’. È un posto davvero bello, pieno di divani e cuscini, grigi signori e incantevoli signore. Punto lo sguardo oltre i vetri della sala e godo un panorama mozzafiato: non ho mai visto il Duomo dall’alto! Si vede mezza Milano, stadio compreso, Repubblica, il grattacielo Pirelli... Insomma, è stata dura arrivare fin qui, ma ne è valsa la pena. Ho di fianco a me uno del servizio d’ordine. Sembra un pinguino. Ha lo sguardo accigliato. Gli chiedo:
"Sa dove sono le scale?".
"Scusi?”.
"Le scale per scendere, sa, soffro di claustrofobia...".
"Non è così semplice. Alla fine della conferenza, se vorrà utilizzare le scale, mi dovrà chiamare...”.
E io che speravo di sentirmi rispondere "in fondo a destra", come succede sempre con il bagno... Con scarso entusiasmo sono dunque costretto a mormorare "mille grazie", comunque fiducioso di poter contare su di lui per evitare la discesa in ascensore. Parte la conferenza. Nel frattempo si è unito a me Dario, il fotografo della testata per la quale lavoro.
"Ciao Dario, tutto ok?", domando.
"Tutto ok e tu?".
"Bene".
"Sei di corsa?".
"Ho il prossimo appuntamento alle 14.00, se ti va sto qui a farti compagnia".
Cazzo.
Dario rovina tutti i miei piani. Adesso come faccio a dirgli che sono d’accordo col pinguino per scendere a piedi? Dario mica è mio fratello, è uno che conosco sì e no da qualche mese, certe confidenze mica possono essere fatte, la claustrofobia è un privilegio di pochi, e di conseguenza va condiviso con pochi eletti.
La Graziottin è bravissima a parlare di contraccettivi femminili. Fra cerotti anticoncezionali, pillole del giorno dopo, gravidanze indesiderate, l’incontro scivola via in un battibaleno. Suona l’una ed è già ora di tornare all’ovile. Dario m'invita a seguirlo. Ma va? Non vede l’ora di prendere l’ascensore. Glielo si legge negli occhi. È un fanatico degli ascensori. Sicché prenderemo insieme l’ascensore e insieme ci ritufferemo nel presente caotico della metropoli…
Mi guardo intorno sconfitto: nessuna traccia del pinguino, nessuna speranza di cavalcare le scale della ‘Terrazza Martini’. Si ripete, quindi, il copione dell’andata. In ascensore, si parte.
"Eh, eh, che bella conferenza", mugugno come un ebete dopo aver pigiato sul numero zero.
"Sì, molto interessante", mi segue a ruota il mio simpatico e disponibile collega.
"Brillante la Graziottin".
"Molto brillante".
"Anche l’intervistatrice".
"Anche".
All’improvviso l’ascensore sussulta.
"Cazzo, ci siamo".
E invece no. Siamo semplicemente all’ottavo piano, a circa metà strada fra l’inferno e il paradiso, dove un tale ha prenotato l’ascensore per raggiungere anche lui il livello del mare. Nuovo giro, nuova corsa, si riparte.
Dario cinguetta qualche parola sulla sua nuova e funzionalissima macchina fotografica dopodiché, è ancora un suono amico a prenotarsi: quello del campanello che annuncia la presa della Bastiglia. Le porte dell’ascensore si aprono di nuovo. Questa volta è fatta. È fatta davvero.

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