La cosa più curiosa è che alla fine sono arrivato a casa senza nemmeno sapere chi avesse vinto, nonostante il continuo sventagliare – davanti ai miei occhi - di bandiere carioca: ha vinto Barrichello. L'ho saputo più tardi alla TV. A parte questo misero particolare è stato un pomeriggio importante, anche se ho probabilmente rischiato una trombosi venosa profonda (altresì detta sindrome da classe economica), dovuta al fatto di aver tenuto per più di due ore le gambe incastrate fra il mio posto a sedere e la vetrata di fronte, uno spazio non più ampio di trenta centimetri! Ma da dove mi trovavo, ho senz’altro potuto seguire meglio che in qualunque altro angolo dell’autodromo il GP di Monza, essendo proprio sopra alla griglia di partenza: a proposito, questo non me lo sono lasciato sfuggire, in testa c’era Hamilton, che però non è giunto al traguardo.
L’emozione più grande? Aver visto per la prima volta dal vivo il mio pilota preferito (di ieri, oggi e domani), colui che risuona nelle mie orecchie da quando sono nato, al quale ho sempre dato il mio appoggio morale, almeno finché correva: Mr. Niki Lauda. A un certo punto, poco prima del via, l’ho visto filtrare nella corsia dei box col suo caratteristico cappellino della Parmalat, per coprire le cicatrici del devastante incidente che subì nel 1976 a Nürburgring, in Germania. Come Michael Schumacher, pochi istanti prima, anche lui camminava in solitudine. Ma mentre il passo di Shumi era fermo e deciso, il suo era traballante, stanco, malinconico. Ho continuato a osservarlo finché mi è stato possibile, ben oltre la prima area dei pist-stop, dopodichè... è arrivata la Gregoracci...
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