sabato 29 gennaio 2011

Short stories: "Diario africano" (IV)


15 agosto

A pezzi. Ieri sera eravamo a pezzi. Scarnificati. Una giornata lunghissima, interamente dedicata al lavoro, avanti e indietro per due chilometri, con secchi pieni di acqua, estratti a mano da un pozzo esalante odori micidiali. Dicono che in passato vi abbiamo buttato anche due bimbi, albini. Da queste parti gli albini vengono bistrattati e considerati uomini di serie B. Li soprannominano "patate sbucciate", "fantasmi", "demoni". Ancora oggi hanno vita difficilissima e molti di essi - ce ne sono a migliaia - non arrivano all'età adulta. Li fanno fuori prima senza pietà. Si parla addirittura di stregoni che li cucinano. Esattamente: li fanno arrosto e se li mangiano. Cannibalismo puro. Credono così di ottenere benefici dagli dei e di diventare ricchi.
Ieri sera, alle 22.30 eravamo già tutti in orizzontale. In compenso - scusa la messa - alle 6.00 stamane tutti in piedi, pronti a saltare come grilli. Colazione e via, verso Dar Es Salaam. Al volante per la prima volta Enrico, con la jeep di padre Silvestro. Enrico è in gamba e ora che lo conosco meglio, mi piace pensare di avere di fianco una persona per bene, simpatica e attenta. A volte dorme un po’ in piedi, ma probabilmente è il suo metabolismo a fare le bizze. È il più anziano della comitiva e, nonostante tutto, sa infondere serenità e sicurezza. Con noi anche Samson e Deo. In città, ancora una volta, abbiamo provato a chiamare casa, ma di nuovo senza esito positivo. Mi sa che ormai conviene rinunciare. Spero solo che i miei non stiano in pensiero: non li sento da più di due settimane.
In banca abbiamo cambiato un po’ di dollari nella moneta locale: eravamo rimasti a secco. Altri cento dollari a testa sono partiti. Pranzo all'Agip: lasagne, patate arrosto, Coca-Cola. Occidentali? Poi una capatina alla Consolata per recuperare alcune informazioni che serviranno a padre Silvestro: prossimamente verrà a far visita alla missione un pezzo grosso del governo tanzanese ed è necessario accoglierlo nel migliore dei modi.
Visita al Kigamboni hotel e a un mercato dell'avorio situato nella periferia della città, sulla strada per Kibamba: Enrico sta facendo il giro di questi mercatini in cerca di materiale che poi porterà a casa da vendere, per ricavare denaro da inviare alla missione. Personalmente con i regali sono messo abbastanza bene. Ne ho da fare a mamma, papà, Andrea, Gilda, Greta, Silvia, Gianna, Mario, Martino, gli zii. Ma ho già acquistato tre collane, tre braccialetti, un batik, una maschera, un cestino.
Al ritorno, padre Silvestro ci comunica che andremo nuovamente a mangiare dagli italiani della misteriosa ditta petrolifera. I nostri connazionali ci accolgono ancora più calorosamente dell'altra volta, e al termine della cena, mi obbligano a imbracciare la chitarra e a cantare: "Romagna mia", "La bella la va al fosso", "Me compare Giacometo", "La tradotta", "Vengo anch'io, no tu no".
In questo momento io e Roberta stiamo scrivendo, Enrico e Loredana parlottano tra loro, Alessia sta giocando con un bimbo appena arrivato, probabilmente orfano. Cara Gilda, ieri mi sono dimenticato di dirti che anche se sei lontana, qui è come se ti conoscessero tutti. Sanno di te perfino padre Silvestro ed Enrico e Loredana sperano di conoscerti presto. Buonanotte.

16 agosto

Anche ieri sera siamo andati a letto presto. Alle 23.00 tutti caput e già sotto le coperte. Alle 7.30, stamane, la sveglia. Nessun trauma particolare. Stanotte non ho sentito nemmeno il muezzin che mi chiamava. Colazione, lavoro, pranzo, riposo fino alle 15.00, mare fino alle 17.00 con Enrico e Roberta: Alessia e Loredana hanno preferito continuare a sonnecchiare e a dedicarsi ad alcune faccende domestiche.
Oggi c'era una bassa marea incredibile. La melma proseguiva per chilometri. Impossibile fare il bagno. Così a un certo punto ho deciso di andare a farmi quattro passi in solitaria lungo la riva. È la prima volta che al mare mi sgancio dagli altri del gruppo, ma ne è valsa davvero la pena. C'era una magnifica atmosfera. Ancora ho respirato con tutta la forza dei polmoni, per trattenere nel corpo e nell'anima più Africa possibile. Ragiono in termini se non poetici, metafisici, ma tant'è. Sono lieto di poter godere di queste sensazioni (extrasensoriali?), mi danno una grande carica e mi permettono di contemplare la vita nel migliore dei modi. Ma subentrano numerosi quesiti. Per esempio: se la natura fosse davvero così affascinante e amica come sembra, qual è il senso del dolore? Perché è tanto leggiadra la corsa della gazzella, ma non l'azzannata che permette al ghepardo di sbranarla?
Ho camminato per qualche chilometro, ogni tanto correndo. Lungo il tragitto ho osservato vari aironi, una medusa, piante di agave, baobab, papaya, acacia, banana, eucalipto, ficus, croton. L'allergia? Completamente sparita.

17 agosto

La giornata di oggi è trascorsa serena e tranquilla. Placida come onde del mare durante la bonaccia. Tanto per iniziare ci siamo svegliati alle 9.00. Un buon inizio. Nessun sogno particolare. Alla fine anche il muezzin non dà più alcun fastidio. Ci si fa l'abitudine. Come diceva padre Silvestro. Un po’ come accade col tictac della sveglia. Dopo colazione, al mare, poi pranzo e pennichella fino alle 15.00. Alle 16.00 viene Roberta a svegliarmi. Si siede sul bordo del mio letto e m'infila un fuscello erboso nelle orecchie. La mossa è chiaramente preintenzionale e, dunque, doppiamente infingarda. Mi sveglio di soprassalto, mandandola a quel paese.
"Bello scherzo, cazzo".
Roberta moriva dal ridere, spalleggiata dal mio compagno di stanza, brioso come un suricato di fronte a un nido di termiti ingrassate a vitamine e omogeneizzati. Evidentemente non mi sono svegliato con la luna buona. Giù dal letto, esco per prendere aria e farmi passare il cattivo umore.
Durante il pomeriggio assistiamo a un matrimonio. La sposa è vestita di bianco, con un gigantesco turbante in testa. Una bella sposa, alta, principesca, con lo sguardo attentissimo. Lo sposo meno affascinante, con un tradizionale abito nero, molto più anziano e sornione di lei. Ma il top sono le madamigelle. Bimbe sprizzanti gioia da ogni poro, con acconciature rocambolesche, e abiti cangianti. Scatto molte foto.
Dopo il matrimonio mi apparto con Samson, per registrare altri canti africani. Domani è prevista una festa. Mi sembra di vivere in questa terra da sempre.

18 agosto

Ieri il relax, oggi la mazzata. Parlare di una giornata estenuante è un eufemismo. Appena svegli, colazione e via per un villaggio vicino, sulla strada per Mjimwema, centro di circa diecimila abitanti. Alle 10.00 siamo a destinazione, freschi come rose. Gli abitanti del posto ci accolgono con fervore, prima di ospitarci nella loro chiesa principale, addobbata di fiori, ghirlande e da un grande crocefisso in ebano sopra all'altare. Ancora non lo so del destino avverso: una messa di ben due ore e mezza. L'avessi saputo prima! Mai visto niente del genere. Certo, i canti africani continuano a essere entusiasmanti, ma l'immobilità eccessiva è un supplizio che non riesco proprio a gestire. Magari soffro di deficit di attenzione e iperattività o della sindrome delle gambe senza riposo. In effetti, sono l'unico ad avere un così difficile rapporto con le lunghe permanenze in un luogo chiuso, praticamente a guardare per aria, ma è davvero un disagio che non riesco a vincere.
"Dici che se esco a prendere una boccata d'aria si arrabbiano?", chiedo mestamente ad Alessia.
"Direi di sì".
"Non ce la faccio più".
"Dai resisti, sono passate appena due ore e siamo solo al santo".
Avrei mandato volentieri a quel paese l'amica, ma viste le circostanze, non mi è rimasta che la rassegnazione.
Dopo la messa ci accompagnano in una vasta radura, circondata da mastodontici baobab, dove assistiamo a una lunga serie di danze. Sono sempre più impressionato dall'abilità degli africani nel ballo. Ogni persona ha una leggiadria proverbiale, comprese donne dalla stazza quantomeno ragguardevole. Non è il peso che conta, evidentemente, ma l'anima, l'approccio giusto alla filosofia della danza. Sembrano in trans, rapiti da chissà quali misteriosi demoni.
Alla festa partecipano i rappresentanti di numerosi villaggi, ogni villaggio presenta il suo numero. Coreografie sublimi. Una gran bella lezione di antropologia culturale, in breve il disagio patito durante la messa si dilegua, ridandomi serenità e voglia di fare.
Alle 13.30 il pranzo, con padre Silvestro e vari altri missionari della Consolata, compreso padre Isacco. Padre Isacco mi fa sempre più ridere. È un bonaccione alto due metri e largo non saprei dire quanto, ride sempre, è sempre di buonumore, mette allegria solo guardarlo. Ho provato a pensare a come potrebbe andare il mondo se tutte le persone fossero come lui. Più volte mi ha dato una manata sulla spalla, sollecitandomi a fare un po’ di pesi che mi vede un po’ troppo gracilino. Certo raffrontato a lui…
Col pranzo provo un senso d'inadeguatezza nel verificare che noi occidentali, con i missionari, siamo accomodati a un lungo tavolo fornito di ogni ben di Dio, ognuno con il suo piatto e le sue posate. Mentre gli abitanti locali sono costretti a disegnare geometrici cerchi per terra, al centro un solo vassoio da cui attingere all'unanimità con le mani sozze un po’ di riso. La discriminazione inizia da qui? Prima di mangiare tutti in piedi per la preghiera di ringraziamento, poi il via all'abbuffata. Molti sembra che non mangino da mesi.
Dopo pranzo la festa prosegue con nuove danze, finché non arriva anche il nostro turno.
Ahia.
Noi non abbiamo nulla di spettacolare in programma, ci sentiamo un po’ in imbarazzo.
"Che facciamo?", mi domanda Enrico.
"Dobbiamo per forza fare qualcosa?".
"Sennò la prenderebbero come un'offesa".
"Facciamo ballare le nostre donne".
Enrico mi tira un'occhiata di disapprovazione.
"Dai, fai il serio una buona volta".
"Se vuoi posso andare a prendere la chitarra sulla jeep e…".
"Ecco, bravo, facciamogli sentire qualche canzone".
Con lo strumento m'infilo fra Enrico e Roberta e iniziamo a intonare "Guantanamera". Incredibilmente la sanno tutti e ci accompagnano con le loro voci, il loro calore incondizionato. In pochi istanti si leva dal cuore della savana africana un coro inaspettato, che ci riempie gli animi di soddisfazione.
"Dalle nostre parti quando uno prende in mano la chitarra sembra un imbecille, qui il portavoce della Buona novella", blatero fra me.
Samson dirige la banda, muovendo una bacchetta di fortuna, ricavata dalla fronda di un albero. Come sempre mostra la sua eccezionale disinvoltura: non conosce la timidezza, ha tutta la mia ammirazione. Mica come il sottoscritto, e chissà quanti altri di noi, troppo sofisticati, sempre pieni di paranoie comportamentali, indecisi sul da farsi, la spontaneità non sappiamo nemmeno cosa sia, solo il fatto di percorrere una navata centrale per andare a ricevere la comunione ci manda in crisi.
Dopo "Guantanamera" è la volta di "Kumbaja" e "You are my sunshine", che Enrico governa con discreta maestria vocale. Alla fine della performance applauditissima, c'è la premiazione che va avanti per un paio ore: altra agonia. Poi tutti a casa, con il rosseggiare del cielo.
La giornata di oggi ha ulteriormente messo in luce l'affiatamento che si è venuto a creare fra me e Samson. Mi piace sempre più. Non tutti però condividono il mio parere. Roberta dice che è troppo furbo per i suoi gusti; ad Alessia non sta neanche simpatico. Con lui citerei anche John, Monday, China, Joseph, UFO, Vita, Deo, George… Tra le ragazze mi piaccione Sade e Monika. Hanno espressioni incredibilmente dolci.
Roberta e Alessia preferiscono Charles, Xaveri e Gerard. Enrico e Loredana, dall'alto dei loro trent'anni, si dimostrano più maturi ed evitano di fare classifiche o rendere palesi le loro preferenze. Si vede, comunque, che stanno bene con tutti indistintamente.
Dimenticavo di dire che oggi, forse, abbiamo avuto la prima prova ufficiale che fra Enrico e Loredana c'è del tenero. Durante il ritorno con la jeep, erano seduti uno accanto all'altro, in un angolo del vano di carico, e in un paio di occasioni abbiamo avuto la netta impressione che le loro mani si sfiorassero. Si sorridevano innocentemente?

19 agosto

Le fronde delle palme disegnavano strane figure a terra, profili di streghe e stregoni, sovrastate da un cielo incandescente, la luna emanava i primi bagliori della notte, stormi di pipistrelli mi sorvolavano il capo, mentre osservavo in lontananza dei ragazzetti giocare con una palla di pezza. Stavo fumando: tabacco africano. Le sigarette che ho portato da casa sono finite da un pezzo. Questo ieri sera, poco dopo la cena. Stamane il solito: sveglia alle 7.30, messa.
Oggi abbiamo festeggiato Loredana che compie trent'anni. Tanti auguri a lei! L'abbiamo celebrata fin dalla colazione, regalandole due orecchini: li abbiamo acquistati insieme al mercato dell'avorio, ma abbiamo lasciato a Enrico il gesto di consegnarglieli fisicamente. I loro occhi zampillavano di felicità. Si sono dati un bacio sulla guancia che sarebbe tranquillamente andato oltre. Finiti i festeggiamenti, Enrico ed io, siamo andati al lavoro, c'era un alto cancello da pitturare, mentre le ragazze si sono fermate in missione per sbrigare alcune faccende gastronomiche. È bello pensare che esista ancora una suddivisione netta fra i compiti fra maschili e femminili. Non sono un maschilista, ma forse un po’ tradizionalista sì. Le donne in cucina, gli uomini col pennello in mano, non fa una piega, viceversa mi farebbe ridere.
Dopo pranzo al mare, con la pancia all'aria a prendere un po’ di sole. E una bella passeggiata con Roberta lungo la riva. Con Roberta mi trovo molto bene. Era così anche a casa, ma ora sembra che il nostro legame si sia ulteriormente rafforzato. Camminando abbiamo parlato del nostro futuro. Lei dice che vorrebbe diventare insegnante di russo, io che vorrei occuparmi di naturalismo a livello internazionale. Non saprei dire bene come.
"Mi piacerebbe girare il mondo. Fare il giro del mondo seguendo l'itinerario di Charles Darwin sarebbe il mio più grande sogno".
"Beh, allora te lo auguro di cuore".
Poi abbiamo parlato di sentimenti. Le ho spiegato che con Gilda le cose si stanno mettendo bene, e che dopo il rientro dall'Africa potremmo decidere di andare via per qualche weekend insieme. Non è mai successo. Lei mi ha regalato un'espressione felice, ma in fondo ai suoi occhi ho percepito un vago senso d'insoddisfazione. Per lei le cose sentimentalmente non vanno molto bene. S'è appena lasciata alle spalle la storia con Giovanni Barazzetta, un tale che vive a Vimercate, conosciuto durante una sagra della patata a Oreno. Si sono lasciati perché lui non ha più nulla da dirle, o forse perché non ha mai avuto nulla da dirle. Si sono detti "ciao" senza troppi tentennamenti. Oggi, ognuno per la sua strada. Roberta mi ha poi rivelato che non le dispiacerebbe un tipo come il sottoscritto: le piacciono gli artisti.
"Davvero?".
Sul suo viso è tornato a splendere il sole. A tal punto ci siamo messi a correre come due bambini per vedere chi dei due arrivava per primo a una piccola rientranza marina, dove vanno a riposare i gabbiani.
Pomeriggio tardi, con gli altri, abbiamo fatto il bagno. Enrico mi ha prestato la sua maschera subacquea. Mi sono immerso e ho potuto rimirare un paesaggio stupendo. Ho osservato da vicino due ricci di mare, con i loro pericolosi pungiglioni, una specie di murena, molti pesci di grosse dimensioni che però non ho saputo classificare. Di nuovo sul bagnasciuga mi sono goduto l'improvviso alzarsi del vento, che ha contribuito ad asciugarmi in anticipo i capelli. Una specie di fon naturale. Ho chiuso per un attimo gli occhi, lasciandomi cullare dai canti della natura. Quando li ho riaperti c'era un gabbiano che volteggiava di fronte ai miei occhi: era come se stessi volando al suo fianco, sbattendo le ali e guardando le palme di Kigamboni dall'alto. Pochi minuti e sono corso da Gerard per rubargli il pallone e sollecitarlo a seguirmi per andare a caccia di conchiglie.

20 agosto

Ieri sera, con una ventina di ragazzi della missione abbiamo cantato in coro mille canzoni, da "Kumbaja" ad "Amba" (canto africano in swahili che ormai abbiamo imparato bene anche noi). Io alla chitarra, Samson al tamburello, Samson faceva anche le seconde voci, con Alessia che - dall'alto della sua esperienza nella scuola cantorum di Vimercate - gli impartiva le indicazioni per non rischiare note all'unisono.
Stamane in piedi al solito orario, poi in spiaggia fino alle 11.00. Pranzo e un paio d'ore di lavoro. Prima di tornare al mare e godercela fino all'imbrunire.
Oggi ho avuto la possibilità di conoscere una ragazza del posto davvero molto carina. Come potrei descriverla? Vent'anni, sorriso accattivante, occhi brillanti, nasino pennellato, corpo longilineo con un seno esuberante ma non troppo, cresta di capelli riccioluti… Dio, o chi per lui, non avrebbe potuto far di meglio. Samson s'è accorto del mio interessamento e ha preteso che la baciassi in pubblico. Io, figuriamoci, sono rimasto impietrito.
"Non credo sia il caso", ho mugugnato in inglese.
"Gli piaci anche tu, dai fatti avanti", dice il mio amico.
Buonanotte.
Samson e altri ragazzi della missione, che avevano seguito la scena, ridevano come pazzi. Alla fine la ragazza - vedendo che non muovevo un passo - se n'è andata circondata da uno stuolo di amiche petulanti. Samson mi ha guardato con lo sguardo di chi ha davanti un autentico imbecille. Io ho nicchiato. Cosa avrei dovuto fare? Come si può pensare di avere a che fare con una giovinetta di belle speranze che ti guarda con gli occhi languidi, ma che probabilmente patisce la fame e vive in condizioni a dir poco deplorevoli?
Di ritorno dalla spiaggia: una doccia veloce - con un tubo dell'acqua sempre meno funzionante - e la registrazione di altri canti con Samson. Con oggi inizia il countdown. Fra dieci giorni addio Africa. Ripenso alle persone che mi aspettano a casa, a mio fratello che per settembre dovrà riparare quattro materie.

21 agosto

"Samson è furbissimo e dà l'impressione più degli altri di poterci ingannare come vuole. Non mi meraviglierei se un giorno dovessimo svegliarci con i portafogli vuoti". Questo è ciò che scrivevo il 6 agosto, un paio di settimane fa, poco dopo il nostro arrivo a Kigamboni. Lo ribadisco perché ieri è accaduto un fatto assai grave: ci hanno rubato circa diecimila scellini. Sono entrati di nascosto nella nostra camera e hanno fatto man bassa di tutti i nostri averi. Così io ed Enrico rimaniamo a secco. I sospetti? Purtroppo cadono tutti su Samson. Ma andiamo con ordine, partendo dall'inizio della vicenda.
Ieri, come ho già accennato, ci rechiamo in spiaggia accompagnati da Samson, Monday e Joseph. Appena arrivati ci tuffiamo: l'acqua è calda e le onde minuscole. Solo Roberta rimane a riva, per problemi fisiologici legati all'ovulazione. In acqua per ultimi io e Samson. Monday, ormai al largo, con Enrico e Joseph, vedendoci arrivare, si mette a urlare a Samson di rinunciare al suo intento per aiutare Roberta a recuperare gli zaini e chiuderli a chiave nella jeep. Samson obbedisce: mi lascia solo e torna da Roberta che ha già preso parte degli zaini e si sta avviando alla Land Rover di padre Silvestro. Samson recupera il resto e le va dietro. Raggiunge Roberta, le suggerisce di sistemare tutto ai piedi dei sedili davanti. Roberta si allontana un momento da Samson, distratta da una farfalla con ali giganti che le passa a un palmo di naso. E qui partono i dubbi. Samson avrebbe, infatti, tutto il tempo per sistemare gli zaini dove vuole e come vuole, a modo suo, trafficando con la leva per retrarre i sedili e con le serrature delle porte. Nessuno sospetta nulla. Dopo dieci minuti Samson e Roberta tornano a riva: Samson finalmente si può tuffare.
Ora di pranzo. Chiedo a Enrico le chiavi per la camera, ma non le trova. Io e le ragazze sbigottiamo. Sbigottisce anche Samson con un'aria alquanto furbesca. Si fa subito avanti per andare a cercare le chiavi con Enrico:
"Torniamo in spiaggia a vedere", fa il nostro capogruppo.
Sono circa le 14.30. Il furto è quasi sicuramente già avvenuto. Enrico e Samson raggiungono la spiaggia. Enrico si mette a cercare come un forsennato nel punto in cui avevamo sistemato gli asciugamani, ma invano. Samson, anziché dargli una mano, si siede compiaciuto a osservare le onde che s'infrangono sulla battigia, decisamente più convincenti rispetto alla mattinata:
"Forse un'onda più potente delle altre ha spazzato via tutto", fa Enrico abbacchiato per l'infruttuosa ricerca.
Intanto Loredana ed io scambiamo due chiacchiere in cucina. Mi chiede se la chiave che ha trovato sulla sedia, in corrispondenza del punto in cui mi siedo a mangiare, è quella della nostra camera. La mia risposta è affermativa:
"Come è possibile?", domando.
"L'ho trovata qui", fa Loredana, "non mi chiedere come ci sia finita".
"Questo è un bel mistero", mugugna Alessia, disturbata da una fastidiosa mosca che s'è innamorata dei suoi capelli.
Evidentemente il ladro dopo aver commesso il furto s'è liberato della chiave, abbandonandola nel punto in cui sicuramente qualcuno di noi l'avrebbe ritrovata. Ma a questo punto non sappiamo ancora nulla del furto. Enrico e Samson tornano in missione: al loro rientro gli comunichiamo che la chiave è misteriosamente ricomparsa.
"Bene", fa Enrico, squadrando il sottoscritto, "qualcuno deve essersela infilata in tasca, da dove poi gli sarà inavvertitamente uscita".
In cucina ci mettiamo a parlare di tutto e di niente e in breve della chiave non si discute più. Finché Enrico ed io non decidiamo di tornare in camera per schiacciare un pisolino. E qui la sorpresa: i soldi che avevamo nel borsellino e quelli che erano rimasti in bella mostra sul tavolino che divide i nostri letti, sono spariti. Volatilizzati. Ora tutto torna: la chiave era sparita per consentire al ladro di intrufolarsi nelle nostre camere e impossessarsi dei nostri quattrini. Parte perciò il tentativo di risolvere il dilemma: chi si è impossessato dei nostri soldi?
"Una cosa posso dirla con certezza", affermo malinconicamente. "Solo Samson sapeva dove nascondevo il borsellino".
"Come fai a dirlo?", mi domanda Enrico.
"Più volte Samson s'è fermato con me in camera".
"Padre Silvestro l'ha ripetuto mille volte di non ospitare nelle nostre camere i ragazzi", fa Alessia in tono accusatorio.
Samson, però, potrebbe avere avuto dei complici: Joseph, Monday, non hanno alibi. Potevano essere con lui. Ma torniamo un attimo a Samson.
"Quali sono i sospetti che ci portano a lui?", domanda Roberta.
Risponde Enrico.
"Ha trascorso troppo tempo nella cabina della jeep: per sistemare gli zaini ci vogliono pochi secondi. E ha immediatamente condiviso la mia idea di andare a cercare le chiavi in spiaggia, dando l'impressione di voler nascondere qualcosa".
"Aggiungerei anche che dalle 12.30 alle 15.00 circa ha cominciato a muoversi avanti e indietro in bicicletta per la missione e per il villaggio senza un comprensibile motivo", interviene il sottoscritto.
"Ricostruiamo dunque la vicenda supponendo che il ladro sia Samson", riattacca Enrico. "Le cose potrebbero essere andate così. Al mare, traffica nella cabina della Land Rover, in cerca delle nostre chiavi. Le trova e se le infila nei pantaloni. Torna al mare, si toglie i pantaloni e si tuffa in acqua. Al ritorno si assicura di vederci tutti a tavola, dove sa che rimaniamo per almeno un'ora, e in quel momento effettua il furto, sapendo perfettamente dove si trovano i soldi. Infine, senza dare nell'occhio, torna in cucina, dove noi nel frattempo abbiamo terminato il pranzo, e abbandona la chiave sulla sedia di Gian, offrendosi di accompagnarmi alla ricerca dell'oggetto smarrito".
"Un piano che non fa una piega", blatera Loredana, gasata dalle doti investigative del suo Enrico.
Stamattina ho rivisto Samson e gli ho accennato del fatto che sono spariti i soldi dalla nostra camera. Ha sgranato gli occhi affranto, assicurandomi che lui non c'entra niente.
"Sei sicuro?", gli ho domandato, con un mezzo sorriso sulle labbra.
"Assolutamente".
Abbiamo ripreso a parlare proco prima di cena, dopo essere tornati al mare a svagarci. Siamo andati avanti per almeno un'ora. L'ho pregato di dirmi la verità, che non rivelerei nulla.
"Se anche dovessi confessarmi il furto, fra noi le cose non cambierebbero".
Niente. Ma aveva le lacrime agli occhi. Non so se per il fatto di essere accusato ingiustamente, o per non trovare il coraggio di rivelare a un amico la verità. Ma comprendo la sua reticenza. Se padre Silvestro dovesse venire a sapere che è stato lui, sarebbero grane. Oggi gode di grande prestigio in missione, molti compiti vengono affidati a lui. Domani le cose potrebbero cambiare. Domani.
Domani dovremmo andare a Bagamoyo, dove nei secoli passati giungevano gli schiavi destinati alle piantagioni di cotone americane.
Piccolo particolare prima di chiudere: nel marasma di oggi ho rivisto la bella ragazza di ieri. Mi ha chiamato con una sua amica, o meglio, una sua amica mi ha chiamato per lei. Mi si è avvicinata e mi ha invitato a seguirla indicandomi a una ventina di metri la giovane spasimante appoggiata a un muro. Io sono andato un po’ in panne. Le ho detto:
"Magari un'altra volta".
Chissà se un giorno avrò almeno il coraggio di rivolgerle la parola.

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