venerdì 28 gennaio 2011

Short stories: "Diario africano" (III)


10 agosto

Ieri sera sono rimasto in piedi da solo fino a notte fonda: gli altri hanno preferito coricarsi prima del solito. Per terra, seduto, appoggiato al muro che conduce al refettorio, con le cuffie del walkman infilate nelle orecchie. Respiravo profondamente e mi sentivo felice. Tutto sembrava perfetto, regolare, consequenziale, logico. Ho osservato la tettoia e ho notato un piccolo geco in avanscoperta. Sono animali che incuriosiscono da sempre gli scienziati per la loro straordinaria capacità di rimanere appesi a testa in giù da qualunque superficie. Non secernano particolari sostanze appiccicose; vincono, dunque, la gravità per via delle cosiddette forze di Van Der Walls: retaggi di fisica liceale su cui non è il caso di dilungarsi. I gechi entrano in azione soprattutto di notte, quando vanno a caccia d'insetti.
Lasciato il mio geco al suo destino, ho continuato per una buona oretta a crogiolarmi nel silenzio incantato della notte, illuminato dal luccichio delle stelle. Molti la chiamerebbero suggestione, ma in questa magnifica esperienza in solitaria ho percepito la presenza di qualcosa di molto più grande di me, di noi, che va al di là di tutto e di tutti. Dio?
Ho così pensato per un po’ all'ateismo. Ho ripensato a Bertrand Russell, di cui ho appena letto "Perché non posso essere cristiano". E alla fine ho riflettuto sul fatto che, probabilmente, professarsi palesemente atei è un atteggiamento di superbia e presuntuosità. Sapessimo tutto delle stelle, dell'universo, dell'origine della vita, avrebbe forse senso pronunciarci con tanta fermezza; ma non sapendo quasi nulla di tutto ciò che ci circonda - e più avanza la scienza e più si ha paradossalmente l'impressione di sapere sempre meno - trovo quantomeno borioso affermare con mano certa che oltre il nostro respiro esiste solo il buio. Giudicherei lecito il dubbio, l'agnosticismo darwiniano, ma perché l'ateismo ostentato? Chi siamo noi per poter giudicare un disegno che è andato avanti per miliardi di anni senza di noi? Cos'è una nostra banale storia, un nostro scontato ragionamento, confrontati alle zampette di un geco, all'alternarsi delle stagioni, al sorriso di Samson?
Oggi il tempo è stato pessimo. Ha piovuto quasi tutto il giorno. Solo ora il cielo si è liberato, preannunciando un domani più benevolo. La sveglia alle 7.30, colazione, messa e partenza per Dar Es Salaam. Con noi Samson, China, John e Joseph. In città abbiamo tentato di chiamare casa, ma le linee erano ancora interrotte. Così ci siamo fatti un giro per la metropoli africana.
Da quando sono partito ho speso cento dollari, mi restano pochi spiccioli. Stamattina ho acquistato una maschera, una scultura d'ebano, un quadro e due scatole di biscotti. Cercavo un libro sulle piante locali, ma a quanto pare non esiste. Abbiamo pranzato all'Agip. Io sedevo con Roberta, Loredana, Samson, China. Abbiamo pagato noi per loro. Dopo pranzo la visita al museo archeologico-naturalistico della città. Interessantissime le documentazioni relative al ritrovamento di Lucy e alla Gola di Olduvai; i resti di Livingstone, la storia delle avventure di Stanley, i reperti lunari donati dagli USA al popolo africano.
Prima di imbarcarci sul ferry-boat abbiamo fatto un giro per il mercato del pesce. Antropologia allo stato puro. Gli odori, i colori, il baccano. Sembrava di essere a carnevale. Qui ho speso i pochi soldi rimasti, trovando a prezzi stracciati delle bellissime conchiglie e la corazza superiore di una tartaruga. Mi ha dato una mano Enrico, quindi ora ho anche dei debiti da saldare.

KWA JINA LA BABA, NA LA MWANA, NA LA ROHO, MTAKATIFU, AMINA

11 agosto

Ieri sera mi son dimenticato di dire che era la notte di San Lorenzo, momento in cui la Terra incontra un gruppo di asteroidi che periodicamente interseca la nostra orbita. Il periodo va dall'8 al 22 agosto. Alcuni di questi asteroidi, per effetto della gravità, precipitano nell'atmosfera terrestre incendiandosi: da ciò ha origine il detto delle "stelle cadenti". In realtà, le stelle con gli asteroidi non c'entrano nulla. Sarebbe come paragonare un platelminte a una balenottera azzurra, senza tener conto del fatto che un astro brilla di luce propria, mentre l'asteroide è un corpo freddo e inattivo. Guardando all'insù ho scorto due di questi corpi abbracciare il nostro spazio e trasformarsi in sfere di luce. È sempre un bello spettacolo.
"Stasera ci riproviamo?", fa Roberta.
"A fare?".
"A cercare di vedere qualche stella cadente".
"Non sono stelle cadenti".
"Mamma mia come sei pedante quando ti ci metti".
Stamattina mi sono imboscato. Con la scusa di dover registrare i canti della messa sono rimasto solo in missione, mentre gli altri con padre Silvestro si recavano in un villaggio vicino per celebrare l'eucarestia. Così sono riuscito a dormire fino alle 9.30. Ci voleva. Ho ore e ore di sonno arretrato. Dalle 10.00 alle 12.00 sono stato in chiesa, ho assistito alla messa e, appunto, registrato i canti. I canti, come dicevo, sono davvero coinvolgenti, un vero inno agli spiriti. Si canta e si balla. Fino alle 13.30 ho riposato, prima di andare a pranzo con padre Isacco, un bestione di 120 chilogrammi, originario di Tukuyu, nei pressi del lago Malawi, e con William, un amico di Enrico venuto a trovarci da Iringa.
Padre Isacco mi fa morire dal ridere. Basta il suo sguardo. Da Bud Spencer africano. I miei colleghi cono arrivati a fine pranzo, completamente fradici: è piovuto ancora e se la sono beccata tutta.
Ho trascorso il pomeriggio cercando di rimettere insieme quel poco che rimane della chitarra. A parte le corde che saltano in continuazione e che non posso più riutilizzare (il MI cantino l'ho già riassemblato tre volte, un record), c'è anche il ponticello che se ne sta andando a quel paese e la paletta, con un taglio profondo nel mezzo. Dopo le operazioni di liuteria ho giocato un po’ a calcio con Enrico e dei ragazzi e mi sono fatto la doccia. Piccolo concertino fino alle 19.30, poi tutti a tavola. Domani inizia una nuova settimana.

12 agosto

Alle 6.00. Sì, sì, stamane toccava a me preparare la messa, così mi sono dovuto alzare prima di tutti gli altri. Alle 6.30 ero già seduto su una panca della chiesa di Kigamboni più di là che di qua, in attesa di conoscere il mio destino di chierichetto mancato. Mezz'ora di preparazione, poi, dalle 7.00 alle 7.30 di nuovo a sonnecchiare. Terminata la colazione siamo partiti coi lavori fino a mezzogiorno. Stacchiamo come gli operai della Breda: alle 12.00 in punto, tutti giù delle impalcature con un'agilità volgare.
Durante la seduta odierna mi sono ritrovato a lavorare con Samson a un sottotetto. Non era un compito facile, visto che dovevamo sistemare delle specie di grondaie, ma il tempo è passato velocemente, fra una risata e l'altra. Roberta, di tanto in tanto, veniva da noi per chiederci se volevamo un po’ di acqua. E in un'occasione mi ha confidato che lavorare con Loredana a volte è pesante:
"Hai voglia di scherzare come fate tu e Samson".
"Bisogna sceglierseli bene gli amici".
"Spiritoso".
"Cosa c'è che non va?".
"È terribilmente noiosa. Non scherza mai e se deve dire qualcosa è solo per tirare in ballo Enrico".
"Ma Enrico si fa avanti o no?".
"Ma dove vuoi che vada impacciato com'è".
A pranzo ci siamo abbuffati di riso, patate dolci e insalata, poi io e Roberta ci siamo sdraiati per un po’ a pancia all'aria per prendere un po’ di sole, per non correre il rischio di arrivare a casa e farci dire che siamo più bianchi di quando siamo partiti. Andare in Africa e non tornare abbronzati è una specie di blasfemia, se non ci si rende conto che un mese in missione, non è certo come trascorrere trenta giorni di safari o su e giù lungo spiagge dorate.
Alle 16.00, dopo il lavoro, mi sono dato da fare col bucato, col sottofondo di una canzone dei Pogues. Shane McGowan continua a illuminare il mio cammino. Ordinaria amministrazione. Mi sono arrangiato come posso. Di solito a casa ci pensa mamma a certe cose. Tuttavia me la sono cavata, ho steso i panni e via. Adesso vedo se riesco a concludere la canzone su Samson.

Due cose sulla lingua swahili…

È una lingua bantu, appartenente alla grande famiglia delle lingue Niger-Kordoafricane. È la lingua ufficiale dell'Africa orientale e quindi della Tanzania. Verso i confini tanzanesi l'idioma è meno conosciuto e sostituito da dialetti bantu. L'accento delle parole swahili cade sempre sulla penultima vocale della parola. Ecco le parole e le espressioni più usate:

Ciao Jambo
Come stai? Habari gani?
Tutto bene Nzuri sana / Poa sana
Donna / signora Mama / Bibi
Uomo / signore Bwana
Padre Baba
Madre Mama
Amico Rafiki
Io Mimi
Tu Wewe
Egli/Ella Yeye
Noi Sisi
Voi Nyinyi
Essi Wao
Grazie Asante
Grazie mille Asante sana
Come ti chiami? Gina lako ni nani?
Mi chiamo... Gina langu ni...
Non c'è problema Hakuna matata
Buon appetito Chakula chema
Per favore Tafadhali
Scusa Samahani
Benvenuto Karibu
Arrivederci Tutaonana
Buon viaggio Safari njema
Addio Kwaheri (per più persone: Kwaherini)
Buon giorno Siku njema
Buona notte Usiku mwema / Lala salama
Amore Mpenzi
Ti amo Nakupenda
Amore mio Mpenzi wangu
Sole Jua
Zucchero Sukari
Caffè Kahawa
Caramella Pipi

13 agosto

Dopo colazione ci siamo recati come sempre al lavoro fino alle 12.00, nel momento in cui padre Silvestro ci comunica che possiamo trascorrere l'intero pomeriggio al mare. Un'idea che non ha prezzo e alla quale mi aggrapperò chissà quante volte quando sarò tornato nella mia grigia e fumosa cittadina. Tre ore di tempo libero, il cielo azzurrissimo, il mare blu, la spiaggia bianchissima, la sabbia finissima, le palme rigogliose… Abbiamo giocato con i ragazzi di Kigamboni a bandiera, palla battaglia, calcio, carte. Ci siamo tuffati in mare. Ho corso avanti e indietro seguendo i raffinati disegni creati dalle onde sulla battigia, respirando così forte da farmi scoppiare i polmoni. Un modo per respirare l'Africa e tenermela dentro per più tempo possibile? Forse è anche così che nasce il Mal d'Africa. Chissà.
Verso sera sono arrivati i pescatori che hanno cominciato a sistemare le barche per l'indomani. Sono tutti smilzi come acciughe. Secchi, incavati, salati. Nello spostare le barche sono saltati fuori un mucchio di granchi che hanno preso a zampettare ritmicamente verso la acque. Come fanno a orientarsi? Come fanno a sapere che il mare si trova laggiù, tenuto conto del fatto che il loro apparato visivo è alquanto primitivo?
Prima di rincasare ho compiuto il mio solito giro a caccia di conchiglie. Oggi ho trovato una specie di clipeastro, organismo simile al tradizionale riccio di mare. Stasera dovremo fare in fretta a prepararci. Degli italiani che lavorano nei dintorni ci hanno invitato per cena!

14 agosto

Cara Gilda,

la lettera che ti scrivo non ti arriverà mai, ma te la farò magari leggere al mio ritorno, su queste stesse pagine che redigo giornalmente con una penna sempre più consumata (e mangiucchiata). Questo giorno vorrei dedicarlo interamente a te e ai bei momenti che abbiamo passato insieme. Se ricordi, la prima volta che ci siamo visti era il 14, il 14 di febbraio, casualmente il giorno dedicato agli innamorati. Eravamo al concerto della scuola e ci siamo messi a parlare del dì in cui anch'io mi sarei esibito presso il tuo istituto. Mi chiedevi informazioni a riguardo, volevi sapere cosa aveva detto il preside e quali canzoni avrei presentato. Ti eri sorpresa nel sapere che probabilmente avrei proposto le mie canzoni:
"Sono in pochi a scrivere canzoni originali, di solito ci si affida ai pezzi altrui, più facili per il pubblico e tu lo sai bene", dicevi.
I tuoi occhi luccicavano ed io non mi ero mai trovato così bene con una ragazza. Parlavi e ascoltavi come sai farlo solo tu, con eleganza, spensieratezza, intraprendenza. Ricordo ancora com'eri vestita. Indossavi un maglioncino verde, chiuso davanti con dei piccoli bottoni, avevi una camicetta bianca e un paio di pantaloni beige che si restringevano sul fondo. Ho qualche dubbio sulle scarpe. Forse erano le Superga bianche.
Sicché, oggi, sono sei mesi esatti che i nostri occhi si sono incontrati per la prima volta. Per l'età che abbiamo un piccolo grande traguardo, non credi?
Penso a te e mi chiedo cosa starai facendo. Ti penso alla scrivania, dove chissà quante volte ti ho osservata, mentre cerchi di fissare nella mente qualche nozione, arrotolando un ciuffo di capelli intorno alla matita. Non ho mai capito come fai a essere così brava a scuola, senza impegnarti più di tanto.
Penso a te e a quel giorno che abbiamo trascorso insieme in montagna, sdraiati sulla coperta di Silvia e al primo bacio che ci siamo dati. Ora te lo posso confidare: ero terribilmente in imbarazzo. Coi baci sono sempre stato una frana. Ho sempre avuto paura di fare brutta figura e questo timore mi porta a esibirmi in modo pacchiano, ridicolo, problematico. Ma ora è tutto diverso. Ti vivo con grande profondità e baciarti è diventata, davvero, la cosa più naturale del mondo. Anche per questo vorrei dirti grazie.
Ti penso mentre passeggiamo per le vie di Milano, per le vie del centro, prima di visitare la mostra dei falsi e accorgermi che all'improvviso mi prendi sottobraccio stringendomi a te.
Ti penso mentre la zingara di Cologno ti affianca puntando morbosamente al tuo anello d'argento e tu la dribbli facendo finta di aver visto una specie di asino volare. A volte hai delle uscite formidabili, risorse nascoste che mi lasciano totalmente spiazzato, rallegrandomi.
Come stai? Come stai? Cosa fai? Dai dimmelo. Trova il modo per sintonizzarti sulle mie frequenze d'onda mentali e mandami un messaggio anche minimo. Del tipo: non posso dirti molto, ma posso dirti che fino a qualche minuto fa ero al supermercato con la mamma e stavo cercando una confettura di marmellata ai mirtilli con cui preparare una torta speciale. Oppure: non ti dico cosa farò oggi, ma quello che farò domani: andrò a Monza a fare un giro e spero di trovare un piccolo pensiero per te. Ci sei? Dove sei? Dove vai?
Non ti sento. Non ti sento. Ma se rispetterai i piani che mi avevi espresso prima che partissi per l'Africa, fra due giorni dovresti salpare coi tuoi per il lago. È il 16 vero? Al lago di Garda. Ti vedevo contenta quando ne parlavi. Io non amo particolarmente il lago. Mi annoia. Non mi piace. Mi viene in mente, chissà perché, Gabriele D'Annunzio, e tutto ciò che ne consegue. La mia incompetente ex prof di lettere, una poesia che non mi ha mai convinto più di tanto, un modo di fare lontano da me anni luce. Mi ci vedi sorvolare Vienna lanciando tante bandierine colorate dell'Italia?
Se fosse per me, l'Italia non esisterebbe nemmeno. Lo trovo un concetto anacronistico. Gli italiani, di fatto, non esistono. Le persone dovrebbero masticare un po’ di antropologia prima di pronunciarsi. L'Italia è troppo disomogenea, non ha un cuore, già fra Milano e Roma c'è un abisso, e il problema, certo, non riguarda solo la parlata. Sei d'accordo con me? O preferisci non pronunciarti? Forse preferisci non pronunciarti e per me va benissimo così. Su certi argomenti non si riesce mai a intravedere la fine. Si parla, si parla, si parla, e non si conclude mai nulla.
Come sai, sono africano da circa due settimane. Mi sento africano e vivo da africano e non mi dispiace affatto. Sto benone. Le persone che abitano qui sono molto diverse da noi. In tutto e per tutto. La cosa che mi colpisce di più è quella sorta di letizia che traspare dai loro occhi e dai loro sorrisi. Non hanno nulla, sono poverissimi, vivono in capanne disgraziate, piene d'insetti, ma sembrano molto più felici di noi. A questo punto, però, viene da chiedersi: perché se sono più sereni di noi, fanno di tutto per venire a stare da noi e per godere dei nostri privilegi? Azzardo una risposta.
Il quesito, evidentemente, concerne l'attitudine umana di muoversi in funzione del benessere fisico. L'uomo viene, infatti, meccanicamente attratto da chi gli offre riparo, calore, cibo, protezione, rilassamento, goduria. Sarebbe così anche per gli animali che, però, non avendo la nostra intelligenza, non possono arrivare chissà dove e per loro fortuna rimangono inconsapevolmente ancorati al mondo naturale. Ma queste esigenze, in realtà, soddisfano l'uomo solo in modo superficiale, perché verosimilmente la nostra specie avrebbe bisogno del meno possibile. Credo di aver letto da qualche parte di dottrine religiose che predicano il distacco dai beni materiali, fra cui il cristianesimo, perché è lì che si cade. Più si ha, più si vuole avere e più si è insoddisfatti. Sicché potremmo tranquillamente dire che la dolcezza di un sorriso, la sua lungimiranza, la sua generosità, siano inversamente proporzionali alla ricchezza materiale. Più si è ricchi, più il sorriso perde colore, vivacità, potere. Credi che stia dicendo un mucchio di fesserie? Forse.
Eppure credo che prima o poi arriveremo a comprendere che tutto ciò di cui ha veramente bisogno l'uomo, non è che un po’ di aria da respirare e un orizzonte da rimirare. È dunque necessario andare in Africa per capire tutto questo? Probabilmente no. Però, per chi come noi ha vissuto sempre nella bambagia, può essere di grande aiuto. Sfiderei chiunque a lamentarsi per uno spiffero d'aria o per una pasta stracotta, dopo aver visto un uomo senza mani chiedere qualche scellino per sfamare un famigliare che sta peggio di lui. Ma ti invito a non confondere le idee e a non pensare che stia facendo discorsi da prete. La verità è un'altra. Qui il cristianesimo, il buddismo, l'animismo, c'entrano ben poco. Io sto parlando di etica, morale, politica, economia. Tanto che, "ama il tuo prossimo come te stesso", paradossalmente dovremmo iniziare a vederlo non più come il semplice comandamento della carità promulgato dai cristiani, ma come base autentica sui cui costruire le nostre civiltà.
Marx predicava l'uguaglianza sociale, così i giacobini, massimo rispetto per entrambi, ma l'uguaglianza sociale resta un miraggio se prima non si lavora per creare uomini nuovi, consci del fatto che il segreto per crescere non è avere, ma dare. Non vedo molte vie di scampo. Se non si metabolizzano questi concetti, l'uomo rischia lo sfascio, perché si creerebbe troppa discrepanza fra i paesi ricchi e quelli poveri, in virtù di un benessere fittizio, labile, ingannevole…
Oddio, ho preso il largo, scusa. Quando affronto certi temi, poi perdo la testa e non so nemmeno io dove andare a parare. Dai, lasciamo stare, ma dimmi almeno una piccola cosa di te. Ti sei per caso tagliata i capelli? Hai pitturato le unghie? Ti sei messa il profumo? Che film hai visto in tv? Quante sigarette hai fumato?
Di me posso aggiungere che ieri sera siamo stati a cena da alcuni italiani che lavorano per un'azienda locale. Forse c'è di mezzo il petrolio. Contrabbandano anche pelli di animali. La cosa non è molto carina. Padre Silvestro li ha ammoniti in varie occasioni. Loro si sono fatti delle grasse risate. Sono dei gran compagnoni, si ammazzano di alcol e fumo. Probabilmente sentono la mancanza del proprio paese. Non li biasimo.
Il lavoro procede. Ci diamo da fare senza tante remore, forse io sono quello che perde più tempo, mi piace fantasticare e vorrei avere più ore per stare con gli africani e capire i loro gusti e i loro interessi. Di solito finiamo di lavorare verso le 16.00. Riposiamo un po’ prima della cena, poi tutti a letto. Qualche volta, però, tiriamo tardi rimirando le stelle, ritrovandoci al mattino come zombie. Enrico mi sta chiamando, la cena mi sa che è pronta, ti mando un bacio grande come il mondo, non vedendo l'ora di poterti riabbracciare. Ti amo. G.

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