domenica 1 aprile 2012

Affari condominiali: quarto piano, appartamento C


Ebbene sì... Tutti sono utili, ma nessuno è indispensabile. Il detto era buono ieri come lo è oggi, ma per Annaluna Brioschi, in Citterio, valeva fino a un certo punto. Avrebbe eventualmente asserito che tutti - come vuole la massima - fossero senz'altro utili, ma per lei il proverbio non poteva essere attendibile: lei era indispensabile. Di fatto si riteneva indispensabile ovunque si trovasse a battere ciglio. Viveva con il marito, il pusillanime e rassegnato Tulio Citterio, che aveva addomesticato ben bene e, in pratica, respirava in sua funzione: ogni movimento e pensiero dell'uomo, dipendeva strettamente dall'umore mattutino della consorte; qualcuno scambiava la sudditanza di Tulio per amore, ma è più probabile che, pur di non sentirla lamentarsi – essendo un lamento unico – fosse disposto ad assecondarla in tutto e per tutto. La coppia abitava l'appartamento C del quarto piano, di fianco al de Santis che ritenevano l'uomo più palloso e inutile della terra. Erano perennemente indaffarati e trafelati, come se stessero ogni volta soccorrendo un morente dall'altra parte del mondo, sempre e comunque in relazione all'ennesimo trip mentale di Annaluna. Lei aveva una fissa: il canto. Ma i risultati ottenuti erano alquanto tragici. Il vero problema era la sua incapacità di stimare adeguatamente le proprie doti, scambiando le sue passioni per l'espressione del talento più puro. Aveva iniziato a cantare poco prima di andare in pensione, a cinquanta anni, anche se da tempo rincorreva il sogno di cimentarsi con il magico universo delle sette note. S'era proposta per la prima volta in pubblico durante una celebrazione eucaristica: era stata chiamata a sostituire la direttrice del coro, Piera Fumagalli, ammalatesi improvvisamente di pleurite e da tempo intenzionata a mollare, e da lì la sua carriera pseudo-artistica non aveva più conosciuto freni. In realtà era evidente a tutti che non fosse lei la più brava fra i cantanti potenzialmente a disposizione della parrocchia; tuttavia era davvero l'unica col coraggio di affrontare la platea di fedeli che tutte le domeniche, mattina e sera, affollava la chiesa di San Zenone. Don Michelangelo non aveva potuto far altro che allargare le braccia a tanta buona volontà, così come si faceva sempre e in ogni caso, di fronte a una pecorella smarrita che spintonava per poter lodare il Signore al meglio delle sue possibilità.
«Se non ci fosse Annaluna non avremmo nessuno che dirige i canti in parrocchia», diceva il reverendo. «Dio benedica la sua voce e la sua disponibilità. Punti in più per il paradiso...».
Ma tutto ciò andava paradossalmente a discapito della comunità parrocchiale, che perdeva la cognizione del reale valore di un cantante, finendo per auto-convincersi che Annaluna fosse davvero in gamba. Non ci voleva molto, visto che gran parte degli omatesi aveva una cultura musicale che rasentava lo zero, avendo come unici modelli di paragone le ambigue figure che calcavano il teatro Ariston o sbottavano sulle principali emittenti radio specializzate in brani-spazzatura. Annaluna, di fronte a un giudizio serio e sincero, non sarebbe arrivata al tre e mezzo. Tirava di quegli acuti da far rivoltare i morti nelle tombe, inscenando una mimica facciale da tragedia greca. Lei, naturalmente, non si accorgeva di nulla. Anzi. Non perdeva occasione di rimarcare e sottolineare a chiunque incrociasse il suo cammino le sue straordinarie capacità.
«Omate ha un soprano che gli altri paesi invidierebbero. Se non ci fossi io la nostra chiesa avrebbe, in pratica, un pastore in meno».
Il pezzo che interpretava con maggiore enfasi era Symbolum '77, una canzone di Pierangelo Sequeri, fra gli anni Settanta e Ottanta, in ambito oratoriano almeno, assimilabile a quanto di meglio ci si potesse aspettare da un cosiddetto cantante impegnato; tanto per intenderci, molti giovani dell'epoca, ai vari Francesco De Gregori e Francesco Guccini, erano ben lieti di associare anche l'autore di Symbulum '77. Nato a Milano nel '44, era teologo, scrittore... e soprattutto prete. Figlio di due musicisti aveva imparato da bambino a maneggiare il violino, divenendo sacerdote nel 1968, e componendo il suo capolavoro nel 1977; un vero capolavoro; più volte Avvenire aveva sottolineato che fosse il brano più utilizzato durante le celebrazioni eucaristiche, in tutt'Italia. Circostanza che aveva spinto Annaluna ad informarsi sul suo conto, per capire il vero significato della canzone. S'era, dunque, messa in diretto contatto con Sequeri, tramite l'arcivescovado di Milano e una buona parola di Attilio Monguzzi, sacrestano di Pessano con Bornago. I due s'erano incontrati in città, in una saletta della curia meneghina, addobbata di stendardi rossi e satura di incenso. Sorseggiando un caffè, Sequeri aveva raccontato ad Annaluna che, componendo il brano, in un momento di grazia, intendeva riferirsi al sabato prima della domenica delle Palme, in cui si ricorda la consegna del Credo (Symbolum) ai catecumeni; aveva un significato liturgico molto importante nel rito ambrosiano, al punto che, periodicamente, veniva organizzata una veglia di preghiera nel Duomo di Milano, da parte dei responsabili dell'Azione Cattolica. Annaluna era tornata dall'incontro in arcivescovado con gli occhi fuori dalle orbite, convinta di avere appena incontrato l'autore di Yesterday. A tutti quelli che lo raccontava, terminava intonando il canto per far capire di cosa stesse parlando e dando ancora una volta prova della sua potente ugola:
«Tu sei la mia vita altro io non ho. Tu sei la mia strada, la mia verità... nella tua parola io camminerò, fino a quando avrò respiro, fino a quando lo vorrai...».
Un incubo. Ma lei rimaneva convinta di essere la numero uno, e così dopo pochi anni di esperienza in parrocchia, s'era alfine messa in testa di concretizzare il suo sogno nel cassetto: battezzare una scuola di canto per voci bianche. Le piaceva l'idea delle voci bianche perché in qualche modo erano riconducibili alla sua voce stridula e perché le ricordavano i cantori castrati di epoca barocca, periodo storico al quale – per quel che riteneva un imperscrutabile disegno divino – si sentiva rapportata. E perché sapeva che coinvolgendo i bambini sarebbe stato più facile convincere il sindaco e l'amministrazione a promuovere economicamente l'iniziativa. Significava dover individuare una sede, un orario per le prove, ingaggiare un pianista per l'accompagnamento e darsi da fare con la pubblicità. Non era stato difficile avviare il progetto, ma le perplessità non erano mancate.
«E chi dirige il coro?», le aveva chiesto il sindaco.
«Ma sindaco, le pare una domanda?», aveva replicato Annaluna.
«Perché, ho detto qualcosa di male?».
«Naturalmente sarò io a prendermi carico dei piccoli...».
«Ah...».
«Con la mia squillante voce da soprano...».
«Oddio che stupido. Come ho fatto a non pensarci prima?».
Annaluna aveva regalato al primo cittadino il suo sorriso più splendente, gonfiandosi come un pallone di fronte all'idea ormai concreta di poter presto guidare il primo gruppo canoro della storia del paese. Tornata a casa era letteralmente saltata in braccio al marito, procurandogli uno strappo alla schiena e obbligandolo ad ascoltare per dieci volte di fila le modalità con cui avrebbe avviato la scuola. Erano andati avanti a parlarne per tutta sera, con Tulio ormai prossimo allo svenimento per la logorrea della consorte. Verso mezzanotte, già coricati, era finalmente sopraggiunto il silenzio in casa Citterio. Ma non per molto.  
«Dobbiamo ora pensare al nome da dare alla scuola...», aveva detto al marito, stirato come una sardina nella sua posizione preferita, con le braccia sotto al guanciale, pronto ad abbandonarsi all'abbraccio di Morfeo. Di risposta aveva ottenuto una smorfia di dolore, assimilabile al canto angosciato di un topino finito in trappola.
«Mi hai sentito?».
Con uno sforzo sovrumano Tulio aveva tentato di rispondere alla carnefice.
«Va bene amore, domani ci pensiamo... ora dormiamo».
«Eh no, dobbiamo deciderlo ora, perché se domani me lo chiedono... cosa gli dico?».
Era quasi l'una di notte.
«È tardi, su... che premura c'è?».
Annaluna s'era alzata indispettita. Il sonno le era passato del tutto e a esso era subentrato un insano nervosismo.
«Con un marito come te c'è ben poco da stare allegri. Sei il solito orso delle caverne. Meglio se mi arrangio da sola».
Il marito di Annaluna non aveva avuto le forze di organizzare una nuova risposta e vittima dell'ennesima insolenza della donna, era sprofondato in un sonno apocalittico; la consorte, intanto, con passo furibondo, guadagnava la cucina per servirsi una tazza di tisana ai mirtilli e meditare sul nome da dare alla nascente struttura. Ci aveva ragionato per un'oretta abbondante, senza però giungere a un nominativo valido. Il debutto della scuola era avvenuto pochi mesi dopo l'incontro avuto con gli amministratori per stabilire i soldi necessari per cominciare i lavori di allestimento del centro. Era andato a gonfie vele: s'erano iscritti quindici bambini, mandando in solluchero l'artefice del progetto, ulteriormente convinta di avere avuto un'idea geniale e di essere, quindi, come pochi altri concittadini, lungimirante e al passo coi tempi. Alla fine aveva anche trovato il nome da dare alla scuola: “La Pantera Rosa”. Le era venuto in mente inciampando per caso in un film del geniale Blake Edwards, mentre faceva visita alla madre di Domenico Ciccarelli, per sollecitarla a comprare un paio di biglietti della lotteria per la festa di Sant'Antonio. Appena entrata nella dimora dei vicini era partita la sigla del portentoso film, ed era stato come godere di un'illuminazione dal cielo.
«La Pantera Rosa?», aveva domandato alla signora Ciccarelli.
«Mio marito non se ne perde uno», aveva risposto la madre di Domenico.
«Da tempo non ne vedevo... Anzi, ora che ci penso, mi sta venendo un'idea folle...».
«Cioè?».
«No, niente, niente, parlavo fra me...».
Le cose erano andate bene fin dall'inizio, al punto che, nel giro di un anno, la scuola di Annaluna era già pronta per partecipare al famoso festival delle voci bianche, che ogni 365 giorni si teneva presso il teatro San Giuseppe di Brugherio. Non era una cosa da poco, visto che alla kermesse prendevano parte le più promettenti scuole musicali del circondario, e ogni anno comparivano figure cult dello star-system, interpellate – con la scusa del volontariato sociale - per pubblicizzare con maggiore efficacia lo show. Per il debutto dei cantori della Pantera Rosa era, dunque, stato previsto l'intervento di Raf, un ragazzo di ventisette  anni, secco come un chiodo, originario di Barletta, che due anni prima aveva spopolato in Italia e in Europa al grido di “Self Control”. Annaluna, da sempre attenta alle nuove proposte italiane, non stava più nella pelle. Aveva raccontato a tutte le amiche che avrebbe stretto la mano a Raf, lo avrebbe baciato e magari gli avrebbe offerto un caffè al bar del San Giuseppe, come se stesse parlando del presidente degli Stati Uniti. Bastava poco a eccitarla e a darle modo, quindi, di rimarcare il fatto che, solo poche persone come lei, in virtù del loro intelletto e della loro avvedutezza, avevano la fortuna di godere di simili privilegi. Nel 1986 avevano programmato la gara delle voci bianche per il 26 aprile, un sabato sera, proprio il sabato sera in cui era stata diramata la sconvolgente notizia dell'esplosione del reattore di Chernobyl. Alle 19.00 l'intera scuola era al San Giuseppe – i bimbi con la stessa divisa, pantaloncini corti blu, maglietta rossa e cappellino - pronta per ricevere le ultime indicazioni e conoscere la scaletta e l'orario preciso dell'esibizione. Erano dieci le squadre in gara, e fra una canzone e l'altra era stata data anche la possibilità ai maestri di farsi valere. Aveva accettato solo Annaluna, fuori dalla grazia divina. Aveva pensato di proporre un canto liturgico di Quaresima, non proprio in linea con la serata, ma dal suo punto di vista, l'ideale per far capire ai presenti quanto fosse profonda e straordinariamente dotata. Prima di presentarsi al teatro aveva, però, ingurgitato come caramelle alla menta un paio di pasticche ansiolitiche, per tenere a bada un'agitazione psicomotoria che stava divenendo insopportabile, e che l'avrebbe di sicuro mandata in tilt se non avesse fatto qualcosa; le angherie tenute in serbo per il marito comandato a bacchetta, subissato di richieste, per soddisfare i propri capricci e l'ego, evidentemente non erano state sufficienti a calmarle i nervi. Sicché alle 21.00 si era aperto il sipario sulla nona edizione della gara canora per voci bianche, nel momento in cui il telegiornale di Rai Uno annunciava del disastro in Ucraina; ma solo pochi erano informati dell'accaduto; chi stava dietro le quinte ne era totalmente all'oscuro, e non ne avrebbe saputo nulla fino all'indomani o a tarda ora, con i notiziari della notte. Anche Annaluna e il marito ignoravano il sinistro; benché sapendolo, presi com'erano dall'imminente esibizione al San Giuseppe, non gli avrebbero dato alcuna importanza. I primi ad andare in scena erano stati due bimbi sudamericani della scuola “Galasso” di Bovisio Masciago. Carlos e Blanco. Avevano proposto “Speedy Gonzales”, ottenendo un fottio di applausi, più per la loro coinvolgente performance e abilità a calcare il palcoscenico, che non per le reali doti canore; si muovevano con una sinuosità accattivante, divertente, da vere star, adeguando una mimica facciale da interpreti consumati. Il resto lo faceva la loro stazza: benché bimbi di nemmeno dieci anni, erano così grassocci da non poter non ispirare una naturale simpatia. Raf, però, non s'era ancora visto. Annaluna scalpitava. Gli omatesi erano i quarti in scaletta, con una canzone storica dello Zecchino, “Popoff”: la direttrice della scuola temeva che il famoso cantante potesse arrivare troppo tardi per assistere al debutto della Pantera Rosa. Ma il cattivo presentimento non era durato a lungo. A metà del secondo brano, infatti, presentato dai coristi della scuola “Bontempi” di Mariano Comense, il cantante di “Self Control” era apparso come un alieno da una porta secondaria del teatro, avvolto in un cappuccio nero e con un paio di occhiali da metalmeccanico. Immediatamente, Annaluna, dopo aver preso accordi con lo staff organizzativo, gli era andato incontro colma di euforia, per dirigerlo verso i camerini del sottoscala, dove era stato ricavato solo per lui un angolo di relax.
«Signor Raf! Signor Raf!», aveva gridato come un ossesso.
Raf l'aveva osservata come se avesse avuto di fronte uno spaventapasseri.
«La prego, mi segua. Di qui, di là...».
Raf, guardato a vista dal suo impresario, un omone col soprabito beige e la camicia azzurra da giornalista, stava per scoppiare a ridere.
«Un attimo signora, dove mi vuole condurre?».
«Mi segua, mi segua, le mostro i camerini».
«È molto gentile, ma credo che dovremmo andare a presentarci a...».
«Ci penso io», aveva detto l'impresario, «lasciando che il cantante raggiungesse il nido prepostegli, in attesa del suo intermezzo.
Annaluna aveva preso sottobraccio Raf e con grande trasposto e le guance paonazze lo aveva accompagnato nella saletta del teatro riservata agli ospiti di spicco. Guardandolo con gli occhi lucidi di ammirazione gli aveva versato un bicchiere di acqua, raccomandando la sua presenza in platea per l'esibizione della Pantera Rosa.
«Qui starà comodo. Ma non si fermi troppo che fra qualche minuto ci sono i miei ragazzi... li ho preparati io, è un anno che ci lavoro. Rimarrà di stucco. Dopodiché ci sarà una sorpresa...».
Alludeva al fatto che avrebbe cantato anche lei.
«Che genere di sorpresa?».
«Glielo dico, ma non sparga la voce: dopo canto anch'io... un brano da brividi...».
Raf era allibito. Ora Annaluna non era più un semplice e scontato folletto spuntato da chissà dove, ma una sorpresina delle merendine Kinder che aveva acquistato vita. Ma non c'era di che preoccuparsi; era tutto sotto controllo: partecipando alla kermesse del San Giuseppe, tipica manifestazione popolare e populista, aveva già perfettamente messo in conto il lato trash della serata, e di dover dare retta a figure quantomeno assurde come Annaluna.
«Sarò lieto di ascoltarla».
«Lo sapevo, lo sapevo. Raf, lei è un mito, un vero mito...».
«Suvvia, non esageri».
«Sei troppo forte Raf! Dai, a dopo...».
Mentre veniva presentato il terzo pezzo della serata, “Il caffè della Peppina”, Annaluna tornava dai suoi piccoli, per dargli coraggio e ricordare le posizioni da mantenere sul palco.
«Composti, eleganti e... in fila indiana».
Anna Biscardi e Ariosto Biraghi, della “Tulipano” di Busto Arsizio, avevano dato il meglio di sé con il pezzo sulla colazione, evergreen per generazioni di bambini cresciuti da metà anni Sessanta in poi; i ragazzi erano stati piuttosto rigidi, forse per via dell'emozione, ma entrambi dotati per natura di un bel timbro e di una discreta intonazione, alla fine erano riusciti a fare una discreta figura e a ottenere un buon punteggio da parte degli uomini della giuria. Poi era arrivato il turno della Pantera Rosa, con Annaluna che, udito il nome della scuola proclamato dal presentatore, Dario Sivori, s'era messa a strillare di contentezza. Sara Gandolfi e Luciano Marchesini erano i due protagonisti della squadra omatese: a loro erano state affidate le parti vocali principali e quindi la posizione più avanzata sul palcoscenico. Sara era la ragazzina modello della scuola di canto del paese, tutti la ammiravano per la sua bellezza e per la sua bravura; Luciano, l'alter ego maschile che, però, a onor del vero, non aveva il suo stesso piglio. Era da un anno che erano sul pezzo da esibire al concorso e dunque potevano proprio dire di saperlo alla perfezione; a molti del gruppo, ormai, usciva letteralmente dalle orecchie. I due, peraltro, erano molto affiatati e pur davanti a un folto pubblico erano in grado di destreggiarsi con facilità. Alla prima battuta, però, Luciano era andato un po' fuori tempo facendo imprecare Annaluna, che desiderava a tutti i costi fare bella figura.
«Gliel'ho detto mille volte di anticipare l'entrata della tastiera, diavolo di un Luciano... poi mi sente, mi sente, eh, per il loro bene bisogna farglielo notare quando sbagliano, per il loro bene...», aveva reclamato con se stessa la direttrice della scuola.
A metà del pezzo, ben istruiti da Annamaria Petacchi, una maestra di danza ingaggiata dalla Pantera Rosa per qualche lezione, s'erano messi a saltare come trottole, interpretando la tipica ballata dei cosacchi. Non era facile zampettare accovacciati senza perdere l'equilibrio, ma anche in questo frangente i giovani della scuola omatese avevano dimostrato di essere all'altezza. A tal punto, pubblico e giuria, non avevano potuto fare altro che lasciarsi andare a un applauso fragoroso, benché la canzone non fosse ancora finita; quindi, con l'ultima nota, il fragore s'era fatto assoluto, sollevando spasmi di gioia nei due cantori e nella loro guida spirituale che li guardava come si può pensare di guardare l'apparizione di due angeli, dimentica della rabbia patita pochi secondi prima. La Pantera Rosa aveva così ottenuto un successo di tutto riguardo, che però non sarebbe stato sufficiente a fargli vincere la gara e superare il totale dei punti raccolto dal preparatissimo Rodrigo Cantalupo, dodicenne figlio di un noto produttore musicale della zona che, con la sua interpretazione di “My Way” di Frank Sinatra, non aveva lasciato scampo agli altri concorrenti. Dopo la Pantera Rosa era toccato ai “Bagutta” di Bellinzago e ai piccoli della Comunità Archinto di Marmirolo. Poi il presentatore aveva richiesto un attimo di attenzione, comandando ai tecnici di abbassare le luci e creare la giusta atmosfera per accogliere a braccia aperte un big della canzone italiana: l'ospite principale della serata.
«Signore e signori...», aveva esordito; «il suo nome è ormai scritto nella storia... ha composto e interpretato un brano che tutti noi abbiamo sentito e amato... Il suo nome non è un vero nome ma un abbreviativo, ehm, voglio dire... un soprannome, un nome abbreviato... Il suo nome lo sentiremo echeggiare ancora per molti anni. E noi potremo dire di averlo ospitato e applaudito. Signore e signori, l'emozione mi gela le parole ma... ecco a voi: Raf!!!».
Boato al San Giuseppe. Annaluna era saltata in cima a una sedia della prima fila per applaudire con grande enfasi e far in qualche modo notare ai vicini che lei lo aveva conosciuto e che presto avrebbe dimostrato di essere alla sua altezza; già si pregustava l'epilogo emozionante della serata: lei e Raf per mano, mentre fanno l'inchino davanti al pubblico in delirio... lei e Raf sui rotocalchi locali (e forse nazionali), mentre si regalano un bacio di commiato o, meglio ancora, di arrivederci.
«Ciao Raf!», s'era messa a gridare come un uccellino appena precipitato dal nido, credendo ingenuamente che il cantante frastornato dalle urla dei fan e accecato da un occhio di bue che gli stava perforando la retina, potesse averla individuata e gioire della sua benaugurata presenza. Poi le luci s'erano trasformate in una marcia di fotoni schizzati, creando per la sala un'atmosfera da discoteca e offrendo le condizioni ideali per l'inizio del pezzo:
Oh the night is my world, city life painted girls, in a day nothing matters, it's the night time that flatters... oh the night no control, through the wall something breakin', wearin' white as you're walkin', down the streets of my soul...”.
Col ritornello, Annaluna, affrancata a un gruppetto di mezze groupie dai tredici ai ventinove anni, con i capelli super-ossigenati, s'era precipitata ai piedi del palco per poter cantare a squarciagola con il suo idolo, che si muoveva con classe e soavità, maneggiando il microfono con estrema disinvoltura:
«You take myself you take myself control, you got me livin' only for the night, before the morning comes the story's told, you take myself you take my self control...».
Alzava anche lei il dito al cielo, imitando le altre scalmanate, con però una trentina d'anni in meno, e la camera tappezzata dai poster di Raf, Ramazzotti e i Duran Duran. Il marito a pochi metri di distanza, appollaiato di fianco a Giancarlo Marini della Polisportiva omatese, era diventato rosso come la cresta di un gallo cedrone e avrebbe pagato per sprofondare o, in qualche modo, far sapere al mondo che quella non era la sua consorte, ma una lontana parente arrivata chissà da dove e in procinto di ripartire per non tornare più. E invece non aveva potuto far altro che infilarsi, sgomento, le mani fra i capelli e aspettare la fine del pezzo per poter vedere la dolce metà tornare al suo posto spontaneamente, finendola con quella pantomima da terza media. Con la performance di Raf, il San Giuseppe era scoppiato in un applauso di quelli mai sentiti, mentre una ragazzina sveniva proprio sotto gli occhi di Annaluna, che l'aveva guardata come fosse una pantegana che spuntava da un tombino. Incurante delle difficoltà della piccola, prontamente soccorsa da un paio di uomini della prima fila, era corsa dietro le quinte: ora toccava a lei.
«Signore e signori, come vi avevo detto, abbiamo goduto di un personaggio storico di eccezionale... brama.... brama...».
Sivori s'era accorto di voler esprimere un concetto che non gli era riuscito bene: incespicando nelle parole, aveva detto una parola che non c'entrava niente - brama, brama di che? - ma s'era fatto coraggio dicendosi che in fondo era solo il San Giuseppe di Brugherio, e lui un umile presentatore del San Giuseppe di Brugherio. Insomma, non serviva essere dei Pippo Baudo o dei Mike Bongiorno per portare a termine degnamente la serata.
«Bene, dunque, non sarà facile cantare dopo il grandissimo Raf, ma proseguiamo con la nostra serata con la direttrice della scuola proveniente da Agrate Brianza… della frazione di Agrate Brianza, Omate. Abbiamo in cartellone un pezzo... vedo scritto “Quaresima”, ma di sicuro non c'entra nulla con il periodo pasquale...», Sivori aveva sogghignato; «dunque, abbiamo qui con noi, la signorina, ehm, la signora, la fondatrice e direttrice della Pantera Rosa, Citterio Annaluna! Forza con un bell'applauso!».
Annaluna era spuntata da dietro le quinte come una madonna imbalsamata, e s'era precipitata ai piedi del microfono con un'aria da santerellina, intendendo impersonare al meglio il brano prescelto per la sua performance.
«Questo è un canto liturgico quaresimale, il presentatore non lo immaginava... gli ho voluto fare uno scherzetto cinese...».
Gelo in platea. Rideva solo lei. Poi era partita la base e praticamente in contemporanea l'assurda canzone di Annaluna. C'era un'introduzione sommessa, prima di giungere alla strofa vera e propria del cantato ed esplodere sul kyrie eleison del ritornello; ma sull'inciso la melodia raggiungeva delle note troppo alte per Annaluna che s'era ritrovata a starnazzare come un'oca bastonata, procurando uno stillicidio di dominanti e sottodominanti acuto e stonato, mostruosamente amplificato dal microfono. Al marito era venuto da piangere. Mentre l'imbarazzo del pubblico s'era fatto palpabile, come palpabile era ormai il calore che s'era accumulato nella sala, portando gran parte dei presenti a rimanere solo con la t-shirt ed emanare effluvi acidi e penetranti. In molti s'erano domandati chi fosse quella sciagurata che si stava esibendo dopo Raf, e quali fossero i piccoli condannati ad averla come maestra di canto, dimentichi delle informazioni rilasciate dal presentatore prima dell'esibizione di Annaluna. Alcuni presenti non s'erano fatti problemi a storcere la bocca in segno di disappunto e a infilarsi due dita nelle orecchie per non dover più patire quell'agonia. Ma la protagonista, incredibilmente, non s'era accorta di nulla ed era andata avanti per la sua strada, sempre più convinta di essere una portavoce degli angeli. Poi il pezzo, dopo quattro minuti di delirio, era scemato, la base era andata sfumando, lasciando impietriti gli spettatori e il cineteatro calato in un'atmosfera desolata e opprimente. L'unica col sorriso sulle labbra, tremolante per l'emozione, era Annaluna che aveva interpretato il silenzio del pubblico come un chiaro segno della naturale e prevedibile incapacità di esprimersi davanti a tanta bravura. Perciò aveva pensato bene di sdrammatizzare la situazione, impugnando di nuovo il microfono e calmando i bollenti spiriti dei presenti con parole di grande significato:
«Grazie, grazie a tutti. Lo so, lo so che a volte può essere difficile…».
Il labbro inferiore traballava di autocompiacimento. Ma il silenzio della sala continuava a dettare legge. Annaluna a questo punto aveva cominciato a preoccuparsi: forse le era sfuggito qualcosa? No, di certo, poiché un tale con la barba da frate e una giubba arancione fosforescente, in mezzo alla platea, mosso a pietà, aveva cominciato a picchiettare lentamente le mani, sollecitando gli altri a fare lo stesso. Alla fine era scaturito il peggior applauso della serata, tuttavia l'imbarazzo era definitivamente scemato, riportando l'attenzione sui veri protagonisti della serata: i bimbi dei vari cori intervenuti alla kermesse. Era, dunque, toccato a Sivori placare definitivamente le ansie di quell'esibizione tragica, tornando a recitare la scaletta come se niente fosse accaduto.
«Bene, bene, rieccoci a noi... dunque... allora... bene, bene, eccoci a noi con un'altra scuola...».
Alla fine della serata Annaluna, completamente ignara della terribile figura che aveva fatto, era sfilata sul palco per salutare uno a uno tutti i suoi allievi che si erano classificati secondi. Aveva stretto loro la mano, affrancandogli un bel bacio sulla fronte. Dal palco non aveva perso l'occasione per adocchiare la sagoma raccolta e vagamente assonnata di Raf, accomodato in prima fila per assistere alla premiazione. Era quindi scesa in platea dopo il saluto finale del presentatore, per assicurarsi un degno commiato dall'ospite principale della serata. Di fronte a lui con lo sguardo ammiccante, gli aveva teso la mano.
«Possiamo ormai considerarci colleghi?».
Voleva fare l'ironica.
«Come scusi?».
Raf non aveva sinceramente capito nulla di quel che Annaluna gli aveva detto; c'era parecchio rumore, molti stavano già guadagnando l'uscita accalcandosi uno sull'altro, e sinceramente aveva la testa da tutt'altra parte; lo confondeva l'idea dell'imminente viaggio a Londra che avrebbe dovuto intraprendere a breve per mixare un nuovo singolo. Non nutriva peraltro alcun interesse per la serata appena trascorsa. In fondo aveva accettato l'invito di Brugherio solo per fare un favore a un amico del suo entourage che da anni abitava in Brianza. Annaluna, come al solito fuori dal mondo, aveva fatto gli occhi dolci a Raf, con l'intenzione di recapitargli subliminalmente il messaggio che non serviva una risposta che ormai, in pratica, s'era data da sola: non era da escludere che Raf potesse presto invitarla per cantare con lui in una delle sue prossime date… Con la sua voce avrebbe potuto renderlo ancora più celebre. E lei avrebbe potuto firmare il suo disco di debutto: anche a cinquantatrè anni un debutto ha il diritto di essere chiamato tale. A tal punto Raf s'era alzato e con il suo impresario s'era avviato alla porta di uscita, senza quasi essersi reso conto che, la stessa sanguisuga incrociata poco dopo il suo arrivo, gli aveva appena rivolto la parola: era meglio svignarsela velocemente, per evitare la scocciatura dei fan, gli autografi e per raggiungere quanto prima la nuova fiamma che lo aspettava a braccia aperte in un hotel di Milano. Annaluna lo aveva salutato con un vigoroso cenno della mano, convinta di poterlo rivedere non appena il San Giuseppe si fosse svuotato. Ma di Raf, presto, non ci sarebbe stata più traccia. Calato definitivamente il sipario, Annaluna era stata vista aggirarsi furtiva per i camerini e i bagni del cineteatro in cerca del suo idolo, mentre i responsabili della struttura cominciavano le pulizie.
«Qualcuno ha visto Raf? Raf... dove sei?».
«Annaluna...».
Era il marito.
«Ma tu che ci fai ancora qui? Io sto cercando Raf, vuoi toglierti dai piedi?».

Nessun commento:

Posta un commento