sabato 21 aprile 2012

Affari condominiali: quinto piano, appartamento A


Il problema è che era andata a letto con due uomini nello stesso periodo e adesso non sapeva bene chi fosse il padre del piccolo in arrivo. Sicché, senza tante storie, s'era decisa a confidare a se stessa che fosse quello a cui teneva di più, il suo ragazzo ufficiale, Egidio Colombo, conosciuto anni prima al Ragno Verde di Agrate, dopo una sfilata di carnevale. S'erano messi insieme giovanissimi, lei aveva quattordici anni, lui sedici, e dopo quattro anni di amore probabilmente qualcosa s'era incrinato, facendo sì che lei volesse vivere qualche nuova avventura. Aveva anche provato ad accennarlo a Egidio, fra le righe: «Sai, però, a volte, ho l'impressione che mi manchino un po’ di esperienze… tu non vorresti avere avuto più ragazze di quelle con cui sei stato?». Egidio l'aveva guardata con un'aria preoccupata. Di fatto, dietro a quell'uscita così garbata, si celava la peggiore delle insinuazioni: la sua ragazza era stanca di lui e aveva voglia di concedersi a qualche altra anima. E, infatti, le cose non erano tardate a palesarsi come aveva immaginato: la tresca era sorta fra la giovane e un tipo di Agrate che abitava in via don Minzoni, Arcangelo Ballerini, un ragazzo che lavorava come metalmeccanico, in una rimessa nei pressi della STAR; era un tipo del quale s'era invaghita nient'altro che dal punto di vista fisico, le piaceva la sua aria da macho e le sue braccia da giocatore di rugby; di testa non lo apprezzava minimamente, essendo uno scavezzacollo, senz'arte né parte, e pressoché incapace di ragionare con puntiglio. Con un ceffo del genere non sarebbe andata molto lontano, lo sapeva; peraltro era povero in canna; meglio confidare su un'altra piazza, di buona famiglia e con le spalle ben coperte… Lei, in fondo, non era una povera ragazza, tuttavia proveniva da una famiglia piuttosto incasinata. Il padre aveva abbandonato la madre quando lei aveva appena tre anni, e praticamente – da quell'età - non aveva più saputo nulla del papà. Era un dolore che di tanto in tanto tornava a bussare al suo cuore, specialmente quando si confrontava con le sue amiche che avevano tutte il più importante punto di riferimento maschile su cui contare. Era su per giù lo stesso destino patito da altri due giovani del palazzone omatese: Maurizio, che viveva con la mamma, la zia, e la nonna e il balordo dei balordi, Antonello Grasso. Con Maurizio non aveva mai avuto a che fare: gli stava piuttosto sulle scatole. Lo trovava borioso e pieno di sé, noioso e pedante. Al contrario provava una sincera e spontanea simpatia per Antonello, che da sempre la guardava con aria docile, quasi dando l'impressione di volerla proteggere. S'era fatto meno cortese solo dopo averla vista col pancione e aver provato una sorta di pugno al cuore, sollecitato dall'idea che dovesse essere lui il padre della creatura che stava per venire al mondo. Ma il padre non era lui, bensì qualcun altro che non si sapeva bene chi fosse: il compagno tradizionale o l'amico della scappatella? Le voci si sprecavano. A partire dagli abitanti del supercondominio che non avevano mai accettato di buon grado la famiglia dell'appartamento A, del quinto piano, come se avesse qualcosa di strano da tenere nascosto e da non poter condividere. La moglie del Vismara ne parlava con accenti di cinismo puro con la moglie di Glauco Zanetti; Ada Villa ne chiacchierava con una sottile perversione con la madre di Domenico Ciccarelli; gli unici a farsi totalmente i fatti propri e a non aver nulla da ridire sulla pancia levitante della ragazza del quinto piano erano Fabiano Sirtori, il batterista, Cinzia Gariboldi, e la francesina Delphine, proveniente da un paese dove i concepimenti improvvisati erano all'ordine del giorno. L'atto fedifrago l'aveva consumato in campagna. Arcangelo girava su un macchinone di grossa cilindrata, un Mercedes sullo stile di quelli che si vedono negli accampamenti zingari, con un didietro davvero immenso, l'optimum per ricavarci un'alcova improvvisata. Dopo l'ennesimo sguardo abbacinante di fronte alle unghie taglienti e terrose del responsabile dell'autorimessa, frequentata abitualmente dalla ragazza con la madre, s'erano decisi a uscire una sera insieme. «Passo io», le aveva detto lui, con aria da duro. «Ci vediamo davanti all'autorimessa alle otto e mezza». Era la sera in cui Egidio era partito per una tre giorni con l'oratorio, tre giorni di ritiro in una specie di baita in Valsassina, addobbata con corna di cervo e quadri riportanti le ascensioni più famose avvenute nel corso degli anni. Aveva la libertà assoluta di poter finalmente provare l'ebbrezza di percepire nuovi spasmi sensoriali, dovuti al contatto con una carne diversa dal solito, con un odore della pelle di altra nazionalità: con l'odore della pelle di Arcangelo. In fondo si sentiva perfino giustificata a farlo, convinta in qualche modo di averlo anticipato al suo primo amore e quindi di non doversi sentire in colpa se fosse accaduto qualcosa che non sarebbe dovuto succedere. Al momento dell'appuntamento, Ilaria non aveva dato grandi spiegazioni alla madre; le aveva semplicemente detto che sarebbe uscita con un'amica generica. Di solito bighellonava per strada con una ex compagna delle medie, Clelia Barelli; qualche volta aveva provato anche a fermarsi con Marina Tresoldi, benché quest'ultima preferisse di gran lunga la compagnia di Cristina del primo piano. La madre non s'era interessata più di tanto alle sorti della figlia, che ormai faceva quasi sempre di testa sua. Lui s'era presentato lavato e profumato come un damerino, lei elegante e fascinosa come rare volte le capitava di prepararsi per il povero e ignaro Egidio; indossava una gonnellina leggera, che metteva tenacemente in mostra due belle gambe affusolate, pronte a essere prese di mira da arti libidinosi. Era decisamente invitante, e lo sapeva: aveva fatto apposta a presentarsi in quella maniera. Era, d'altronde, sottinteso che quella sera sarebbero andati oltre: non erano di certo usciti per parlare de Il nome della rosa finalista dell'Edgar Award di due anni prima. Erano usciti proprio per quel motivo, solo e unico, e lo sapevano bene tutti e due… La prima parte della serata l'avevano trascorsa al Chiosco, un locale per andare a Cambiago, circondato da fattorie e campi di soia. C'era anche una vecchia cappelletta nei dintorni, costruita qualche secolo prima per ringraziare la madonna di una guarigione improvvisa. Lei aveva fin da subito fatto intuire al compagno la sua volontà di lasciarsi andare e che più tardi, a questo scopo, le sarebbe piaciuto fare un giro in campagna. Lui sembrava un orso delle caverne nei modi e nei ragionamenti, ma era stato ben lieto di comprendere che presto avrebbe potuto dare sfogo al suo potere sessuale. Ilaria Pruneri non aveva compiuto tanti giri di parole: «Io l'ho fatto solo con un ragazzo». Lui s'era espresso con un ghigno di superiorità; intendeva farle arrivare il messaggio che lui era invece un amante consumato. «Tu con quante sei stato?». «Tantissime». Avrebbe voluto congedarsi con una bestemmia – entusiasta di avere a che fare con una ragazza come raramente gliene capitavano fra le mani - ma qualcosa l'aveva trattenuto. Non sarebbero comunque cambiate le sorti della serata. Ilaria era di tutto, fuorché una timorata di Dio. «Beh, allora ci sai fare... di sicuro ci sai fare...». Lui aveva preferito mostrare i suoi denti robusti anziché ribattere all'interlocutrice. Gli venivano sempre molto meglio i gesti e le smorfie di qualunque azione verbale. Un po' era anche dovuto al suo scarsissimo livello di scolarizzazione: a quattordici anni non ne aveva più voluto di sapere di penne e quaderni ed era finito quasi subito alla rimessa del signor Giuliano Pracchi, dove, tutto sommato, aveva sempre assolto il suo dovere; poteva semmai intendersela con Antonello Grasso, col quale, in un paio di occasioni s'era soffermato per mettere a punto una partitella di hashish. Avevano preso un gelato a testa e lui, dopo il gelato, una birra. Non poteva immaginare di uscire una sera, senza consumare qualcosa di alcolico. Era un'abitudine che si portava appresso dalla fine delle scuole medie. Poi s'era acceso una sigaretta e una l'aveva offerta a Ilaria che, però, aveva rifiutato: «Io fumo solo quando esco con le amiche». Arcangelo non aveva fatto una piega, benché non avesse minimamente compreso ciò che intendesse dirgli Ilaria: cosa significava che volesse fumare solo in compagnia femminile? C'era un secondo fine? «Cazzi suoi», aveva riflettuto Arcangelo, senza bene mettere a fuoco il problema. Avevano nel frattempo raggiunto il bancone, dove altri giovani giacevano assiepati, coinvolti in discorsi più o meno frugali. Solo un paio di ragazzi blateravano di temi inusuali, che ai due provenienti da Agrate parevano quantomeno inappropriati alla serata. Erano sull'ipotesi di avvelenamento ai danni di Sindona. Una specie di sogno premonitore. Avevano sentito la parola cianuro e Ilaria aveva fatto una faccia da cagna bastonata. La parola le aveva messo i brividi. Il nome non le era sconosciuto. Ai tg degli ultimi tempi se n'era fatto un gran parlare. Nel 1980, il noto criminologo italiano, era stato condannato negli USA per sessantacinque accuse; nel 1984 era stato condannato a venticinque anni di prigione. E pochi mesi prima del patatrac di Chernobyl sarebbe stato condannato all'ergastolo, con l'accusa di essere il mandante dell'omicidio di Ambrosoli. Sindona, Sindona, Sindona, sembrava stessero parlando del Papa… Ma non era lo stesso per Arcangelo, che gli suonava più il nome di un giocatore di calcio che non un membro della loggia P2. I due giovani clienti del Chiosco dicevano che avrebbero potuto avvelenarlo con il cianuro, magari somministrato all'interno di una tazza di caffè o in un cono gelato. Alla parola gelato, Ilaria aveva avuto un'altro sussulto, tenuto conto del fatto che il suo si stava ancora squagliando nei meandri del suo intestino. Abbandonato il Chiosco avevano bighellonato senza meta per lo stradone che conduce al melzese, prima di rimettersi in auto per raggiungere la campagna che sorge in fondo alla via Mazzini di Agrate, leggendario luogo per gli appartamenti intimi. «So io dove andare», aveva detto l'energumeno. S'erano iniziati a sbaciucchiare senza ritegno, quasi senza nemmeno aver avuto qualcosa da aggiungere al paesaggio spettrale che li avvolgeva. Arcangelo non aveva perso tempo e aveva infilato una sua manona sotto i fiori della gonna di Ilaria predisponendola a un ansimo di quelli mai sentiti. Ormai la scintilla era scoccata, ma non s'era dato peso di affidarsi alle idonee precauzioni che ogni individuo assennato dovrebbe valutare per non combinare casini. L'idea di una gravidanza era lontana anni luce dai due amanti, compresa, quindi, Ilaria che era solita fare l'amore con Egidio contando ciecamente sulla sua meticolosa capacità di interrompere il coito al momento opportuno. Non pensava però che non proprio tutti potessero essere morigerati come il suo lui e che qualcuno, pertanto, in preda all'estasi, sarebbe potuto andare oltre, sancendo l'irreparabile. Uno di questi era appunto Arcangelo, il forzuto dell'autofficina di Agrate che sorge vicino alla STAR, con un animalismo innato, riconducibile all'ancestralità di un essere primitivo. Era stato bellissimo per entrambi, soprattutto per lei, che aveva danzato sul ventre dell'estemporaneo partner, conscia di non aver mai provato simili brividi con Egidio; ma nella sua pancia già si stava mettendo in moto un programma embriologico del tutto insperato. Le avvisaglie della gravidanza le aveva avute due settimane dopo l'amplesso. S'era sentita male mentre stava entrando in doccia. Un capogiro di quelli che non aveva mai provato l'avevano scaraventata a terra, sventrando un'anta del box che proteggeva i rubinetti del servizio. La madre, nella stanza attigua, aveva sentito un tonfo strano ed era immediatamente accorsa in bagno per capire cosa stesse succedendo. La figlia era ancora a terra, con una ferita dalla quale il sangue zampillava come una fontana. Non era stato un bello spettacolo ma era evidente che non ci fosse nulla di grave. Piuttosto c'era da interrogarsi sul perché di quella caduta. Sennonché la visita del medico aveva sgominato ogni dubbio: Ilaria stava benissimo, era solo... un po' incinta. «Incinta?». La madre l'aveva domandato come se avesse saputo che da qualche ora degli omini verdi s'erano messi in cammino per raggiungere la sua casa e mangiargliela pezzo per pezzo. Sua figlia incinta? Ma perché, sua figlia aveva già perso la verginità? All'improvviso s'era resa conto di avere smarrito dei pezzi; di non aver parlato con la figlia come avrebbe dovuto; all'improvviso s'era resa conto di non avere più a che fare con una bimba, la sua bimba, ma con una donna a tutti gli effetti che l'avrebbe, anzitempo, fatta diventare nonna. Era volata un attimo in cucina per ingurgitare al volo una ventina di gocce di lexotan e dopo aver congedato il medico di famiglia, s'era fatta sotto il capezzale della figlia per rivolgerle la fatidica domanda, che andava elaborando dal momento in cui aveva appreso la dirompente notizia: «Ma Egidio lo sa?». Egidio non sapeva ancora nulla, ma la cosa peggiore era che il padre sarebbe potuto non essere Egidio ma Arcangelo. Solo Ilaria ne era drammaticamente al corrente, ponderando che, per la prima volta, la notte trascorsa con il metalmeccanico, non aveva minimamente badato ai criteri di inconsapevolezza del partner; in sostanza non s'era minimamente preoccupata che lui potesse non calibrare al meglio il suo piacere, considerato, peraltro, la sua assoluta fase di fertilità. Eppure le due settimane che l'avevano separata dall'accaduto non avevano causato nessuna particolare ripercussione sul suo fisico, né sul suo umore. È vero però che non aveva sentito il desiderio di ritagliarsi un po' di intimità con Egidio, come a suffragare un bisogno subliminalmente venuto meno. Egidio s'era un po' insospettito per la reticenza della partner. «Non hai più voglia?», le aveva domandato una sera. Ma lei era stata vaga, dicendogli che si sarebbero rifatti presto. «In queste sere mi sento piuttosto stanca…». La cosa era finita lì: ma ora che gli avrebbe raccontato, visto che l'ultima volta l'avevano fatto un paio di giorni prima l'incontro avuto con Arcangelo? Ilaria era a letto, con gli occhi semichiusi. Stava per diventare mamma, a diciotto anni, e non sapeva chi l'avesse messa incinta. Lo intuiva, ma non ne era certa. Un vero dilemma. Una vera tragedia, probabilmente. Non aveva un lavoro e con un figlio a carico avrebbe dovuto cambiare completamente il suo stile di vita. Non sapeva se ridere o piangere. Ma dopo pochi minuti le era venuto più facile la seconda azione. Piangeva sommensamente, con la madre che andava avanti e indietro per sincerarsi delle sue condizioni. Non aveva ancora ricevuto una risposta e non sapeva del casino che stava dietro a questa novità assoluta: sua figlia, con tutta la vita ancora davanti a sé, avrebbe dovuto rinunciare alla sua vita per alimentare quella della creatura che portava in grembo. «Ma Egidio lo sa?», era tornata alla carica la madre, non appena le lacrime della figlia s'erano arginate. «Ma no, mamma, non sa nulla. Non lo sapevo nemmeno io». «Oddio... e adesso?». Ilaria guardava la madre come se avesse davanti il nulla. Guardava lei ma vedeva oltre, all'interno di un tunnel nero e profondo. La sua testa era un baccano incredibile di sensazioni e di sentimenti. Sentimenti... proprio ora si rendeva conto che non sapeva nemmeno se e quanto amasse Egidio, perché, rifletteva: se l'avesse amato veramente ci sarebbe stata la necessità di andare con Arcangelo? Poi aveva guardato la pancia, stuzzicandola con un dito. Non le sembrava vero che al suo interno si stesse scatenando il finimondo. E invece era tutto dannatamente vero, il dottore non poteva sbagliarsi. C'era l'aborto. Ma era un concetto che le sfuggiva. Non valeva nemmeno la pena analizzarlo. L'aborto le sembrava un'idea malsana, lontana, impercettibile. Non sapeva perché avesse elaborato questa scelta, ma era così. Non si sarebbe disfatta del bimbo che portava in grembo, senza sapere precisamente il perché, indipendentemente da chi fosse il padre. Lo avrebbe tenuto con tutte le sue forze, come era vero che il seme di un ragazzo si fosse insinuato a sua insaputa nel suo bassoventre, conquistando la vita. Ma il problema, in ogni caso, qual era? Che fosse rimasta incinta, o che non sapesse con certezza chi fosse il padre? Forse il vero problema era il secondo... E con ciò si spiegava anche il motivo per cui non avrebbe mai abortito. Il problema non era essere rimasta incinta, ma non sapere chi l'aveva ridotta così. Aveva fatto l'amore con tutti e due nel giro di poche ore, poteva essere stato sia l'uno che l'altro, ma chissà per quale motivo, non riusciva a pensare ad altri che ad Arcangelo. Egidio era sempre stato troppo attento per rischiare di mettere al mondo un figlio a soli vent'anni. In compenso solo ora metteva a fuoco che con Arcangelo era stata tutta un'altra storia e che alla fine del tu per tu all'addiaccio, ricordava che qualcosa di liquido le fosse scivolato lungo le cosce, il chiaro segno che qualcosa non era andato secondo i piani prestabiliti. Dunque? Dunque c'era da risolvere al più presto la situazione, senza fare sapere in giro particolari indiscrezioni. Era necessario far sì che tutti i conti tornassero. Lei, Arcangelo, non l'aveva mai visto, e non sapeva nemmeno chi fosse. Era il tipo del metalmeccanico della STAR, ma ci aveva scambiato solo due chiacchiere le volte che lo raggiungeva con la madre per una riparazione dell'automobile di famiglia. Non faceva una piega. Tutto si sarebbe accomodato. Per un attimo Ilaria s'era sentita felice. Per un attimo... perché subito dopo s'era fatto impellente il pensiero che, se le cose fossero venute a galla, qualcuno avrebbe potuto darle della puttana. Non avrebbe mai voluto farsi dare della puttana. Non voleva nemmeno immaginarlo. Anche puttana era una parola che le sfuggiva, come aborto, ma come l'avrebbero altrimenti titolata i compaesani sapendo che stava con un ragazzo, ma che alla fine era andata a letto con un altro rimanendone incinta? Non c'era tempo da perdere, e non c'erano alternative. Aveva perciò ben chiaro quel che avrebbe rivelato al mondo: il padre del suo bimbo era Egidio, anche se nel suo intimo era quasi del tutto convinta del contrario. Tornato Egidio dal ritiro, gli era andato incontro con un passo spregiudicato. Egidio l'aveva squadrata malamente: non era da lei tanto entusiasmo. S'erano acquietati sotto la fila di platani che risaltano rigogliosi alle spalle del Barba, prima che Ilaria sparasse la bomba a ciel sereno. «Sei contento di diventare papà?». A Egidio era venuto un colpo. «Come? Stai scherzando?». «Per niente. Sono incinta, non sei felice?». Su certe cose Egidio sapeva che Ilaria non avrebbe scherzato. «Non è possibile, non è possibile... io non corro certi rischi. Cosa stai dicendo?». Ilaria s'era abbandonata a un sorriso nervoso. «Beh, te lo dirà il medico che mi ha visitata mentre tu eri in montagna…». Egidio non aveva potuto credere alle sue orecchie. Aveva preso a vacillare. Il cuore s'era messo a battere senza freni e la pelle a espellere litri di sudore. Era in pieno attacco di panico, aspetto della sua fisiologia che non aveva ancora realmente valutato. Desiderava Ilaria, forse più di quanto lei non lo desiderasse, ma l'idea di un figlio era per lui lontana anni luce. Era per questo motivo che stava sempre molto attento quando faceva l'amore. Non voleva trovarsi con un fardello troppo grande da gestire, in un'età in cui si ha solo voglia di spensieratezza ed esperienze. Ma in quest'occasione, evidentemente, qualcosa non era andato per il verso giusto... sempre che la sua fidanzata stesse dicendo la verità. Perché lui, pur non avendo risorse per replicare e contraddire una tesi che trovava oggettivamente assurda, non le credeva: non poteva crederle. Il mondo gli era così precipitato come un macigno sulla testa e s'era ritrovato in pochi istanti invecchiato di vent'anni. Gli sembrava di morire. Doveva ancora iniziare l'università, desiderava laurearsi all'estero, girare l'Europa in treno. Era come se un demone si fosse impossessato del suo cuore e lo stesse sballottando a suo piacimento. Avrebbe preferito morire, sprofondare, sparire, neutralizzarsi. I giorni seguenti erano stati difficilissimi. Egidio non riusciva a riprendersi. Agonizzava a letto nei momenti calmi; nei momenti di rabbia veniva fagocitato dall'ansia e da idee terribili, come quella di sfasciare tutto ciò che lo circondava, comprese le anime che gli volevano bene. I suoi amici avevano fatto di tutto per rincuorarlo, dicendogli che suo figlio sarebbe stato il figlio di tutti e che sarebbe diventato la mascotte della compagnia; i genitori, nonostante l'inaspettata e per certi versi sconvolgente notizia, avevano fatto cerchio intorno a lui con i tanti altri parenti, cercando di fargli capire che, in fondo, non sarebbe cambiato nulla nella sua vita: avrebbe potuto tranquillamente proseguire nei suoi studi e divertirsi, più o meno come avrebbe fatto se non fosse diventato padre. Poi, però, non c'era stata altra carta da giocare se non quella del sostegno psicologico. Egidio era stato affidato alle cure del dottor Alberto Malaguti, di Peschiera Borromeo, un tipo che sembrava fare miracoli con i ragazzi in crisi. Ma intanto c'era da risolvere il futuro dei due giovani, predisponendo un piano per accogliere il nascituro. S'erano dunque incontrati i genitori di Ilaria e quelli di Egidio per stabilire con calma il da farsi, contando sulla possibilità di poter devolvere per la causa una cifra considerevole, in grado, in parte, di assolvere il problema del mutuo: i genitori di Egidio avevano una piccola azienda di prodotti da giardino, che negli anni Settanta aveva rinfoltito non poco le casse familiari. L'idea era quella di sistemarli quantoprima in una casetta, ma intanto avrebbero continuato a dimorare nelle rispettive famiglie; non c'era fretta, in fondo, e il bimbo, eventualmente, per i primi tempi, avrebbe potuto anche vivere benissimo con la mamma e la nonna nel palazzone di Omate. Erano giunti a queste conclusioni anche perché, col trascorrere dei mesi, Egidio s'era fatto sempre meno ansioso e angosciato e sempre più voglioso di convincere se stesso e il mondo che non era stato lui a mettere incinta Ilaria. Con ciò sottintendeva il fatto che con Ilaria non sarebbe mai andato a vivere e che qualunque sforzo fatto in questa direzione sarebbe stato vano. Era stato da quando Ilaria gli aveva dato la notizia dell'arrivo del bimbo che in lui s'era accesa una scintilla: la scintilla dell'odio. Da quel momento l'amore provato per Ilaria s'era cominciato a trasformare in un risentimento sempre più cocente. Sentiva di essere stato ingannato, e ogni volta che giaceva con lei e il suo pancione in levitazione, gli sembrava di stare a fianco di un'assassina. Alla nascita del piccolo Edoardo avevano comunque partecipato tutti con vivo clamore. Il parto era avvenuto all'ospedale di Vimercate, due giorni prima del limite. I tre nonni erano stati vicinissimi alla giovane partoriente e al teorico papà. L'unico che aveva vissuto l'avvenimento con freddezza era stato proprio Egidio, che aveva voluto aspettare il rientro dall'ospedale di Ilaria per vedere il piccolo per la prima volta. La madre di Ilaria lo guardava con commiserazione, ritenendolo un genero indegno; ma lui neanche ci faceva caso. Ed era sempre più convinto di non essere lui il padre. Tuttavia la prima volta che l'aveva preso in braccio non aveva potuto fare a meno che intenerirsi di fronte a quelle manine minuscole e quel faccino innocente; mandando all'aria tutte le sue persuasioni. E se fosse stato davvero figlio suo? S'era ritrovato di nuovo terribilmente a disagio… Sicché i problemi al quinto piano dell'appartamento A del palazzone omatese, erano emersi in tutto il loro squallore proprio quando Egidio, Ilaria e il piccolo Edoardo erano ormai in procinto di andare ad abitare insieme in un bilocale di Cavenago, nei pressi del campo sportivo. Era la sera dell'esplosione del reattore di Chernobyl, quando Ilaria aveva confidato alla madre che Egidio era andato su tutte le furie scoprendo che il piccolo Edoardo, che aveva nel frattempo compiuto due anni, era portatore sano di una malattia ereditaria: l'emocromatosi. C'era una particolare forma di questa malattia che insieme ai principali sintomi quali l'accumulo di notevoli quantità di ferro nel fegato, aritmie, ittero – comprendeva anche i cosiddetti angiomi stellati, delle manifestazioni epidermiche peculiari, che portano alla genesi di capricci epidermici a cinque stelle in aree precise del corpo, che, in genere, rimangono per tutta la vita, contrassegnando indelebilmente una persona, come una cicatrice. Edoardo le aveva sviluppate da un paio di mesi sopra il sopracciglio destro, l'esatto punto in cui erano sorte sull'unica altra persona della zona colpita dalla rara malattia: Arcangelo Ballerini. Il male era dovuto a una mutazione genetica del gene HFE, localizzato sul cromosoma 6. Dunque sia il piccolo Edoardo che Arcangelo erano portatori dello stesso rarissimo morbo, e la sua inequivocabile espressione, era avvenuta guarda caso nello stesso identico punto del corpo. Adesso il mondo era crollato addosso a Ilaria, nel momento in cui Egidio era scoppiato a piangere, per poi mimare un'aggressione in piena regola, con tentativo di strangolamento. Ma come biasimarlo? Era stata lei due anni prima a comunicargli che sarebbe diventato padre. Era stata lei a convincerlo che, contro ogni sua supposizione, fosse stato proprio il suo seme a fare centro nel suo utero imberbe. Era stata lei a obbligarlo a fare il padre di un bimbo che non era il suo per due anni, costringendolo a una vita di patimenti, alla rinuncia di numerosi sogni, compreso quello segreto di prendersi una moto e fare il giro dell'Islanda, programmato per l'estate del 1985. Era stata lei a rubargli due anni di vita e ad avergli raccontato una montagna di balle. Ilaria, d'altra parte, arrivati a questo punto, non aveva potuto fare molto per tenere taciuta la cosa e continuare nel suo diabolico gioco. La paternità di Arcangelo sembrava essere stata scalfita indelebilmente sul volto di Edoardo. Scoprendo la verità la madre era rimasta senza parole, molto peggio di quando aveva saputo di diventare nonna. Da una parte avrebbe voluto stritolare la figlia per la mole di bugie raccontate; dall'altra, però, percepiva il terribile disagio che la sua bambina potesse provare e non se l'era sentita di infierire ulteriormente. C'era in fin dei conti la remota possibilità che non avesse saputo fino a quel momento chi potesse essere veramente il padre di Edoardo. Chissà quante donne vanno a letto con due uomini nel breve volgere di qualche giorno, al punto di non sapere più, alla fine, chi possa essere il vero padre di un nascituro. Qui, in pratica, la verità era emersa perché s'era verificato un fatto del tutto anomalo, con la consapevolezza di una malattia che, in pratica, era un marchio di distinzione; altrimenti la cosa sarebbe proseguita senza tentennamenti ed Egidio avrebbe continuato a fare il padre di un figlio non suo, al fianco di una donna che, verosimilmente, non amava più. Ma c'era, comunque, un'ultima carta da giocare se si voleva chiudere definitivamente il discorso ed era quella delle analisi di laboratorio. Certo, nel 1986 non si poteva ancora sottoporsi alle analisi del DNA, sarebbe accaduto qualche anno più in là, tuttavia c'erano degli stratagemmi altrettanto efficaci per venire a capo di una paternità dubbia: si trattava di affidarsi al cosiddetto sistema HLA. Era un metodo in grado di dare informazioni geniche per via della sintesi di una serie di glicoproteine di membrana cellulare; il sistema HLA, legato agli antigeni leucocitari capace, dunque, di rivelare se uno fosse o meno il vero padre di un bambino. Ilaria aveva sperato nel miracolo. «Mi rimane una sola cosa da fare». «Cosa vuoi fare dopo tutto il casino che hai combinato?». «Ci sottoponiamo alle analisi del sangue...». «Quali esami, cosa stai dicendo?». «Mi sono informata. C'è la possibilità di risalire alle caratteristiche... facciamo gli esami del sangue io, Edo e... gli altri due. E così veniamo a sapere chi è davvero il papà di Edoardo». La madre stava per mettersi a piangere, col cuore in gola, col cuore straziato. Non aveva avuto nulla da ribattere. Per lei il destino era ormai segnato. Ed era un destino triste. Sua figlia, se tutto fosse andato bene, sarebbe rimasta senza marito, e il suo nipotino senza un padre. Delle prospettive più che fascinose... C'era solo una cosa da fare veramente. Sparire. Lo stava pensando con le poche forze che le erano rimaste, mentre osservava passivamente le immagini di una specie di centrale nucleare, grigia e desolante, sfilare sotto i suoi occhi: erano le immagini trasmesse dal telegiornale di Rai Uno. Sembrava che fosse accaduto qualcosa di mostruosamente pauroso, in qualche misterioso paese del mondo. Un paese lontano dall'Italia; era troppo grigio per essere l'Italia. Ma anche sforzandosi di immaginare il peggiore dei mali, nulla poteva compensare la devastazione che si stava compiendo nel suo animo. Dovevano sparire. Continuava a ripeterselo ossessivamente: per il bene di tutti, se fosse saltato fuori che il vero padre di Edo era Arcangelo – ed era sicuro che fosse così - sarebbe stato meglio cambiare paese, e andarsene il più lontano possibile da dove, le malelingue, avrebbero potuto fare più male di un ferro rovente infilato nella gola. Era minimo il sollievo provato da questo pensiero, ma almeno le era servito a guardare con occhi ancora più indulgenti la figlia, raggomitolata su se stessa, come un cagnolino bastonato. Una figlia che per un istante non vedeva più come una disgraziata, ma solo la vittima di un disegno del destino ineffabile e maligno; imputabile forse anche al suo matrimonio andato in frantumi, quando Ilaria era ancora piccolina: se Ilaria avesse avuto un padre come tutte le altre sue amiche, sarebbe successo quel che era successo?

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