mercoledì 9 luglio 2014

Ferragosto # 15


71.

L'Agnese arrivò dal Marengo con i vestiti fradici e la faccia paonazza, il fiatone e due gote più rosse di un melone maturo. Ne aveva "già fatto una pelle", così avrebbero detto i vecchi del villaggio, per spiegare l'animosità di una giovane come lei, tanto scombuiata da risa grosse, salti all'aria aperta e tuffi. Anch'essa, peraltro, come la Lina poco prima, non fece molto per tenere a bada le sue forme e mandare in crisi il pover'uomo, che ne aveva già avuto abbastanza di ormoni che all'improvviso parevano essersi ridestati da un letargo lungo decenni. Pochi secondi, però, perché questa volta il Marengo riuscì facilmente a controllarsi, a domare le pulsioni, a dire no all'impeto del corpo, con la convinzione che fosse davvero arrivato il momento di smettere di comportarsi come un adolescente in calore e di iniziare seriamente a ragionare su come riuscire a convincere l'Agnese a raccontargli qualcosa. Già s'immaginava che non sarebbe stato facile, non meno del tentativo di estorcere qualche informazione alla perpetua.
«Buongiorno Marengo», disse la giovinetta con un filo di voce.
Non aveva la più pallida idea di cosa volesse da lei, e in tutta onestà avrebbe preferito continuare a giocare con gli amici. Anche se il Marengo era una brava persona, e sapeva che non aveva nulla da temere. Ma ne aveva sempre avuto molta soggezione, ritenendolo un capo villaggio severo ed esigente, col quale, in fin dei conti, era meglio non avere a che fare; un uomo, di certo, ben diverso dal suo grande amore... dal suo don Filippo. In realtà, mentre salutava il gran capo, l'idea che la sua presenza potesse essere legata alla relazione fra lei e il prete del paese, non la impensierì minimamente. Ormai il curato di Burago era morto e sepolto, che senso aveva continuare a parlare di lui?
Certo, non era facile tirare avanti, soprattutto per lei; a pochi giorni dalla sua dipartita, era davvero impossibile non pensarci o fare finta che fra loro non ci fosse stato niente. Ma si impegnava con tutte le forze per dimenticare, doveva farlo, se voleva sopravvivere, benché convinta che non ci sarebbe stato mai più nessuno in grado di comprenderla come lui, a cui avrebbe potuto liberamente confidare le sue pene e progettare un domani felice e generoso.
Doveva, voleva, fare finta di niente. E in parte ci stava riuscendo. Aveva alti a bassi, che si alternavano di ora in ora. La disperazione più cupa l'attanagliava per un po’, ma poi si affievoliva fino a trasformarsi in un banale ricordo, come tanti altri. Era diventata vittima di un bipolarismo umorale frenetico, che anche lei non sapeva spiegare perché vissuto per la prima volta. L'uomo con cui aveva sognato di trascorrere l'intera vita, fuggendo magari in un paese lontano, per lasciarsi alle spalle malelingue e pettegolezzi, non c'era più, e ora cercava di aggrapparsi a tutto pur di liberarsi da una situazione a dir poco soffocante e claustrofobica.
«Buongiorno Agnese, ti va di fare due passi?».
Il Marengo non perse tempo e andò subito al dunque; tanto valeva essere schietti e lasciar perdere con le smancerie, rifletté. La situazione era incredibilmente intrigata, ma percepì che solo adottando un atteggiamento risoluto e sincero avrebbe potuto indurre la ragazza ad aprirsi. L'onestà pagava sempre alla fine. La squadrò come si fissa una figlia che ha appena combinato una marachella, particolare che non sfuggì alla diretta interessata, che si sentì ancora più a disagio.    
«Come vuole, ma non posso fare troppo tardi», sbiascicò l'Agnese, cercando una scorciatoia al calvario che le parve profilarsi all'orizzonte.
Il Marengo le diede la mano per aiutarla a vincere il tratto più impervio dell'argine del Molgora.
La ragazza visse con apprensione la forte presa dell'uomo, che con una spinta violenta avrebbe potuto farla volare dall'altra parte del torrente.
«Non ti preoccupare», la rassicurò, «ti ruberò solo pochi istanti. Sono passato da tuo padre stamattina e…».
«Mio padre? Che c'entra?».
«Nulla, non correre».
«Io non ho fatto nulla di male».  
«Oh no, dunque, aspetta…».

72.

Era un piccolo sentiero ricoperto di robinie che si spingeva fino alle porte del cavenaghese, dove si diceva che in passato avesse ospitato uno scontro con alcuni soldati del Barbarossa. Lo conoscevano molto bene, perché spesso veniva percorso dai buraghesi come alternativa alla strada principale per raggiungere la parte orientale della regione, compreso il tragitto per spingersi fino al confine con la bergamasca; tramite una diramazione a metà del cammino, portava al laghetto dove era stato trovato il cadavere di don Filippo, e si incrociava, poco più in là, con quello battuto dall'Ambrogino per fare luce sulla vicenda più ingarbugliata della storia del paese. Per i primi minuti nessuno dei due fiatò, e per l'Agnese fu un'angoscia davvero opprimente e difficile da soffocare con un passo tranquillo e spensierato. Iniziò la conversazione il Marengo, dopo essersi reso conto che il sole cominciava a essere alto sull'orizzonte, e che nel giro di poco tempo sarebbe stata ora di andare a pranzo. Non c'era da perdere del tempo prezioso, dato che, forse, se n'era già perso abbastanza.
«Dunque, Agnese, troverai strana, questa mia richiesta di parlare con te, posso immaginarlo; però, non devi avere paura. Non devi avere nulla di cui temere, nessuno vuole metterti in difficoltà, o crearti problemi. Ormai mi conosci bene, sono molto amico di tuo padre, mi conosci da quando sei nata, e sai che tutte le importanti decisioni riguardanti la comunità dipendono da me. Compresa quella relativa a don Filippo…».
La guardò con gli occhi languidi di un padre premuroso, regalandole un po’ di sollievo. E lei - strizzandosi i capelli più per alleviare il nervosismo, che non per una reale necessità di asciugarsi la chioma - gliene fu grata; benché non capisse ancora il motivo del suo coinvolgimento.
«Lo so Marengo, lo so benissimo che è lei il capo del villaggio».
«Bene».
«E non il sindaco».
«Cosa c'entra il sindaco?».
«Volevo confermarle che anche per me è lei che comanda».
«Oddio, no, non volevo marcare questo particolare».
«In che senso?».
«Non confondiamo i ruoli. Il Boffalora ha altre mansioni».
«Che mansioni?».
«Diciamo, più pratiche. Io, al contrario, mi occupo soprattutto di migliorare le condizioni dei cittadini dal punto di vista… sociale, etico, filosofico».
Erano parole che all'Agnese suonarono strane come i termini usati dal famoso zoologo, amico di don Filippo, che era giunto in paese tempo prima.
«Filo che?».
Il Marengo sorrise.
«Lascia stare, non è così importante».
Giunsero nei pressi di una radura, ormai a un passo dal confine con Cavenago. Il Marengo sentì che cominciava a fare caldo, e che ormai la giornata era sbocciata in tutto il suo fragore agostano. Colò dalle sue tempie il sudore e sentì la camicia appiccicarsi all'addome. Comprese che fosse giunto il momento di sferrare il colpo decisivo. Era arrivato il momento di sapere.
«Sono stato a casa di don Filippo», sibilò come un fulmine a ciel sereno.
L'Agnese arrestò il suo cammino e indietreggiò di qualche passo, come se qualcuno l'avesse spinta a prendere le distanze dal saggio del villaggio. Cercò di mantenere un certo contegno, ma le fu difficile: l'esordio del Marengo era stato devastante. Perché don Filippo?
Il cuore cominciò a batterle come un tamburo e per un attimo ebbe l'impressione che intorno a lei girasse tutto, come se si fosse trovata a bordo di un'immensa trottola. C'era una buchetta lungo il percorso, provocata dallo sradicamento di un pino, perse l'equilibrio e per poco non cadde; ma per l'assurda situazione che stava vivendo, pensò che, forse, sarebbe stata una benedizione, il pretesto giusto per cambiare subito argomento.  
«Non capisco», mormorò con un filo di voce, vicino al silenzio.
Il Marengo intuì di avere fatto centro, verificando l'irrigidimento dei lineamenti del viso della ragazza.  
«Non è stato facile ottenere il permesso della perpetua, ma alla fine sono riuscito a setacciare la camera del curato».
L'Agnese riacquistò un po’ di coraggio e provò a tenere testa al suo interlocutore, deviando completamente il discorso.

73.

«Spero che siate riuscito a scoprire qualcosa. Sarebbe ora che saltasse fuori il vero motivo che ha portato alla morte di don Filippo. E' stata una perdita così grave per il nostro paese».
«E' stata una perdita molto grave, e non sarà facile scoprire come sono andate veramente le cose. Ma forse tu potresti essermi d'aiuto».
«Io? Io non c'entro nulla con don Filippo, sono solo una ragazzina, cosa vuole che c'entri io con tutto questo? Se don Filippo è morto non è certo per colpa mia».
La ragazza s'incaponì oltremisura e al Marengo non sfuggì il suo imbarazzo.
«Non voglio dire questo, assolutamente. Non ho dubbi sul fatto che don Filippo sia morto per colpa tua, ci mancherebbe. Ho dubbi su un'altra faccenda».
Il Marengo la fissò conturbato, inarcando le sopracciglia.
L'Agnese sorrise, cercando di rendere meno angosciante la circostanza.    
«Quale faccenda?».
La domanda dell'Agnese arrivò mentre una folata di vento scoteva le fronde più alte degli alberi, sollevando anche un po’ di polvere, che non risparmiò le iridi dei due buraghesi, facendogli strizzare gli occhi. Erano dei grossi pioppi bianchi, che coprivano parte della radura appena raggiunta. Al di là del tremolio delle foglie si celava un immenso cielo blu, come solo le giornate più limpide di un mese estivo sanno regalare. L'Agnese, tergiversando su quell'immensa finestra di azzurro, avrebbe desiderato un paio di ali per rimbalzare fra le sue nuvole, convinta della loro morbidezza e sublime elasticità. Ma era ancorata a una terra che inesorabilmente sentì ostile e traditrice, che con la sua gravità l'attirava a sé, destinata a qualche girone infernale.
Diamine. Non si era mai sentita così, nemmeno nei momenti più bui della sua vita, compresi quelli in cui sembrava che anche il suo amore con il curato non avrebbe avuto futuro.  
«Secondo me per procedere nelle indagini è necessario scavare nella vita di don Filippo, per provare a considerare aspetti che ancora non si conoscono; come ben saprai, ognuno di noi tiene in serbo segreti e sentimenti che è sempre meglio non fare sapere troppo in giro».
Il Marengo la prese larga, cercando di vedere se la ragazza si tradiva con qualche strana espressione, o palesando paura e angoscia.
«Per questo sono stato in camera sua».
L'Agnese non fece una piega, anche perché, probabilmente, non aveva minimamente preso in considerazione il destino che avevano preso le sue lettere; tantomeno l'ipotesi che don Filippo avesse potuto addirittura conservarle.
«Capisco, ma ancora non vedo il motivo che l'ha portata a interpellarmi. Sono sicura che le sue indagini proseguano per il verso il giusto, ma glielo ripeto, io non so nulla del curato».
«In realtà, scartabellando qua e là sono saltate fuori tracce inequivocabili».
«Può spiegarmi in parole più semplici?».
«Abbiamo trovato indizi che portano direttamente a te».
L'Agnese si mise a ridere.
«A me? Sta scherzando? E poi perché adesso parla al plurale?».
Il Marengo si accorse solo ora di averlo fatto, tirando indirettamente in ballo l'Ambrogino, al suo fianco durante le ricerche. Ma ritrovò al volo la strada maestra pronunciando una mezza balla.
«Parlo al plurale riferendomi alla comunità…».
«Alla comunità?».
«Insomma, Agnese. Quel che ti voglio dire è che, lo ripeto, le tracce che abbiamo trovato indicano il tuo nome». 

74.

«Ancora con questa storia?», ridacchiò nuovamente la ragazza, convinta che il Marengo si stesse arrampicando sui vetri. «Non vedo in che modo delle tracce in casa del prete possano avere portato a me. Io in quella stanza non ci sono mai stata in vita mia».
Il Marengo perse la pazienza e per la prima volta dall'inizio della passeggiata fu sfrontatamente diretto.
«Agnese, basta con le menzogne. In casa del prete abbiamo trovato le tue lettere. Non serve che tu sia stata in quella stanza. Basta sapere che c'erano delle cose tue personali».
Calò sul duo un silenzio di tomba, comprensibile solo pochi istanti prima il boato di un terremoto.
L'Agnese finse di reggere il colpo, esprimendosi con uno sguardo indifferente; ma dentro di sé, già si aprivano squarci di terrore. Come quando si prende una brutta botta: il dolore tarda ad arrivare, ma se giunge al cervello, sono pene infinite. Lasciandosi accarezzare dal venticello che cresceva sempre di più, trovò, comunque, la forza e il coraggio di dare una spiegazione al Marengo, benché le ipotesi di un trionfo fossero lontane quanto l'orbita di Nettuno, scoperto da una decina d'anni.  
«Le mie lettere? Marengo, la prego, non so proprio di cosa sta parlando. A quali lettere si riferisce? Io so a malapena scrivere».
Il Marengo girò la testa su se stesso, insofferente all'ennesimo tentativo della ragazza di sviare le indagini. Ormai l'aveva in pugno, ma non voleva che quella mattina si trasformasse in un calvario senza fine. Smise di indugiare.
«Non importa. Pur sapendo scrivere male, si possono comporre delle belle lettere… delle belle lettere d'amore».
Alla parola "amore" l'Agnese ebbe un sussulto. Deglutì amaramente, quasi del tutto incapace di disserrare ancora le labbra per donare al vento nuove parole. Dovette tuttavia trovare il modo di farlo, cercando di difendersi: avrebbe preferito morire piuttosto che fare sapere in giro che aveva una tresca col prete.
Fu pervasa da bruttissime sensazioni e si pose domande che non riuscì a confortare con risposte appropriate. Come aveva fatto il Marengo a scoprire le sue lettere? E com'era possibile che don Filippo potesse averle lasciate in giro?
«Allora?», la incalzò il Marengo.
Camminarono per qualche metro, e l'Agnese tentò l'ennesima e inutile carta per raddrizzare una situazione senza speranza.  
«Ah, quelle lettere… oddio Marengo, sì, ora mi viene in mente, si figuri… una sciocchezza! Un giorno stavamo scherzando sul sagrato della chiesa, e per via di una cerimonia dedicata ai più giovani, don Filippo mi aveva chiesto di fargli vedere come si compone, come si può comporre, una lettera d'amore. Feci finta di indirizzarla a lui per vedere che faccia faceva».
Il Marengo non abboccò.
«E cosa c'era scritto sulla lettera?».
«Ma niente, due parole messe in croce, niente, davvero, di speciale».
Il Marengo non fiatò, ma si mise a frugare nelle tasche, estraendo un foglio ormai ridotto a una pallottola di cellulosa, che spiegò sotto i suoi occhi.

75.

«E di questa che mi dici?».
L'Agnese rabbrividì.
«Cosa?».
«Vuoi prenderla? O la facciamo volare via?».
Alla ragazza tremarono le mani, ma non poté far altro che afferrare ciò che il Marengo le offriva: la lettera che lei stessa aveva scritto mesi prima a don Filippo, rivelandogli tutto il suo amore. Prese a leggere le prime righe:
«Come dirvelo, come dirvelo, don Filippo, che ormai il mio cuore è tutto per voi. Per voi che aveva riempito il mio cuore di amore e di bontà. Don Filippo, non posso mai scordare i nostri incontri nel bosco e tutto quel che ci è stato fra noi e i nostri bei cuori del Celo. Io sono appena giovane ma quando donna divengo voglio stare per sempre con lei e la sua bontà…».
Non ce la fece ad andare avanti.
«Agnese…».
E a questo punto la giovane si sciolse in un pianto irrefrenabile.
«Marengo, Marengo, la prego, la prego, mi perdoni, non so nemmeno io quello che ho fatto, Marengo, io, io…».
Il saggio della comunità non ebbe bisogno di spiegazioni; sapeva bene che la ragazza non aveva nessuna colpa e cercò di rincuorarla.
«Agnese, calmati, non ti preoccupare, ora vediamo come andare avanti. Ascoltami».
La giovane non riuscì a calmarsi e seguitò a singhiozzare e a disperarsi.
«Io, io, amavo davvero don Filippo e non avrei mai voluto che…».
Zittirono, osservando le cime dei pioppi sopra le loro teste dondolare con vigore, sospinti da un vento che cresceva sempre di più. Il Marengo sospettò che entro sera sarebbe potuto scoppiare un bel temporale, ce n'era bisogno, ma non ebbe tempo per soffermarsi sui capricci della stagione. Davanti ai suoi occhi una ragazzetta, che sarebbe potuta essere sua nipote, reclamava un conforto che probabilmente nemmeno un angelo sarebbe stato in grado di fornirle.  
«Agnese», riprese il Marengo, «quando si diventa adulti le cose si fanno più difficili, e ancora più difficili sono per un prete. Succedono purtroppo cose che nessuno è in grado di gestire e valutare, perché se è vero che la testa raccomanda certe azioni da intraprendere, poi non sempre il cuore obbedisce ai comandi della mente. Succede così proprio con i sentimenti. E' successo così evidentemente anche a te e a don Filippo. Non c'è da parte mia la volontà di redarguirti, ma solo di fare chiarezza su una faccenda troppo ingarbugliata. Don Filippo è morto, e noi dobbiamo provarle tutte per fare luce sulla sua scomparsa».

L'Agnese tirò un respiro profondo, e mossa da un bisogno irrefrenabile di aiuto, si strinse al Marengo in un abbraccio pieno di malinconia. L'uomo non se l'aspettò, e ci mise qualche minuto prima di sciogliersi definitivamente, calibrando una carezza sul capo della ragazza. 

Nessun commento:

Posta un commento