71.
L'Agnese arrivò
dal Marengo con i vestiti fradici e la faccia paonazza, il fiatone e due gote
più rosse di un melone maturo. Ne aveva "già fatto una pelle", così
avrebbero detto i vecchi del villaggio, per spiegare l'animosità di una giovane
come lei, tanto scombuiata da risa grosse, salti all'aria aperta e tuffi.
Anch'essa, peraltro, come la Lina poco prima, non fece molto per tenere a bada le
sue forme e mandare in crisi il pover'uomo, che ne aveva già avuto abbastanza
di ormoni che all'improvviso parevano essersi ridestati da un letargo lungo
decenni. Pochi secondi, però, perché questa volta il Marengo riuscì facilmente a
controllarsi, a domare le pulsioni, a dire no all'impeto del corpo, con la
convinzione che fosse davvero arrivato il momento di smettere di comportarsi
come un adolescente in calore e di iniziare seriamente a ragionare su come
riuscire a convincere l'Agnese a raccontargli qualcosa. Già s'immaginava che
non sarebbe stato facile, non meno del tentativo di estorcere qualche informazione
alla perpetua.
«Buongiorno
Marengo», disse la giovinetta con un filo di voce.
Non aveva la più
pallida idea di cosa volesse da lei, e in tutta onestà avrebbe preferito
continuare a giocare con gli amici. Anche se il Marengo era una brava persona, e
sapeva che non aveva nulla da temere. Ma ne aveva sempre avuto molta
soggezione, ritenendolo un capo villaggio severo ed esigente, col quale, in fin
dei conti, era meglio non avere a che fare; un uomo, di certo, ben diverso dal
suo grande amore... dal suo don Filippo. In realtà, mentre salutava il gran
capo, l'idea che la sua presenza potesse essere legata alla relazione fra lei e
il prete del paese, non la impensierì minimamente. Ormai il curato di Burago
era morto e sepolto, che senso aveva continuare a parlare di lui?
Certo, non era
facile tirare avanti, soprattutto per lei; a pochi giorni dalla sua dipartita,
era davvero impossibile non pensarci o fare finta che fra loro non ci fosse
stato niente. Ma si impegnava con tutte le forze per dimenticare, doveva farlo,
se voleva sopravvivere, benché convinta che non ci sarebbe stato mai più
nessuno in grado di comprenderla come lui, a cui avrebbe potuto liberamente
confidare le sue pene e progettare un domani felice e generoso.
Doveva, voleva,
fare finta di niente. E in parte ci stava riuscendo. Aveva alti a bassi, che si
alternavano di ora in ora. La disperazione più cupa l'attanagliava per un po’, ma
poi si affievoliva fino a trasformarsi in un banale ricordo, come tanti altri.
Era diventata vittima di un bipolarismo umorale frenetico, che anche lei non
sapeva spiegare perché vissuto per la prima volta. L'uomo con cui aveva sognato
di trascorrere l'intera vita, fuggendo magari in un paese lontano, per
lasciarsi alle spalle malelingue e pettegolezzi, non c'era più, e ora cercava
di aggrapparsi a tutto pur di liberarsi da una situazione a dir poco soffocante
e claustrofobica.
«Buongiorno
Agnese, ti va di fare due passi?».
Il Marengo non perse
tempo e andò subito al dunque; tanto valeva essere schietti e lasciar perdere con
le smancerie, rifletté. La situazione era incredibilmente intrigata, ma percepì
che solo adottando un atteggiamento risoluto e sincero avrebbe potuto indurre
la ragazza ad aprirsi. L'onestà pagava sempre alla fine. La squadrò come si fissa
una figlia che ha appena combinato una marachella, particolare che non sfuggì
alla diretta interessata, che si sentì ancora più a disagio.
«Come vuole, ma
non posso fare troppo tardi», sbiascicò l'Agnese, cercando una scorciatoia al
calvario che le parve profilarsi all'orizzonte.
Il Marengo le
diede la mano per aiutarla a vincere il tratto più impervio dell'argine del
Molgora.
La ragazza visse
con apprensione la forte presa dell'uomo, che con una spinta violenta avrebbe
potuto farla volare dall'altra parte del torrente.
«Non ti
preoccupare», la rassicurò, «ti ruberò solo pochi istanti. Sono passato da tuo
padre stamattina e…».
«Mio padre? Che
c'entra?».
«Nulla, non
correre».
«Io non ho fatto
nulla di male».
«Oh no, dunque, aspetta…».
72.
Era un piccolo
sentiero ricoperto di robinie che si spingeva fino alle porte del cavenaghese,
dove si diceva che in passato avesse ospitato uno scontro con alcuni soldati
del Barbarossa. Lo conoscevano molto bene, perché spesso veniva percorso dai
buraghesi come alternativa alla strada principale per raggiungere la parte
orientale della regione, compreso il tragitto per spingersi fino al confine con
la bergamasca; tramite una diramazione a metà del cammino, portava al laghetto
dove era stato trovato il cadavere di don Filippo, e si incrociava, poco più in
là, con quello battuto dall'Ambrogino per fare luce sulla vicenda più ingarbugliata
della storia del paese. Per i primi minuti nessuno dei due fiatò, e per l'Agnese
fu un'angoscia davvero opprimente e difficile da soffocare con un passo
tranquillo e spensierato. Iniziò la conversazione il Marengo, dopo essersi reso
conto che il sole cominciava a essere alto sull'orizzonte, e che nel giro di
poco tempo sarebbe stata ora di andare a pranzo. Non c'era da perdere del tempo
prezioso, dato che, forse, se n'era già perso abbastanza.
«Dunque, Agnese,
troverai strana, questa mia richiesta di parlare con te, posso immaginarlo;
però, non devi avere paura. Non devi avere nulla di cui temere, nessuno vuole
metterti in difficoltà, o crearti problemi. Ormai mi conosci bene, sono molto
amico di tuo padre, mi conosci da quando sei nata, e sai che tutte le
importanti decisioni riguardanti la comunità dipendono da me. Compresa quella
relativa a don Filippo…».
La guardò con gli
occhi languidi di un padre premuroso, regalandole un po’ di sollievo. E lei - strizzandosi
i capelli più per alleviare il nervosismo, che non per una reale necessità di
asciugarsi la chioma - gliene fu grata; benché non capisse ancora il motivo del
suo coinvolgimento.
«Lo so Marengo,
lo so benissimo che è lei il capo del villaggio».
«Bene».
«E non il
sindaco».
«Cosa c'entra il
sindaco?».
«Volevo confermarle
che anche per me è lei che comanda».
«Oddio, no, non
volevo marcare questo particolare».
«In che senso?».
«Non confondiamo
i ruoli. Il Boffalora ha altre mansioni».
«Che mansioni?».
«Diciamo, più
pratiche. Io, al contrario, mi occupo soprattutto di migliorare le condizioni
dei cittadini dal punto di vista… sociale, etico, filosofico».
Erano parole che
all'Agnese suonarono strane come i termini usati dal famoso zoologo, amico di
don Filippo, che era giunto in paese tempo prima.
«Filo che?».
Il Marengo
sorrise.
«Lascia stare,
non è così importante».
Giunsero nei
pressi di una radura, ormai a un passo dal confine con Cavenago. Il Marengo
sentì che cominciava a fare caldo, e che ormai la giornata era sbocciata in
tutto il suo fragore agostano. Colò dalle sue tempie il sudore e sentì la
camicia appiccicarsi all'addome. Comprese che fosse giunto il momento di
sferrare il colpo decisivo. Era arrivato il momento di sapere.
«Sono stato a
casa di don Filippo», sibilò come un fulmine a ciel sereno.
L'Agnese arrestò
il suo cammino e indietreggiò di qualche passo, come se qualcuno l'avesse
spinta a prendere le distanze dal saggio del villaggio. Cercò di mantenere un
certo contegno, ma le fu difficile: l'esordio del Marengo era stato devastante.
Perché don Filippo?
Il cuore
cominciò a batterle come un tamburo e per un attimo ebbe l'impressione che intorno
a lei girasse tutto, come se si fosse trovata a bordo di un'immensa trottola. C'era
una buchetta lungo il percorso, provocata dallo sradicamento di un pino, perse
l'equilibrio e per poco non cadde; ma per l'assurda situazione che stava
vivendo, pensò che, forse, sarebbe stata una benedizione, il pretesto giusto
per cambiare subito argomento.
«Non capisco»,
mormorò con un filo di voce, vicino al silenzio.
Il Marengo intuì
di avere fatto centro, verificando l'irrigidimento dei lineamenti del viso
della ragazza.
«Non è stato
facile ottenere il permesso della perpetua, ma alla fine sono riuscito a
setacciare la camera del curato».
L'Agnese
riacquistò un po’ di coraggio e provò a tenere testa al suo interlocutore,
deviando completamente il discorso.
73.
«Spero che siate
riuscito a scoprire qualcosa. Sarebbe ora che saltasse fuori il vero motivo che
ha portato alla morte di don Filippo. E' stata una perdita così grave per il
nostro paese».
«E' stata una
perdita molto grave, e non sarà facile scoprire come sono andate veramente le
cose. Ma forse tu potresti essermi d'aiuto».
«Io? Io non
c'entro nulla con don Filippo, sono solo una ragazzina, cosa vuole che c'entri
io con tutto questo? Se don Filippo è morto non è certo per colpa mia».
La ragazza s'incaponì
oltremisura e al Marengo non sfuggì il suo imbarazzo.
«Non voglio dire
questo, assolutamente. Non ho dubbi sul fatto che don Filippo sia morto per
colpa tua, ci mancherebbe. Ho dubbi su un'altra faccenda».
Il Marengo la
fissò conturbato, inarcando le sopracciglia.
L'Agnese
sorrise, cercando di rendere meno angosciante la circostanza.
«Quale
faccenda?».
La domanda
dell'Agnese arrivò mentre una folata di vento scoteva le fronde più alte degli
alberi, sollevando anche un po’ di polvere, che non risparmiò le iridi dei due
buraghesi, facendogli strizzare gli occhi. Erano dei grossi pioppi bianchi, che
coprivano parte della radura appena raggiunta. Al di là del tremolio delle
foglie si celava un immenso cielo blu, come solo le giornate più limpide di un
mese estivo sanno regalare. L'Agnese, tergiversando su quell'immensa finestra
di azzurro, avrebbe desiderato un paio di ali per rimbalzare fra le sue nuvole,
convinta della loro morbidezza e sublime elasticità. Ma era ancorata a una
terra che inesorabilmente sentì ostile e traditrice, che con la sua gravità
l'attirava a sé, destinata a qualche girone infernale.
Diamine. Non si
era mai sentita così, nemmeno nei momenti più bui della sua vita, compresi
quelli in cui sembrava che anche il suo amore con il curato non avrebbe avuto
futuro.
«Secondo me per
procedere nelle indagini è necessario scavare nella vita di don Filippo, per
provare a considerare aspetti che ancora non si conoscono; come ben saprai,
ognuno di noi tiene in serbo segreti e sentimenti che è sempre meglio non fare
sapere troppo in giro».
Il Marengo la
prese larga, cercando di vedere se la ragazza si tradiva con qualche strana
espressione, o palesando paura e angoscia.
«Per questo sono
stato in camera sua».
L'Agnese non
fece una piega, anche perché, probabilmente, non aveva minimamente preso in
considerazione il destino che avevano preso le sue lettere; tantomeno l'ipotesi
che don Filippo avesse potuto addirittura conservarle.
«Capisco, ma
ancora non vedo il motivo che l'ha portata a interpellarmi. Sono sicura che le
sue indagini proseguano per il verso il giusto, ma glielo ripeto, io non so
nulla del curato».
«In realtà,
scartabellando qua e là sono saltate fuori tracce inequivocabili».
«Può spiegarmi
in parole più semplici?».
«Abbiamo trovato
indizi che portano direttamente a te».
L'Agnese si mise
a ridere.
«A me? Sta
scherzando? E poi perché adesso parla al plurale?».
Il Marengo si
accorse solo ora di averlo fatto, tirando indirettamente in ballo l'Ambrogino, al
suo fianco durante le ricerche. Ma ritrovò al volo la strada maestra
pronunciando una mezza balla.
«Parlo al plurale
riferendomi alla comunità…».
«Alla comunità?».
«Insomma,
Agnese. Quel che ti voglio dire è che, lo ripeto, le tracce che abbiamo trovato
indicano il tuo nome».
74.
«Ancora con
questa storia?», ridacchiò nuovamente la ragazza, convinta che il Marengo si
stesse arrampicando sui vetri. «Non vedo in che modo delle tracce in casa del
prete possano avere portato a me. Io in quella stanza non ci sono mai stata in
vita mia».
Il Marengo perse
la pazienza e per la prima volta dall'inizio della passeggiata fu
sfrontatamente diretto.
«Agnese, basta
con le menzogne. In casa del prete abbiamo trovato le tue lettere. Non serve
che tu sia stata in quella stanza. Basta sapere che c'erano delle cose tue
personali».
Calò sul duo un
silenzio di tomba, comprensibile solo pochi istanti prima il boato di un
terremoto.
L'Agnese finse
di reggere il colpo, esprimendosi con uno sguardo indifferente; ma dentro di
sé, già si aprivano squarci di terrore. Come quando si prende una brutta botta:
il dolore tarda ad arrivare, ma se giunge al cervello, sono pene infinite.
Lasciandosi accarezzare dal venticello che cresceva sempre di più, trovò,
comunque, la forza e il coraggio di dare una spiegazione al Marengo, benché le
ipotesi di un trionfo fossero lontane quanto l'orbita di Nettuno, scoperto da
una decina d'anni.
«Le mie lettere?
Marengo, la prego, non so proprio di cosa sta parlando. A quali lettere si
riferisce? Io so a malapena scrivere».
Il Marengo girò
la testa su se stesso, insofferente all'ennesimo tentativo della ragazza di
sviare le indagini. Ormai l'aveva in pugno, ma non voleva che quella mattina si
trasformasse in un calvario senza fine. Smise di indugiare.
«Non importa. Pur
sapendo scrivere male, si possono comporre delle belle lettere… delle belle
lettere d'amore».
Alla parola
"amore" l'Agnese ebbe un sussulto. Deglutì amaramente, quasi del
tutto incapace di disserrare ancora le labbra per donare al vento nuove parole.
Dovette tuttavia trovare il modo di farlo, cercando di difendersi: avrebbe
preferito morire piuttosto che fare sapere in giro che aveva una tresca col
prete.
Fu pervasa da
bruttissime sensazioni e si pose domande che non riuscì a confortare con
risposte appropriate. Come aveva fatto il Marengo a scoprire le sue lettere? E
com'era possibile che don Filippo potesse averle lasciate in giro?
«Allora?», la
incalzò il Marengo.
Camminarono per
qualche metro, e l'Agnese tentò l'ennesima e inutile carta per raddrizzare una
situazione senza speranza.
«Ah, quelle
lettere… oddio Marengo, sì, ora mi viene in mente, si figuri… una sciocchezza!
Un giorno stavamo scherzando sul sagrato della chiesa, e per via di una
cerimonia dedicata ai più giovani, don Filippo mi aveva chiesto di fargli
vedere come si compone, come si può comporre, una lettera d'amore. Feci finta
di indirizzarla a lui per vedere che faccia faceva».
Il Marengo non
abboccò.
«E cosa c'era
scritto sulla lettera?».
«Ma niente, due
parole messe in croce, niente, davvero, di speciale».
Il Marengo non fiatò,
ma si mise a frugare nelle tasche, estraendo un foglio ormai ridotto a una pallottola
di cellulosa, che spiegò sotto i suoi occhi.
75.
«E di questa che mi dici?».
L'Agnese rabbrividì.
«Cosa?».
«Vuoi prenderla? O la facciamo
volare via?».
Alla ragazza tremarono le mani, ma
non poté far altro che afferrare ciò che il Marengo le offriva: la lettera che
lei stessa aveva scritto mesi prima a don Filippo, rivelandogli tutto il suo
amore. Prese a leggere le prime righe:
«Come dirvelo,
come dirvelo, don Filippo, che ormai il mio cuore è tutto per voi. Per voi che
aveva riempito il mio cuore di amore e di bontà. Don Filippo, non posso mai
scordare i nostri incontri nel bosco e tutto quel che ci è stato fra noi e i
nostri bei cuori del Celo. Io sono appena giovane ma quando donna divengo
voglio stare per sempre con lei e la sua bontà…».
Non ce la fece
ad andare avanti.
«Agnese…».
E a questo punto
la giovane si sciolse in un pianto irrefrenabile.
«Marengo,
Marengo, la prego, la prego, mi perdoni, non so nemmeno io quello che ho fatto,
Marengo, io, io…».
Il saggio della
comunità non ebbe bisogno di spiegazioni; sapeva bene che la ragazza non aveva
nessuna colpa e cercò di rincuorarla.
«Agnese,
calmati, non ti preoccupare, ora vediamo come andare avanti. Ascoltami».
La giovane non
riuscì a calmarsi e seguitò a singhiozzare e a disperarsi.
«Io, io, amavo
davvero don Filippo e non avrei mai voluto che…».
Zittirono,
osservando le cime dei pioppi sopra le loro teste dondolare con vigore,
sospinti da un vento che cresceva sempre di più. Il Marengo sospettò che entro
sera sarebbe potuto scoppiare un bel temporale, ce n'era bisogno, ma non ebbe
tempo per soffermarsi sui capricci della stagione. Davanti ai suoi occhi una
ragazzetta, che sarebbe potuta essere sua nipote, reclamava un conforto che probabilmente
nemmeno un angelo sarebbe stato in grado di fornirle.
«Agnese»,
riprese il Marengo, «quando si diventa adulti le cose si fanno più difficili, e
ancora più difficili sono per un prete. Succedono purtroppo cose che nessuno è
in grado di gestire e valutare, perché se è vero che la testa raccomanda certe
azioni da intraprendere, poi non sempre il cuore obbedisce ai comandi della
mente. Succede così proprio con i sentimenti. E' successo così evidentemente
anche a te e a don Filippo. Non c'è da parte mia la volontà di redarguirti, ma
solo di fare chiarezza su una faccenda troppo ingarbugliata. Don Filippo è
morto, e noi dobbiamo provarle tutte per fare luce sulla sua scomparsa».
L'Agnese tirò un
respiro profondo, e mossa da un bisogno irrefrenabile di aiuto, si strinse al
Marengo in un abbraccio pieno di malinconia. L'uomo non se l'aspettò, e ci mise
qualche minuto prima di sciogliersi definitivamente, calibrando una carezza sul
capo della ragazza.
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