venerdì 18 luglio 2014

Ferragosto # 16


76.

Ripresero il cammino dopo una decina di minuti, mentre dei grossi nuvoloni cominciarono a profilarsi all'orizzonte minacciando tempesta. Erano le nubi, alte e maestose, che Agnese amava di più; e che immaginava, ogni volta che le vedeva, di poter vincere volandoci sopra, per poi affondare in esse come su un tappeto di piume, o rimbalzandoci saltando di qua e di là del mondo. Lo aveva confidato perfino a don Filippo, fanciullescamente, quel giorno che, lontano da casa, oltre i confini di Burago, visse con lui forse la sua giornata più bella. La ricordò con incredibile nostalgia proprio in questo momento di smarrimento totale, a tu per tu con il Marengo, con un uomo che poteva considerare un secondo padre, ma al quale avrebbe preferito non dovere raccontare nulla dei suoi segreti.
Le avevano chiesto di accompagnare don Filippo dalle parti di Varedo, piccolo centro della Brianza occidentale, per fare visita a una vecchia cugina del parroco del paese, che in passato aveva conosciuto anche il sacerdote buraghese. Sentiva di provare già qualcosa per lui, ma era davvero l'alba di un amore che nessuno avrebbe mai immaginato. Tantomeno lei.
La loro storia non era ancora sbocciata, e non ci fu il rischio di malelingue. D'altra parte, occorreva davvero una ragazzetta volenterosa che l'aiutasse a recapitare alcune torte e altri dolciumi realizzati dalla perpetua. Erano stati gli stessi genitori dell'Agnese a insistere per mandare la figlia, quando don Filippo durante un'omelia aveva comunicato che avrebbe avuto bisogno di una mano, e che c'era una nipotina della conoscente che avrebbe giocato volentieri con una nuova amichetta.
Avevano raggiunto Varedo a bordo di un vecchissimo carretto, presente nella curia da chissà quanto tempo e utilizzato per i viaggi non troppo lunghi, da risolversi nel giro di poche ore. E forse proprio in quel frangente era scoccata la scintilla fra i due.
«A cosa pensi?», chiese il Marengo.
«A don Filippo», sussurrò la ragazza.
Il Marengo le sorrise dolcemente, scoprendo che era tornata serena; e che finalmente avrebbe potuto capire di più dello strano rapporto fra i due compaesani.
«Una volta siamo andati a Varedo a trovare una vecchia signora. E da lì, credo, è cominciato tutto».
«Vuoi spiegarmi meglio?».
«Non so perché don Filippo mi fece così impressione; perché mi piacque tanto. Con lui mi trovai meglio che con mio padre e con tutti gli amici della mia età. Don Filippo aveva un fare… non so come spiegare, Marengo, non lo so, era bellissimo stare con lui, era un uomo… Mi sembrava di stare in paradiso. Poi da quel giorno abbiamo iniziato a vederci spesso, anche nel bosco e…».
Il Marengo deglutì amaramente, non comprendendo come potesse essersi instaurata una relazione di simile portata all'insaputa di tutti.
«Quale bosco?», chiese l'uomo mordicchiandosi le labbra, un po’ schifato dall'argomento.
«Dipende, ogni volta cambiavamo, di solito era quello di San Martino, dalle parti di Agrate, ha presente? Ci davamo appuntamento al crocicchio, verso le due, e poi ce ne andavamo per la nostra strada, infilandoci fra gli alberi più fitti».
Era uno dei posti meno battuti del paese, dove almeno un secolo prima, a causa di una disputa per un diritto di precedenza, era stato commesso un omicidio; era poco frequentato perché nonostante gli anni si pensava che ancora fosse infestato dallo spettro della vittima, tutt'altro che amichevole; da tempo era avvolto da un folto manto di robinie, ed era davvero il posto ideale dove potersi nascondere da occhi indiscreti.
«Possibile che non vi abbia mai visto nessuno?».
«Sa che al crocicchio non ci passa anima viva».  
«Ormai è una strada desolata, questo lo so, non l'abbiamo nemmeno preso in considerazione per cercare don Filippo, tuttavia…».
«Sa, non è che ci vedevamo tutti i giorni, magari passavano anche settimane. Ma alla fine non potevamo stare troppo tempo senza vederci».

77.

Al Marengo era passata la fame, ma non alla ragazza, il cui stomaco aveva cominciato a borbottare.
«Mi fa male la pancia».
Il Marengo fece finta di non aver sentito.
«Ho fame».
«Ora ci avviamo verso casa».
«Non so se resisto».
«Non è mai morto nessuno di fame, nemmeno a Burago».
Il Marengo parve non avere così premura di arrivare in paese; difatti intraprese un sentiero che allungava leggermente il tradizionale tragitto per giungere al villaggio.
«Perché facciamo questo percorso?».
«Che c'è di strano?».
«L'allunghiamo».
«E' lo stesso, così ho il tempo di chiederti ancora qualcosa».
«Signor Marengo, la prego, non me la sento più di parlare di don Filippo. Cerchi di capirmi e di mettersi nei miei panni».
«In realtà non mi hai detto molto».
«Le ho detto tutto quello che c'era da dire. Insomma, eravamo innamorati. Alla fine saremmo scappati insieme per vivere come due persone normali, lontano dalle brutte voci, lontano da tutti».
Il Marengo impallidì.
«Ma tu sei proprio certa che don Filippo condividesse i tuoi sentimenti?».
«Perché Marengo, lo vuole mettere in dubbio?».
«Mi sembra una storia così assurda».
«Certe cose si capiscono solo con il cuore, con il cuore in subbuglio, mi deve credere. Anche a me, se ragionasse dall'esterno, parrebbe una cosa impossibile. Eppure… eppure è successo. E adesso sono tramortita da quel che è accaduto e sta accadendo e sembra non finire mai. A volte vorrei sparire, sprofondare da qualche parte e non avere più a che fare con nessuno».
«Non dovresti dire certe cose».
«Le dico eccome, lei, mi perdoni, non può capire. O se avessi almeno la sua età».
«In che senso?».
«Vorrei essere come mia nonna e non dover pensare più a niente».
Sentendosi dare del vecchio, il Marengo corrucciò la fronte; ma non perché si sentì offeso, bensì per la genuinità e la trasparenza della ragazza che emersero in tutta la loro spontaneità.
«E' giusto che tu viva la tua età, invece, senza pensare a queste cose. Ogni periodo della vita ha i suoi lati positivi, bisogna solo sapergli dare il giusto valore. Anche da vecchi si può essere felici. E soprattutto lo si può essere quando si è nel fiore degli anni. Come te».
Ci fu un attimo di silenzio, che ruppe presto il Marengo esordendo con un nuovo quesito. 
«Piuttosto, mi preme sapere una cosa di questa faccenda… sei proprio sicura di non avere mai incontrato nessuno nei vostri appuntamenti?».
L'Agnese si sorprese osservando che il Marengo le stava ponendo una domanda che le aveva rivolto solo pochi istanti prima. Pensò, dunque, che potesse avere qualche problema di memoria, proprio come stava accadendo a sua nonna che da un po’ di tempo la chiamava Arianna. Ma fece finta di niente e gli rispose senza problemi.
«Le ho già detto che sì, cioè no, non ci ha mai visti nessuno. Sapevamo di correre dei rischi e badavamo bene a come muoverci. Soprattutto don Filippo, che a volte pareva proprio angosciato da questa eventualità. L'idea di incontrare qualche buraghese lo turbava tantissimo».
Camminarono in silenzio per qualche metro, lasciandosi cullare dal frastuono dei grilli e di alcuni uccelli che gli sorvolavano il capo in cerca di qualche carcassa da spolpare. Poi, all'improvviso, l'Agnese ebbe un'illuminazione.
«Ora che ci penso bene, però, una delle prime volte…».
«Cosa?».
«Beh, una delle prime volte che ci vedevamo, a essere sincera, è invece capitato di avere a che fare con delle persone».
«Scherzi?».
«Erano due tipi strani, che non avevamo mai visto prima, sicuramente non era gente di Burago. C'eravamo quasi persi, spingendosi all'interno di una fitta boscaglia. Certo che lo ricordo bene… ci prendemmo un colpo, ma siccome non sapevamo chi fossero, alla fine, non ci demmo molto peso e li dimenticammo».
«Due brutti ceffi?».
«Non erano belle persone. Ma non ci fecero nulla di male e a quanto pare passavano di lì per caso. Uno dei due si congedò con uno strano ghigno prima di andarsene».
«Vi hanno scorto in intimità?».
«Intimità?».
«Mentre stavate amoreggiando?».
L'Agnese arrossì, vergognandosi.
«Non so, ma è probabile. Quel giorno lo ricordo perché…».
Il Marengo era così preso dalla conversazione che non si accorse di una striscia di bava che gli pendeva dal lato sinistro della bocca e che per poco non scivolò oltre il labbro inferiore macchiandogli la camicia.
«… perché ci siamo baciati per la prima volta».

78.

«Baciati?», domandò allibito il saggio della comunità.  
«La prego, Marengo, non mi giudichi, non mi faccia passare per una…».
«No, non ti preoccupare, non è mio compito indagare la morale delle persone… per quelle cose ci sono… i preti».
Rise fra sé.
«Ora è necessario capire chi fossero i due che vi hanno visti, piuttosto».
«Non ne ho la più pallida idea, guardi, davvero».
«E non vi è più capitato di vederli?».
«Assolutamente. Mai, mai più».
Il Marengo si fece pensieroso, ma capì che il cerchio in qualche modo si stava stringendo. Un po’ di cose cominciavano a combaciare, a tornare. La sua mente si mise in moto a mille all'ora, cercando nuove risposte pratiche che potessero dare una bella sterzata al corso delle indagini.
«Mai più…».
Il silenzio cadde di nuovo sui loro capi e quasi senza accorgersi si ritrovarono alle porte del paese, inconsapevoli del tempo che avevano trascorso insieme. 
Li vide Luciano Brioschi che si mise a sbraitare come un lupo durante una notte di luna piena.
«Marengo! Bello passeggiare per la campagna, eh?».
Il Marengo non ci fece granché caso, ma fu come sempre cordiale.
«Corri Luciano che il piatto si raffredda».
«Appunto, corro, corro».
Anche all'Agnese scappò un sorriso.
Poi fu la volta della Maria Casiraghi che, vedendoli, abbassò il capo. Li salutò con uno sguardo fugace e proseguì per la sua strada.
«Bene, Agnese», disse il Marengo, ormai in faccia all'ingresso del panettiere e, quindi, della casa della giovane. «Direi che abbiamo fatto una bella chiacchierata, quello che ci serviva per proseguire nelle indagini ce l'abbiamo e lo devo a te».
L'Agnese strabuzzò gli occhi, affaticata e desiderosa solo di poter dormire per un secolo.
«Mi scusi, Marengo, ma in che modo la mia storia potrebbe favorire le ricerche?».
«Ci sono un po’ di nuove cose su cui potrò ragionare, ma non è il caso di spiegartele adesso».
«Però, io…».
Il Marengo capì che la ragazza avrebbe desiderato un abbraccio, ma non se la sentì di compiere il primo passo.
«Stai tranquilla, nessuno ti criticherà per quello che è successo».
«Ma io preferirei che non si dicesse in giro che io e don Filippo…».
«Agnese, voglio essere sincero fino in fondo con te. Per venire a capo di alcune cose è necessario essere limpidi, espliciti, trasparenti. Non dobbiamo e non possiamo vivere nella menzogna. Quel che è accaduto a te e a don Filippo, può succedere a chiunque. Occorre solo il buonsenso, vincere la paura delle malelingue, perché quel che conta veramente sono solo l'intelligenza e la volontà di aiutare chi sta peggio di noi. Il resto è solo appannaggio dell'essere primitivo, di chi non ha cuore e non usa la testa come si deve. Tu hai una bellissima famiglia e hai ancora tutta la vita davanti a te. Vedrai che le cose si sistemeranno e un giorno non dovrai più penare per quel che hai passato».
All'Agnese vennero le lacrime agli occhi. Strinse forti i pugni e scappò via passando per il retro della casa che la ospitava da quando era bambina, convinta di non voler incontrare nessuno, tantomeno il padre. Il Marengo tirò un respiro profondo, mentre voltò su se stesso per raggiungere la propria dimora; nell'istante in cui attraversò il suo cammino la Marta Bucchi, che gli sorrise malignamente.

79.

Mangiò due fettine di prosciutto e qualche prugna appena raccolta dal pezzettino di verde che sorgeva di fianco alla sua abitazione; ma la fame era andata a farsi benedire. Aveva troppe cose su cui ragionare, compresi i tumulti legati a una libidine che pensava sopita per sempre. Anche la digestione non fu particolarmente felice, ritrovandosi contemporaneamente a pensare al suo passato che forse avrebbe potuto prendere una piega diversa se avesse incontrato la donna giusta, e alla morte di don Filippo che cominciava a diventare sempre meno nebulosa, ma paradossalmente più problematica. Pensò che più tardi avrebbe fatto visita al sindaco Boffalora, per decidere il da farsi.
Si stese un attimo sul divano e si appisolò per più di un'ora, facendo sogni confusi e rocamboleschi. Lo risvegliò il miagolio di un gatto simile al Gaetanino, che però non aveva mai visto dalle sue parti e che, alla fine, cacciò via con un fischio. Fu in strada in pochi minuti e in breve raggiunse la casa del sindaco.  
«Boffalora, ci sei?», berciò dalla finestra semiaperta della cucina.
Non udì parola. Ma sentì un rumore simile all'acqua che scroscia e va a sbattere su una superficie dura, tipo marmo. Pensò a qualche suo famigliare, intento a lavare qualcosa.
«Marengo», esordì la moglie del sindaco, «venga, la prego. Cerca il Raimondo? Vado subito a chiamarglielo».
«La ringrazio».
Il Marengo si ritrovò nella casa del primo cittadino, che rispetto alle altre volte che l'aveva visitata gli parve più piccola e più buia. Si soffermò sul mobile più ampio della cucina, dove erano appesi vari quadretti dedicati alla Madonna. Si stupì nel constatare che il sindaco fosse tanto devoto.
Se lo ritrovò davanti pochi istanti dopo.
«Marengo».
«Sindaco».
«Si accomodi, vuole un digestivo?».
«Considerando che non ho mangiato quasi niente…».
Non finì la frase e la moglie del primo cittadino gli porse un bicchierino di liquore.
«Beva, non faccia complimenti», disse il Boffalora. «Dunque, sarà venuto qui per raccontarmi qualcosa su don Filippo».
«E' proprio così».
Il Boffalora fece cenno alla donna di andarsene.
Il Marengo la vide sconsolata volare al di là della stanza dove erano soliti accomodarsi per pranzo e cena.
«Allora, mi dica».
«La faccenda sta prendendo la piega giusta».
Il Marengo raccontò per filo e per segno com'erano andate le cose. Dalla scoperta della lettera, alla chiacchierata con Agnese. Alla fine il sindaco non seppe nemmeno cosa dire, frastornato dagli incredibili sviluppi della storia. Aveva la bocca aperta come un bambino di fronte al più bel giocattolo che avesse mai visto, e per la prima volta anch'egli si rese conto che il caso, probabilmente, poteva non essere più tanto lontano dalla soluzione.
«Vorrebbe dire che lo ricattavano?».
«Lei cosa penserebbe?».
«Penserei la stessa cosa».
«Infatti, tutto torna».
«I due ceffi che andavano dal prete erano gli stessi che avevano visto i due in intimità».
«D'accordo, però continua a scapparci il vero movente», rifletté il Marengo, «che motivo c'era di assassinare don Filippo? In fondo, lui gli dava quello che volevano, e le cose sarebbero potute andare avanti così. Cosa è successo? Perché la situazione è precipitata?».
«Ci manca, peraltro, una controprova a tutto questo», aggiunse il sindaco, «non crede che sarebbe il caso di risentire Felice? In fin dei conti non abbiamo la certezza matematica che le due circostanze siano fra loro assimilabili».
«Potrebbe essere una buona idea, anche se non ho dubbi che ci fosse di mezzo un ricatto bello e buono».

80.

Trovarono Felice alla Locanda del gelso, un posto molto antico, dove da secoli le persone si davano appuntamento per trascorrere momenti di serenità, bevendo qualche bicchiere di vino o giocando a carte. Nella parte alta dell'edificio c'erano le camere che, seppur raramente, venivano affittate a viandanti e nobili in giro per affari. Una leggenda diceva che vi si era fermato perfino un re di Francia, che però nessuno sapeva correttamente menzionare; si diceva solo che avesse fatto tappa a Burago, per via di una sorgente di acqua fresca e pura.
«Felice», gridò il Marengo, vedendo il ragazzetto correre su e giù per le scale.
«Marengo, che c'è?».
«Abbiamo ancora bisogno di te».
Felice stette sulle spine: avrebbe fatto volentieri a meno di dover ancora dar retta ai grandi del villaggio.
«Vi prego, non portatemi di nuovo a cascina Branca», recitò sconsolato il ragazzo.
«No, niente di tutto ciò», disse il Boffalora, «piuttosto dovresti dirci bene quel che hai sentito quel giorno in cui capitasti per caso alla casa di don Filippo».
Il giovane dondolò la testa.
«Ve l'ho già detto, non saprei cos'altro aggiungere».
«Prova a ripensarci insieme a noi».
Felice sbuffò.
«Insomma, emerse cascina Branca e che… quei due erano dei poco di buono. Erano vestiti male, con delle brutte facce, sembrava gente cattiva… ve l'ho già detto!».
Il Marengo prese a girare su stesso pensieroso, in cerca di una domanda che avrebbe potuto fare davvero luce sulla tormentata questione.  
«Non ti viene in mente altro?», incalzò il sindaco.
«Nulla», disse il ragazzo.
«Pensaci bene».
«Nulla, accidenti. Se è nulla, è nulla».
Felice si accorse di essere stato un po’ sfrontato e si ricompose immediatamente.
«Ma perché, cos'altro avete scoperto?».
«Le indagini stanno proseguendo bene, ma ci mancano dei passaggi chiave, diciamo delle conferme», raccontò il Marengo.
«Non saprei come aiutarvi».  
«Per esempio, non ti è capitato di sentire la parola "ricatto" o…».
Si guardarono l'un l'altro i due uomini della comunità, e al cenno di sì del Marengo, il sindaco proseguì con il suo interrogatorio.
«O Agnese».
Il ragazzo sbalordì.
«Agnese? L'Agnese Bucchi? La figlia del panettiere?».
«Zitto», lo ammonì il Marengo, «non serve gridare».
«Ma cosa c'entra l'Agnese?».
«Niente, niente, vogliamo solo sapere se hai sentito il suo nome».
«Macché, dell'Agnese non ho proprio sentito parlare».
I due uomini non seppero più che pesci pigliare.
«L'unica cosa che posso aggiungere è che il prete a un certo punto s'inalberò».
«In che senso?».
«Si spazientì. Alzò un braccio al cielo e gridò qualcosa».
«Cosa?».
«Ma non lo so».
«Sforzati, santo Dio», blaterò il Boffalora.  
«Forse qualcosa del tipo, "svuoterò il sacco"».
«Come?», domandò il Marengo.
Felice cominciò a tremare.
«Oddio, non lo so, non ricordo, potrebbe avere detto così, ma anche no».
«Pensaci bene, potrebbe essere molto importante», lo supplicò il Marengo.
«Disse forse "dirò tutto", "parlerò", non lo so, ve lo giuro…».
«E solo adesso ci confidi una cosa del genere?».
«Ma perché tutta questa premura? Cosa c'è di tanto strano?».
«Ha ragione, Marengo», disse il Boffalora, «lui non è al corrente degli ultimi sviluppi. Non può dare senso a un particolare, se non è in grado di offrirgli un contesto».
Il Marengo comprese che il sindaco aveva ragione. Diede una pacca sulla spalla al ragazzo in segno di riconoscenza e lo lasciò libero di tornare ai suoi diletti.
«Va, torna pure a giocare. Ci hai detto abbastanza».
«Posso andare? Davvero?».
«Sì, certo, e… grazie di cuore per il tuo aiuto».
Felice li guardò stralunato e allibito da tanta devozione: il mondo dei grandi continuava a sembrargli lontano, ostile e incomprensibile.
«Va beh, come volete, arrivederci allora…».
E si catapultò di nuovo in cima alle scale, a rincorrere qualche altro fantasma giovanile. 

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