76.
Ripresero il cammino
dopo una decina di minuti, mentre dei grossi nuvoloni cominciarono a profilarsi
all'orizzonte minacciando tempesta. Erano le nubi, alte e maestose, che Agnese
amava di più; e che immaginava, ogni volta che le vedeva, di poter vincere
volandoci sopra, per poi affondare in esse come su un tappeto di piume, o
rimbalzandoci saltando di qua e di là del mondo. Lo aveva confidato perfino a
don Filippo, fanciullescamente, quel giorno che, lontano da casa, oltre i
confini di Burago, visse con lui forse la sua giornata più bella. La ricordò
con incredibile nostalgia proprio in questo momento di smarrimento totale, a tu
per tu con il Marengo, con un uomo che poteva considerare un secondo padre, ma
al quale avrebbe preferito non dovere raccontare nulla dei suoi segreti.
Le avevano
chiesto di accompagnare don Filippo dalle parti di Varedo, piccolo centro della
Brianza occidentale, per fare visita a una vecchia cugina del parroco del
paese, che in passato aveva conosciuto anche il sacerdote buraghese. Sentiva di
provare già qualcosa per lui, ma era davvero l'alba di un amore che nessuno
avrebbe mai immaginato. Tantomeno lei.
La loro storia
non era ancora sbocciata, e non ci fu il rischio di malelingue. D'altra parte, occorreva
davvero una ragazzetta volenterosa che l'aiutasse a recapitare alcune torte e altri
dolciumi realizzati dalla perpetua. Erano stati gli stessi genitori dell'Agnese
a insistere per mandare la figlia, quando don Filippo durante un'omelia aveva comunicato
che avrebbe avuto bisogno di una mano, e che c'era una nipotina della
conoscente che avrebbe giocato volentieri con una nuova amichetta.
Avevano
raggiunto Varedo a bordo di un vecchissimo carretto, presente nella curia da
chissà quanto tempo e utilizzato per i viaggi non troppo lunghi, da risolversi
nel giro di poche ore. E forse proprio in quel frangente era scoccata la
scintilla fra i due.
«A cosa pensi?»,
chiese il Marengo.
«A don Filippo»,
sussurrò la ragazza.
Il Marengo le
sorrise dolcemente, scoprendo che era tornata serena; e che finalmente avrebbe
potuto capire di più dello strano rapporto fra i due compaesani.
«Una volta siamo
andati a Varedo a trovare una vecchia signora. E da lì, credo, è cominciato
tutto».
«Vuoi spiegarmi
meglio?».
«Non so perché
don Filippo mi fece così impressione; perché mi piacque tanto. Con lui mi
trovai meglio che con mio padre e con tutti gli amici della mia età. Don
Filippo aveva un fare… non so come spiegare, Marengo, non lo so, era bellissimo
stare con lui, era un uomo… Mi sembrava di stare in paradiso. Poi da quel
giorno abbiamo iniziato a vederci spesso, anche nel bosco e…».
Il Marengo deglutì
amaramente, non comprendendo come potesse essersi instaurata una relazione di
simile portata all'insaputa di tutti.
«Quale bosco?»,
chiese l'uomo mordicchiandosi le labbra, un po’ schifato dall'argomento.
«Dipende, ogni
volta cambiavamo, di solito era quello di San Martino, dalle parti di Agrate,
ha presente? Ci davamo appuntamento al crocicchio, verso le due, e poi ce ne
andavamo per la nostra strada, infilandoci fra gli alberi più fitti».
Era uno dei
posti meno battuti del paese, dove almeno un secolo prima, a causa di una
disputa per un diritto di precedenza, era stato commesso un omicidio; era poco
frequentato perché nonostante gli anni si pensava che ancora fosse infestato
dallo spettro della vittima, tutt'altro che amichevole; da tempo era avvolto da
un folto manto di robinie, ed era davvero il posto ideale dove potersi
nascondere da occhi indiscreti.
«Possibile che
non vi abbia mai visto nessuno?».
«Sa che al
crocicchio non ci passa anima viva».
«Ormai è una
strada desolata, questo lo so, non l'abbiamo nemmeno preso in considerazione
per cercare don Filippo, tuttavia…».
«Sa, non è che
ci vedevamo tutti i giorni, magari passavano anche settimane. Ma alla fine non
potevamo stare troppo tempo senza vederci».
77.
Al Marengo era
passata la fame, ma non alla ragazza, il cui stomaco aveva cominciato a
borbottare.
«Mi fa male la
pancia».
Il Marengo fece
finta di non aver sentito.
«Ho fame».
«Ora ci avviamo
verso casa».
«Non so se
resisto».
«Non è mai morto
nessuno di fame, nemmeno a Burago».
Il Marengo parve
non avere così premura di arrivare in paese; difatti intraprese un sentiero che
allungava leggermente il tradizionale tragitto per giungere al villaggio.
«Perché facciamo
questo percorso?».
«Che c'è di
strano?».
«L'allunghiamo».
«E' lo stesso,
così ho il tempo di chiederti ancora qualcosa».
«Signor Marengo,
la prego, non me la sento più di parlare di don Filippo. Cerchi di capirmi e di
mettersi nei miei panni».
«In realtà non
mi hai detto molto».
«Le ho detto tutto
quello che c'era da dire. Insomma, eravamo innamorati. Alla fine saremmo
scappati insieme per vivere come due persone normali, lontano dalle brutte
voci, lontano da tutti».
Il Marengo
impallidì.
«Ma tu sei
proprio certa che don Filippo condividesse i tuoi sentimenti?».
«Perché Marengo,
lo vuole mettere in dubbio?».
«Mi sembra una
storia così assurda».
«Certe cose si
capiscono solo con il cuore, con il cuore in subbuglio, mi deve credere. Anche
a me, se ragionasse dall'esterno, parrebbe una cosa impossibile. Eppure… eppure
è successo. E adesso sono tramortita da quel che è accaduto e sta accadendo e
sembra non finire mai. A volte vorrei sparire, sprofondare da qualche parte e
non avere più a che fare con nessuno».
«Non dovresti
dire certe cose».
«Le dico eccome,
lei, mi perdoni, non può capire. O se avessi almeno la sua età».
«In che senso?».
«Vorrei essere
come mia nonna e non dover pensare più a niente».
Sentendosi dare
del vecchio, il Marengo corrucciò la fronte; ma non perché si sentì offeso,
bensì per la genuinità e la trasparenza della ragazza che emersero in tutta la
loro spontaneità.
«E' giusto che
tu viva la tua età, invece, senza pensare a queste cose. Ogni periodo della
vita ha i suoi lati positivi, bisogna solo sapergli dare il giusto valore. Anche
da vecchi si può essere felici. E soprattutto lo si può essere quando si è nel
fiore degli anni. Come te».
Ci fu un attimo
di silenzio, che ruppe presto il Marengo esordendo con un nuovo quesito.
«Piuttosto, mi
preme sapere una cosa di questa faccenda… sei proprio sicura di non avere mai
incontrato nessuno nei vostri appuntamenti?».
L'Agnese si
sorprese osservando che il Marengo le stava ponendo una domanda che le aveva
rivolto solo pochi istanti prima. Pensò, dunque, che potesse avere qualche problema
di memoria, proprio come stava accadendo a sua nonna che da un po’ di tempo la
chiamava Arianna. Ma fece finta di niente e gli rispose senza problemi.
«Le ho già detto
che sì, cioè no, non ci ha mai visti nessuno. Sapevamo di correre dei rischi e
badavamo bene a come muoverci. Soprattutto don Filippo, che a volte pareva
proprio angosciato da questa eventualità. L'idea di incontrare qualche
buraghese lo turbava tantissimo».
Camminarono in
silenzio per qualche metro, lasciandosi cullare dal frastuono dei grilli e di
alcuni uccelli che gli sorvolavano il capo in cerca di qualche carcassa da
spolpare. Poi, all'improvviso, l'Agnese ebbe un'illuminazione.
«Ora che ci
penso bene, però, una delle prime volte…».
«Cosa?».
«Beh, una delle
prime volte che ci vedevamo, a essere sincera, è invece capitato di avere a che
fare con delle persone».
«Scherzi?».
«Erano due tipi
strani, che non avevamo mai visto prima, sicuramente non era gente di Burago. C'eravamo
quasi persi, spingendosi all'interno di una fitta boscaglia. Certo che lo
ricordo bene… ci prendemmo un colpo, ma siccome non sapevamo chi fossero, alla
fine, non ci demmo molto peso e li dimenticammo».
«Due brutti
ceffi?».
«Non erano belle
persone. Ma non ci fecero nulla di male e a quanto pare passavano di lì per
caso. Uno dei due si congedò con uno strano ghigno prima di andarsene».
«Vi hanno scorto
in intimità?».
«Intimità?».
«Mentre stavate
amoreggiando?».
L'Agnese
arrossì, vergognandosi.
«Non so, ma è
probabile. Quel giorno lo ricordo perché…».
Il Marengo era
così preso dalla conversazione che non si accorse di una striscia di bava che
gli pendeva dal lato sinistro della bocca e che per poco non scivolò oltre il
labbro inferiore macchiandogli la camicia.
«… perché ci
siamo baciati per la prima volta».
78.
«Baciati?»,
domandò allibito il saggio della comunità.
«La prego,
Marengo, non mi giudichi, non mi faccia passare per una…».
«No, non ti
preoccupare, non è mio compito indagare la morale delle persone… per quelle
cose ci sono… i preti».
Rise fra sé.
«Ora è
necessario capire chi fossero i due che vi hanno visti, piuttosto».
«Non ne ho la
più pallida idea, guardi, davvero».
«E non vi è più
capitato di vederli?».
«Assolutamente. Mai,
mai più».
Il Marengo si
fece pensieroso, ma capì che il cerchio in qualche modo si stava stringendo. Un
po’ di cose cominciavano a combaciare, a tornare. La sua mente si mise in moto
a mille all'ora, cercando nuove risposte pratiche che potessero dare una bella
sterzata al corso delle indagini.
«Mai più…».
Il silenzio
cadde di nuovo sui loro capi e quasi senza accorgersi si ritrovarono alle porte
del paese, inconsapevoli del tempo che avevano trascorso insieme.
Li vide Luciano
Brioschi che si mise a sbraitare come un lupo durante una notte di luna piena.
«Marengo! Bello
passeggiare per la campagna, eh?».
Il Marengo non
ci fece granché caso, ma fu come sempre cordiale.
«Corri Luciano
che il piatto si raffredda».
«Appunto, corro,
corro».
Anche all'Agnese
scappò un sorriso.
Poi fu la volta
della Maria Casiraghi che, vedendoli, abbassò il capo. Li salutò con uno
sguardo fugace e proseguì per la sua strada.
«Bene, Agnese»,
disse il Marengo, ormai in faccia all'ingresso del panettiere e, quindi, della
casa della giovane. «Direi che abbiamo fatto una bella chiacchierata, quello
che ci serviva per proseguire nelle indagini ce l'abbiamo e lo devo a te».
L'Agnese
strabuzzò gli occhi, affaticata e desiderosa solo di poter dormire per un
secolo.
«Mi scusi,
Marengo, ma in che modo la mia storia potrebbe favorire le ricerche?».
«Ci sono un po’
di nuove cose su cui potrò ragionare, ma non è il caso di spiegartele adesso».
«Però, io…».
Il Marengo capì
che la ragazza avrebbe desiderato un abbraccio, ma non se la sentì di compiere
il primo passo.
«Stai
tranquilla, nessuno ti criticherà per quello che è successo».
«Ma io
preferirei che non si dicesse in giro che io e don Filippo…».
«Agnese, voglio
essere sincero fino in fondo con te. Per venire a capo di alcune cose è
necessario essere limpidi, espliciti, trasparenti. Non dobbiamo e non possiamo
vivere nella menzogna. Quel che è accaduto a te e a don Filippo, può succedere
a chiunque. Occorre solo il buonsenso, vincere la paura delle malelingue,
perché quel che conta veramente sono solo l'intelligenza e la volontà di aiutare
chi sta peggio di noi. Il resto è solo appannaggio dell'essere primitivo, di
chi non ha cuore e non usa la testa come si deve. Tu hai una bellissima
famiglia e hai ancora tutta la vita davanti a te. Vedrai che le cose si
sistemeranno e un giorno non dovrai più penare per quel che hai passato».
All'Agnese
vennero le lacrime agli occhi. Strinse forti i pugni e scappò via passando per
il retro della casa che la ospitava da quando era bambina, convinta di non
voler incontrare nessuno, tantomeno il padre. Il Marengo tirò un respiro
profondo, mentre voltò su se stesso per raggiungere la propria dimora;
nell'istante in cui attraversò il suo cammino la Marta Bucchi, che gli sorrise
malignamente.
79.
Mangiò due
fettine di prosciutto e qualche prugna appena raccolta dal pezzettino di verde
che sorgeva di fianco alla sua abitazione; ma la fame era andata a farsi
benedire. Aveva troppe cose su cui ragionare, compresi i tumulti legati a una libidine
che pensava sopita per sempre. Anche la digestione non fu particolarmente
felice, ritrovandosi contemporaneamente a pensare al suo passato che forse
avrebbe potuto prendere una piega diversa se avesse incontrato la donna giusta,
e alla morte di don Filippo che cominciava a diventare sempre meno nebulosa, ma
paradossalmente più problematica. Pensò che più tardi avrebbe fatto visita al
sindaco Boffalora, per decidere il da farsi.
Si stese un
attimo sul divano e si appisolò per più di un'ora, facendo sogni confusi e
rocamboleschi. Lo risvegliò il miagolio di un gatto simile al Gaetanino, che
però non aveva mai visto dalle sue parti e che, alla fine, cacciò via con un
fischio. Fu in strada in pochi minuti e in breve raggiunse la casa del sindaco.
«Boffalora, ci
sei?», berciò dalla finestra semiaperta della cucina.
Non udì parola.
Ma sentì un rumore simile all'acqua che scroscia e va a sbattere su una
superficie dura, tipo marmo. Pensò a qualche suo famigliare, intento a lavare qualcosa.
«Marengo», esordì
la moglie del sindaco, «venga, la prego. Cerca il Raimondo? Vado subito a
chiamarglielo».
«La ringrazio».
Il Marengo si
ritrovò nella casa del primo cittadino, che rispetto alle altre volte che l'aveva
visitata gli parve più piccola e più buia. Si soffermò sul mobile più ampio
della cucina, dove erano appesi vari quadretti dedicati alla Madonna. Si stupì
nel constatare che il sindaco fosse tanto devoto.
Se lo ritrovò
davanti pochi istanti dopo.
«Marengo».
«Sindaco».
«Si accomodi,
vuole un digestivo?».
«Considerando
che non ho mangiato quasi niente…».
Non finì la
frase e la moglie del primo cittadino gli porse un bicchierino di liquore.
«Beva, non
faccia complimenti», disse il Boffalora. «Dunque, sarà venuto qui per
raccontarmi qualcosa su don Filippo».
«E' proprio
così».
Il Boffalora
fece cenno alla donna di andarsene.
Il Marengo la
vide sconsolata volare al di là della stanza dove erano soliti accomodarsi per
pranzo e cena.
«Allora, mi
dica».
«La faccenda sta
prendendo la piega giusta».
Il Marengo
raccontò per filo e per segno com'erano andate le cose. Dalla scoperta della
lettera, alla chiacchierata con Agnese. Alla fine il sindaco non seppe nemmeno
cosa dire, frastornato dagli incredibili sviluppi della storia. Aveva la bocca
aperta come un bambino di fronte al più bel giocattolo che avesse mai visto, e
per la prima volta anch'egli si rese conto che il caso, probabilmente, poteva
non essere più tanto lontano dalla soluzione.
«Vorrebbe dire
che lo ricattavano?».
«Lei cosa
penserebbe?».
«Penserei la
stessa cosa».
«Infatti, tutto
torna».
«I due ceffi che
andavano dal prete erano gli stessi che avevano visto i due in intimità».
«D'accordo, però
continua a scapparci il vero movente», rifletté il Marengo, «che motivo c'era
di assassinare don Filippo? In fondo, lui gli dava quello che volevano, e le
cose sarebbero potute andare avanti così. Cosa è successo? Perché la situazione
è precipitata?».
«Ci manca,
peraltro, una controprova a tutto questo», aggiunse il sindaco, «non crede che
sarebbe il caso di risentire Felice? In fin dei conti non abbiamo la certezza
matematica che le due circostanze siano fra loro assimilabili».
«Potrebbe essere
una buona idea, anche se non ho dubbi che ci fosse di mezzo un ricatto bello e
buono».
80.
Trovarono Felice
alla Locanda del gelso, un posto molto antico, dove da secoli le persone si
davano appuntamento per trascorrere momenti di serenità, bevendo qualche
bicchiere di vino o giocando a carte. Nella parte alta dell'edificio c'erano le
camere che, seppur raramente, venivano affittate a viandanti e nobili in giro
per affari. Una leggenda diceva che vi si era fermato perfino un re di Francia,
che però nessuno sapeva correttamente menzionare; si diceva solo che avesse
fatto tappa a Burago, per via di una sorgente di acqua fresca e pura.
«Felice», gridò
il Marengo, vedendo il ragazzetto correre su e giù per le scale.
«Marengo, che c'è?».
«Abbiamo ancora
bisogno di te».
Felice stette
sulle spine: avrebbe fatto volentieri a meno di dover ancora dar retta ai
grandi del villaggio.
«Vi prego, non
portatemi di nuovo a cascina Branca», recitò sconsolato il ragazzo.
«No, niente di
tutto ciò», disse il Boffalora, «piuttosto dovresti dirci bene quel che hai
sentito quel giorno in cui capitasti per caso alla casa di don Filippo».
Il giovane
dondolò la testa.
«Ve l'ho già
detto, non saprei cos'altro aggiungere».
«Prova a
ripensarci insieme a noi».
Felice sbuffò.
«Insomma, emerse
cascina Branca e che… quei due erano dei poco di buono. Erano vestiti male, con
delle brutte facce, sembrava gente cattiva… ve l'ho già detto!».
Il Marengo prese
a girare su stesso pensieroso, in cerca di una domanda che avrebbe potuto fare davvero
luce sulla tormentata questione.
«Non ti viene in
mente altro?», incalzò il sindaco.
«Nulla», disse
il ragazzo.
«Pensaci bene».
«Nulla,
accidenti. Se è nulla, è nulla».
Felice si accorse
di essere stato un po’ sfrontato e si ricompose immediatamente.
«Ma perché,
cos'altro avete scoperto?».
«Le indagini
stanno proseguendo bene, ma ci mancano dei passaggi chiave, diciamo delle
conferme», raccontò il Marengo.
«Non saprei come
aiutarvi».
«Per esempio,
non ti è capitato di sentire la parola "ricatto" o…».
Si guardarono
l'un l'altro i due uomini della comunità, e al cenno di sì del Marengo, il
sindaco proseguì con il suo interrogatorio.
«O Agnese».
Il ragazzo
sbalordì.
«Agnese?
L'Agnese Bucchi? La figlia del panettiere?».
«Zitto», lo
ammonì il Marengo, «non serve gridare».
«Ma cosa c'entra
l'Agnese?».
«Niente, niente,
vogliamo solo sapere se hai sentito il suo nome».
«Macché,
dell'Agnese non ho proprio sentito parlare».
I due uomini non
seppero più che pesci pigliare.
«L'unica cosa
che posso aggiungere è che il prete a un certo punto s'inalberò».
«In che senso?».
«Si spazientì.
Alzò un braccio al cielo e gridò qualcosa».
«Cosa?».
«Ma non lo so».
«Sforzati, santo
Dio», blaterò il Boffalora.
«Forse qualcosa
del tipo, "svuoterò il sacco"».
«Come?», domandò
il Marengo.
Felice cominciò
a tremare.
«Oddio, non lo
so, non ricordo, potrebbe avere detto così, ma anche no».
«Pensaci bene,
potrebbe essere molto importante», lo supplicò il Marengo.
«Disse forse
"dirò tutto", "parlerò", non lo so, ve lo giuro…».
«E solo adesso
ci confidi una cosa del genere?».
«Ma perché tutta
questa premura? Cosa c'è di tanto strano?».
«Ha ragione,
Marengo», disse il Boffalora, «lui non è al corrente degli ultimi sviluppi. Non
può dare senso a un particolare, se non è in grado di offrirgli un contesto».
Il Marengo comprese
che il sindaco aveva ragione. Diede una pacca sulla spalla al ragazzo in segno
di riconoscenza e lo lasciò libero di tornare ai suoi diletti.
«Va, torna pure
a giocare. Ci hai detto abbastanza».
«Posso andare?
Davvero?».
«Sì, certo, e… grazie
di cuore per il tuo aiuto».
Felice li guardò
stralunato e allibito da tanta devozione: il mondo dei grandi continuava a
sembrargli lontano, ostile e incomprensibile.
«Va beh, come
volete, arrivederci allora…».
E si catapultò di
nuovo in cima alle scale, a rincorrere qualche altro fantasma giovanile.
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