Finardi, Camerini e Alberto. Alberto Fortis. Fine anni Settanta, Milano. Milano da bere. Milano da piacere. Poi dalle parti del castello in casa di Alberto per un'intervista e poi ieri in metropolitana, lo rivedo. Inaspettatamente. Mi guarda ma non mi riconosce. Ha uno zainetto e si guarda in giro con fare circospetto. Siamo dalle parti di San Babila. Si guarda in giro con aria circospetta. Come chi ha l'impressione di essere pedinato. Non mi riconosce. Alberto Fortis. Gli anni Settanta. Il Leoncavallo di via Leoncavallo. E Finardi che canta Vysotsky? Ma è tutto un altro concetto. Alberto Fortis lo rivedo, la seconda volta. Si alza dalle parti di Loreto per guadagnare l'uscita verso chissà cosa. Mi incuriosisce sapere dove. Ma non mi resta che proseguire per la mia strada, accomodandomi al suo posto. Divengo Alberto Fortis, senza lo zainetto, ma la Repubblica nel taschino. Apro la Repubblica e leggo, ma non di Alberto Fortis. Bensì di Mou inginocchiato che incredulo segue le sciagurate performance di Ronaldo e Kakà. Abile il portiere avversario, alzando le braccia al cielo impaurisce i due attaccanti che sbagliano grossolanamente. Non hanno ancora imparato a tirare i rigori alla loro età. Se solo avessero ascoltato Milano e Vincenzo, allora...
venerdì 27 aprile 2012
mercoledì 25 aprile 2012
Un domani...
Oggi ho saputo che arriverai
Ne sarei felice se non fosse che
Un'altra volta verrò crocefisso dal Sistema
Mi conosco, vero?
Mi conosci, vero?
Sai già quello che penso
Ma è il solito buco nell'acqua
È tutto ok
Così si può dire
Mia moglie (mamma) respira piano
Ma il suo silenzio fa male
Te lo spiegherò un domani
Quando sarà tutto più semplice
All'inizio si fatica, si fatica
Io seguo la stessa rotta
Non ho molte alternative
E se finisco inghiottito dal nulla
È solo per pochi istanti
Ma ti voglio già bene
lunedì 23 aprile 2012
sabato 21 aprile 2012
Affari condominiali: quinto piano, appartamento A
Il problema è che era andata a letto con due uomini nello stesso periodo e adesso non sapeva bene chi fosse il padre del piccolo in arrivo. Sicché, senza tante storie, s'era decisa a confidare a se stessa che fosse quello a cui teneva di più, il suo ragazzo ufficiale, Egidio Colombo, conosciuto anni prima al Ragno Verde di Agrate, dopo una sfilata di carnevale. S'erano messi insieme giovanissimi, lei aveva quattordici anni, lui sedici, e dopo quattro anni di amore probabilmente qualcosa s'era incrinato, facendo sì che lei volesse vivere qualche nuova avventura. Aveva anche provato ad accennarlo a Egidio, fra le righe: «Sai, però, a volte, ho l'impressione che mi manchino un po’ di esperienze… tu non vorresti avere avuto più ragazze di quelle con cui sei stato?». Egidio l'aveva guardata con un'aria preoccupata. Di fatto, dietro a quell'uscita così garbata, si celava la peggiore delle insinuazioni: la sua ragazza era stanca di lui e aveva voglia di concedersi a qualche altra anima. E, infatti, le cose non erano tardate a palesarsi come aveva immaginato: la tresca era sorta fra la giovane e un tipo di Agrate che abitava in via don Minzoni, Arcangelo Ballerini, un ragazzo che lavorava come metalmeccanico, in una rimessa nei pressi della STAR; era un tipo del quale s'era invaghita nient'altro che dal punto di vista fisico, le piaceva la sua aria da macho e le sue braccia da giocatore di rugby; di testa non lo apprezzava minimamente, essendo uno scavezzacollo, senz'arte né parte, e pressoché incapace di ragionare con puntiglio. Con un ceffo del genere non sarebbe andata molto lontano, lo sapeva; peraltro era povero in canna; meglio confidare su un'altra piazza, di buona famiglia e con le spalle ben coperte… Lei, in fondo, non era una povera ragazza, tuttavia proveniva da una famiglia piuttosto incasinata. Il padre aveva abbandonato la madre quando lei aveva appena tre anni, e praticamente – da quell'età - non aveva più saputo nulla del papà. Era un dolore che di tanto in tanto tornava a bussare al suo cuore, specialmente quando si confrontava con le sue amiche che avevano tutte il più importante punto di riferimento maschile su cui contare. Era su per giù lo stesso destino patito da altri due giovani del palazzone omatese: Maurizio, che viveva con la mamma, la zia, e la nonna e il balordo dei balordi, Antonello Grasso. Con Maurizio non aveva mai avuto a che fare: gli stava piuttosto sulle scatole. Lo trovava borioso e pieno di sé, noioso e pedante. Al contrario provava una sincera e spontanea simpatia per Antonello, che da sempre la guardava con aria docile, quasi dando l'impressione di volerla proteggere. S'era fatto meno cortese solo dopo averla vista col pancione e aver provato una sorta di pugno al cuore, sollecitato dall'idea che dovesse essere lui il padre della creatura che stava per venire al mondo. Ma il padre non era lui, bensì qualcun altro che non si sapeva bene chi fosse: il compagno tradizionale o l'amico della scappatella? Le voci si sprecavano. A partire dagli abitanti del supercondominio che non avevano mai accettato di buon grado la famiglia dell'appartamento A, del quinto piano, come se avesse qualcosa di strano da tenere nascosto e da non poter condividere. La moglie del Vismara ne parlava con accenti di cinismo puro con la moglie di Glauco Zanetti; Ada Villa ne chiacchierava con una sottile perversione con la madre di Domenico Ciccarelli; gli unici a farsi totalmente i fatti propri e a non aver nulla da ridire sulla pancia levitante della ragazza del quinto piano erano Fabiano Sirtori, il batterista, Cinzia Gariboldi, e la francesina Delphine, proveniente da un paese dove i concepimenti improvvisati erano all'ordine del giorno. L'atto fedifrago l'aveva consumato in campagna. Arcangelo girava su un macchinone di grossa cilindrata, un Mercedes sullo stile di quelli che si vedono negli accampamenti zingari, con un didietro davvero immenso, l'optimum per ricavarci un'alcova improvvisata. Dopo l'ennesimo sguardo abbacinante di fronte alle unghie taglienti e terrose del responsabile dell'autorimessa, frequentata abitualmente dalla ragazza con la madre, s'erano decisi a uscire una sera insieme. «Passo io», le aveva detto lui, con aria da duro. «Ci vediamo davanti all'autorimessa alle otto e mezza». Era la sera in cui Egidio era partito per una tre giorni con l'oratorio, tre giorni di ritiro in una specie di baita in Valsassina, addobbata con corna di cervo e quadri riportanti le ascensioni più famose avvenute nel corso degli anni. Aveva la libertà assoluta di poter finalmente provare l'ebbrezza di percepire nuovi spasmi sensoriali, dovuti al contatto con una carne diversa dal solito, con un odore della pelle di altra nazionalità: con l'odore della pelle di Arcangelo. In fondo si sentiva perfino giustificata a farlo, convinta in qualche modo di averlo anticipato al suo primo amore e quindi di non doversi sentire in colpa se fosse accaduto qualcosa che non sarebbe dovuto succedere. Al momento dell'appuntamento, Ilaria non aveva dato grandi spiegazioni alla madre; le aveva semplicemente detto che sarebbe uscita con un'amica generica. Di solito bighellonava per strada con una ex compagna delle medie, Clelia Barelli; qualche volta aveva provato anche a fermarsi con Marina Tresoldi, benché quest'ultima preferisse di gran lunga la compagnia di Cristina del primo piano. La madre non s'era interessata più di tanto alle sorti della figlia, che ormai faceva quasi sempre di testa sua. Lui s'era presentato lavato e profumato come un damerino, lei elegante e fascinosa come rare volte le capitava di prepararsi per il povero e ignaro Egidio; indossava una gonnellina leggera, che metteva tenacemente in mostra due belle gambe affusolate, pronte a essere prese di mira da arti libidinosi. Era decisamente invitante, e lo sapeva: aveva fatto apposta a presentarsi in quella maniera. Era, d'altronde, sottinteso che quella sera sarebbero andati oltre: non erano di certo usciti per parlare de Il nome della rosa finalista dell'Edgar Award di due anni prima. Erano usciti proprio per quel motivo, solo e unico, e lo sapevano bene tutti e due… La prima parte della serata l'avevano trascorsa al Chiosco, un locale per andare a Cambiago, circondato da fattorie e campi di soia. C'era anche una vecchia cappelletta nei dintorni, costruita qualche secolo prima per ringraziare la madonna di una guarigione improvvisa. Lei aveva fin da subito fatto intuire al compagno la sua volontà di lasciarsi andare e che più tardi, a questo scopo, le sarebbe piaciuto fare un giro in campagna. Lui sembrava un orso delle caverne nei modi e nei ragionamenti, ma era stato ben lieto di comprendere che presto avrebbe potuto dare sfogo al suo potere sessuale. Ilaria Pruneri non aveva compiuto tanti giri di parole: «Io l'ho fatto solo con un ragazzo». Lui s'era espresso con un ghigno di superiorità; intendeva farle arrivare il messaggio che lui era invece un amante consumato. «Tu con quante sei stato?». «Tantissime». Avrebbe voluto congedarsi con una bestemmia – entusiasta di avere a che fare con una ragazza come raramente gliene capitavano fra le mani - ma qualcosa l'aveva trattenuto. Non sarebbero comunque cambiate le sorti della serata. Ilaria era di tutto, fuorché una timorata di Dio. «Beh, allora ci sai fare... di sicuro ci sai fare...». Lui aveva preferito mostrare i suoi denti robusti anziché ribattere all'interlocutrice. Gli venivano sempre molto meglio i gesti e le smorfie di qualunque azione verbale. Un po' era anche dovuto al suo scarsissimo livello di scolarizzazione: a quattordici anni non ne aveva più voluto di sapere di penne e quaderni ed era finito quasi subito alla rimessa del signor Giuliano Pracchi, dove, tutto sommato, aveva sempre assolto il suo dovere; poteva semmai intendersela con Antonello Grasso, col quale, in un paio di occasioni s'era soffermato per mettere a punto una partitella di hashish. Avevano preso un gelato a testa e lui, dopo il gelato, una birra. Non poteva immaginare di uscire una sera, senza consumare qualcosa di alcolico. Era un'abitudine che si portava appresso dalla fine delle scuole medie. Poi s'era acceso una sigaretta e una l'aveva offerta a Ilaria che, però, aveva rifiutato: «Io fumo solo quando esco con le amiche». Arcangelo non aveva fatto una piega, benché non avesse minimamente compreso ciò che intendesse dirgli Ilaria: cosa significava che volesse fumare solo in compagnia femminile? C'era un secondo fine? «Cazzi suoi», aveva riflettuto Arcangelo, senza bene mettere a fuoco il problema. Avevano nel frattempo raggiunto il bancone, dove altri giovani giacevano assiepati, coinvolti in discorsi più o meno frugali. Solo un paio di ragazzi blateravano di temi inusuali, che ai due provenienti da Agrate parevano quantomeno inappropriati alla serata. Erano sull'ipotesi di avvelenamento ai danni di Sindona. Una specie di sogno premonitore. Avevano sentito la parola cianuro e Ilaria aveva fatto una faccia da cagna bastonata. La parola le aveva messo i brividi. Il nome non le era sconosciuto. Ai tg degli ultimi tempi se n'era fatto un gran parlare. Nel 1980, il noto criminologo italiano, era stato condannato negli USA per sessantacinque accuse; nel 1984 era stato condannato a venticinque anni di prigione. E pochi mesi prima del patatrac di Chernobyl sarebbe stato condannato all'ergastolo, con l'accusa di essere il mandante dell'omicidio di Ambrosoli. Sindona, Sindona, Sindona, sembrava stessero parlando del Papa… Ma non era lo stesso per Arcangelo, che gli suonava più il nome di un giocatore di calcio che non un membro della loggia P2. I due giovani clienti del Chiosco dicevano che avrebbero potuto avvelenarlo con il cianuro, magari somministrato all'interno di una tazza di caffè o in un cono gelato. Alla parola gelato, Ilaria aveva avuto un'altro sussulto, tenuto conto del fatto che il suo si stava ancora squagliando nei meandri del suo intestino. Abbandonato il Chiosco avevano bighellonato senza meta per lo stradone che conduce al melzese, prima di rimettersi in auto per raggiungere la campagna che sorge in fondo alla via Mazzini di Agrate, leggendario luogo per gli appartamenti intimi. «So io dove andare», aveva detto l'energumeno. S'erano iniziati a sbaciucchiare senza ritegno, quasi senza nemmeno aver avuto qualcosa da aggiungere al paesaggio spettrale che li avvolgeva. Arcangelo non aveva perso tempo e aveva infilato una sua manona sotto i fiori della gonna di Ilaria predisponendola a un ansimo di quelli mai sentiti. Ormai la scintilla era scoccata, ma non s'era dato peso di affidarsi alle idonee precauzioni che ogni individuo assennato dovrebbe valutare per non combinare casini. L'idea di una gravidanza era lontana anni luce dai due amanti, compresa, quindi, Ilaria che era solita fare l'amore con Egidio contando ciecamente sulla sua meticolosa capacità di interrompere il coito al momento opportuno. Non pensava però che non proprio tutti potessero essere morigerati come il suo lui e che qualcuno, pertanto, in preda all'estasi, sarebbe potuto andare oltre, sancendo l'irreparabile. Uno di questi era appunto Arcangelo, il forzuto dell'autofficina di Agrate che sorge vicino alla STAR, con un animalismo innato, riconducibile all'ancestralità di un essere primitivo. Era stato bellissimo per entrambi, soprattutto per lei, che aveva danzato sul ventre dell'estemporaneo partner, conscia di non aver mai provato simili brividi con Egidio; ma nella sua pancia già si stava mettendo in moto un programma embriologico del tutto insperato. Le avvisaglie della gravidanza le aveva avute due settimane dopo l'amplesso. S'era sentita male mentre stava entrando in doccia. Un capogiro di quelli che non aveva mai provato l'avevano scaraventata a terra, sventrando un'anta del box che proteggeva i rubinetti del servizio. La madre, nella stanza attigua, aveva sentito un tonfo strano ed era immediatamente accorsa in bagno per capire cosa stesse succedendo. La figlia era ancora a terra, con una ferita dalla quale il sangue zampillava come una fontana. Non era stato un bello spettacolo ma era evidente che non ci fosse nulla di grave. Piuttosto c'era da interrogarsi sul perché di quella caduta. Sennonché la visita del medico aveva sgominato ogni dubbio: Ilaria stava benissimo, era solo... un po' incinta. «Incinta?». La madre l'aveva domandato come se avesse saputo che da qualche ora degli omini verdi s'erano messi in cammino per raggiungere la sua casa e mangiargliela pezzo per pezzo. Sua figlia incinta? Ma perché, sua figlia aveva già perso la verginità? All'improvviso s'era resa conto di avere smarrito dei pezzi; di non aver parlato con la figlia come avrebbe dovuto; all'improvviso s'era resa conto di non avere più a che fare con una bimba, la sua bimba, ma con una donna a tutti gli effetti che l'avrebbe, anzitempo, fatta diventare nonna. Era volata un attimo in cucina per ingurgitare al volo una ventina di gocce di lexotan e dopo aver congedato il medico di famiglia, s'era fatta sotto il capezzale della figlia per rivolgerle la fatidica domanda, che andava elaborando dal momento in cui aveva appreso la dirompente notizia: «Ma Egidio lo sa?». Egidio non sapeva ancora nulla, ma la cosa peggiore era che il padre sarebbe potuto non essere Egidio ma Arcangelo. Solo Ilaria ne era drammaticamente al corrente, ponderando che, per la prima volta, la notte trascorsa con il metalmeccanico, non aveva minimamente badato ai criteri di inconsapevolezza del partner; in sostanza non s'era minimamente preoccupata che lui potesse non calibrare al meglio il suo piacere, considerato, peraltro, la sua assoluta fase di fertilità. Eppure le due settimane che l'avevano separata dall'accaduto non avevano causato nessuna particolare ripercussione sul suo fisico, né sul suo umore. È vero però che non aveva sentito il desiderio di ritagliarsi un po' di intimità con Egidio, come a suffragare un bisogno subliminalmente venuto meno. Egidio s'era un po' insospettito per la reticenza della partner. «Non hai più voglia?», le aveva domandato una sera. Ma lei era stata vaga, dicendogli che si sarebbero rifatti presto. «In queste sere mi sento piuttosto stanca…». La cosa era finita lì: ma ora che gli avrebbe raccontato, visto che l'ultima volta l'avevano fatto un paio di giorni prima l'incontro avuto con Arcangelo? Ilaria era a letto, con gli occhi semichiusi. Stava per diventare mamma, a diciotto anni, e non sapeva chi l'avesse messa incinta. Lo intuiva, ma non ne era certa. Un vero dilemma. Una vera tragedia, probabilmente. Non aveva un lavoro e con un figlio a carico avrebbe dovuto cambiare completamente il suo stile di vita. Non sapeva se ridere o piangere. Ma dopo pochi minuti le era venuto più facile la seconda azione. Piangeva sommensamente, con la madre che andava avanti e indietro per sincerarsi delle sue condizioni. Non aveva ancora ricevuto una risposta e non sapeva del casino che stava dietro a questa novità assoluta: sua figlia, con tutta la vita ancora davanti a sé, avrebbe dovuto rinunciare alla sua vita per alimentare quella della creatura che portava in grembo. «Ma Egidio lo sa?», era tornata alla carica la madre, non appena le lacrime della figlia s'erano arginate. «Ma no, mamma, non sa nulla. Non lo sapevo nemmeno io». «Oddio... e adesso?». Ilaria guardava la madre come se avesse davanti il nulla. Guardava lei ma vedeva oltre, all'interno di un tunnel nero e profondo. La sua testa era un baccano incredibile di sensazioni e di sentimenti. Sentimenti... proprio ora si rendeva conto che non sapeva nemmeno se e quanto amasse Egidio, perché, rifletteva: se l'avesse amato veramente ci sarebbe stata la necessità di andare con Arcangelo? Poi aveva guardato la pancia, stuzzicandola con un dito. Non le sembrava vero che al suo interno si stesse scatenando il finimondo. E invece era tutto dannatamente vero, il dottore non poteva sbagliarsi. C'era l'aborto. Ma era un concetto che le sfuggiva. Non valeva nemmeno la pena analizzarlo. L'aborto le sembrava un'idea malsana, lontana, impercettibile. Non sapeva perché avesse elaborato questa scelta, ma era così. Non si sarebbe disfatta del bimbo che portava in grembo, senza sapere precisamente il perché, indipendentemente da chi fosse il padre. Lo avrebbe tenuto con tutte le sue forze, come era vero che il seme di un ragazzo si fosse insinuato a sua insaputa nel suo bassoventre, conquistando la vita. Ma il problema, in ogni caso, qual era? Che fosse rimasta incinta, o che non sapesse con certezza chi fosse il padre? Forse il vero problema era il secondo... E con ciò si spiegava anche il motivo per cui non avrebbe mai abortito. Il problema non era essere rimasta incinta, ma non sapere chi l'aveva ridotta così. Aveva fatto l'amore con tutti e due nel giro di poche ore, poteva essere stato sia l'uno che l'altro, ma chissà per quale motivo, non riusciva a pensare ad altri che ad Arcangelo. Egidio era sempre stato troppo attento per rischiare di mettere al mondo un figlio a soli vent'anni. In compenso solo ora metteva a fuoco che con Arcangelo era stata tutta un'altra storia e che alla fine del tu per tu all'addiaccio, ricordava che qualcosa di liquido le fosse scivolato lungo le cosce, il chiaro segno che qualcosa non era andato secondo i piani prestabiliti. Dunque? Dunque c'era da risolvere al più presto la situazione, senza fare sapere in giro particolari indiscrezioni. Era necessario far sì che tutti i conti tornassero. Lei, Arcangelo, non l'aveva mai visto, e non sapeva nemmeno chi fosse. Era il tipo del metalmeccanico della STAR, ma ci aveva scambiato solo due chiacchiere le volte che lo raggiungeva con la madre per una riparazione dell'automobile di famiglia. Non faceva una piega. Tutto si sarebbe accomodato. Per un attimo Ilaria s'era sentita felice. Per un attimo... perché subito dopo s'era fatto impellente il pensiero che, se le cose fossero venute a galla, qualcuno avrebbe potuto darle della puttana. Non avrebbe mai voluto farsi dare della puttana. Non voleva nemmeno immaginarlo. Anche puttana era una parola che le sfuggiva, come aborto, ma come l'avrebbero altrimenti titolata i compaesani sapendo che stava con un ragazzo, ma che alla fine era andata a letto con un altro rimanendone incinta? Non c'era tempo da perdere, e non c'erano alternative. Aveva perciò ben chiaro quel che avrebbe rivelato al mondo: il padre del suo bimbo era Egidio, anche se nel suo intimo era quasi del tutto convinta del contrario. Tornato Egidio dal ritiro, gli era andato incontro con un passo spregiudicato. Egidio l'aveva squadrata malamente: non era da lei tanto entusiasmo. S'erano acquietati sotto la fila di platani che risaltano rigogliosi alle spalle del Barba, prima che Ilaria sparasse la bomba a ciel sereno. «Sei contento di diventare papà?». A Egidio era venuto un colpo. «Come? Stai scherzando?». «Per niente. Sono incinta, non sei felice?». Su certe cose Egidio sapeva che Ilaria non avrebbe scherzato. «Non è possibile, non è possibile... io non corro certi rischi. Cosa stai dicendo?». Ilaria s'era abbandonata a un sorriso nervoso. «Beh, te lo dirà il medico che mi ha visitata mentre tu eri in montagna…». Egidio non aveva potuto credere alle sue orecchie. Aveva preso a vacillare. Il cuore s'era messo a battere senza freni e la pelle a espellere litri di sudore. Era in pieno attacco di panico, aspetto della sua fisiologia che non aveva ancora realmente valutato. Desiderava Ilaria, forse più di quanto lei non lo desiderasse, ma l'idea di un figlio era per lui lontana anni luce. Era per questo motivo che stava sempre molto attento quando faceva l'amore. Non voleva trovarsi con un fardello troppo grande da gestire, in un'età in cui si ha solo voglia di spensieratezza ed esperienze. Ma in quest'occasione, evidentemente, qualcosa non era andato per il verso giusto... sempre che la sua fidanzata stesse dicendo la verità. Perché lui, pur non avendo risorse per replicare e contraddire una tesi che trovava oggettivamente assurda, non le credeva: non poteva crederle. Il mondo gli era così precipitato come un macigno sulla testa e s'era ritrovato in pochi istanti invecchiato di vent'anni. Gli sembrava di morire. Doveva ancora iniziare l'università, desiderava laurearsi all'estero, girare l'Europa in treno. Era come se un demone si fosse impossessato del suo cuore e lo stesse sballottando a suo piacimento. Avrebbe preferito morire, sprofondare, sparire, neutralizzarsi. I giorni seguenti erano stati difficilissimi. Egidio non riusciva a riprendersi. Agonizzava a letto nei momenti calmi; nei momenti di rabbia veniva fagocitato dall'ansia e da idee terribili, come quella di sfasciare tutto ciò che lo circondava, comprese le anime che gli volevano bene. I suoi amici avevano fatto di tutto per rincuorarlo, dicendogli che suo figlio sarebbe stato il figlio di tutti e che sarebbe diventato la mascotte della compagnia; i genitori, nonostante l'inaspettata e per certi versi sconvolgente notizia, avevano fatto cerchio intorno a lui con i tanti altri parenti, cercando di fargli capire che, in fondo, non sarebbe cambiato nulla nella sua vita: avrebbe potuto tranquillamente proseguire nei suoi studi e divertirsi, più o meno come avrebbe fatto se non fosse diventato padre. Poi, però, non c'era stata altra carta da giocare se non quella del sostegno psicologico. Egidio era stato affidato alle cure del dottor Alberto Malaguti, di Peschiera Borromeo, un tipo che sembrava fare miracoli con i ragazzi in crisi. Ma intanto c'era da risolvere il futuro dei due giovani, predisponendo un piano per accogliere il nascituro. S'erano dunque incontrati i genitori di Ilaria e quelli di Egidio per stabilire con calma il da farsi, contando sulla possibilità di poter devolvere per la causa una cifra considerevole, in grado, in parte, di assolvere il problema del mutuo: i genitori di Egidio avevano una piccola azienda di prodotti da giardino, che negli anni Settanta aveva rinfoltito non poco le casse familiari. L'idea era quella di sistemarli quantoprima in una casetta, ma intanto avrebbero continuato a dimorare nelle rispettive famiglie; non c'era fretta, in fondo, e il bimbo, eventualmente, per i primi tempi, avrebbe potuto anche vivere benissimo con la mamma e la nonna nel palazzone di Omate. Erano giunti a queste conclusioni anche perché, col trascorrere dei mesi, Egidio s'era fatto sempre meno ansioso e angosciato e sempre più voglioso di convincere se stesso e il mondo che non era stato lui a mettere incinta Ilaria. Con ciò sottintendeva il fatto che con Ilaria non sarebbe mai andato a vivere e che qualunque sforzo fatto in questa direzione sarebbe stato vano. Era stato da quando Ilaria gli aveva dato la notizia dell'arrivo del bimbo che in lui s'era accesa una scintilla: la scintilla dell'odio. Da quel momento l'amore provato per Ilaria s'era cominciato a trasformare in un risentimento sempre più cocente. Sentiva di essere stato ingannato, e ogni volta che giaceva con lei e il suo pancione in levitazione, gli sembrava di stare a fianco di un'assassina. Alla nascita del piccolo Edoardo avevano comunque partecipato tutti con vivo clamore. Il parto era avvenuto all'ospedale di Vimercate, due giorni prima del limite. I tre nonni erano stati vicinissimi alla giovane partoriente e al teorico papà. L'unico che aveva vissuto l'avvenimento con freddezza era stato proprio Egidio, che aveva voluto aspettare il rientro dall'ospedale di Ilaria per vedere il piccolo per la prima volta. La madre di Ilaria lo guardava con commiserazione, ritenendolo un genero indegno; ma lui neanche ci faceva caso. Ed era sempre più convinto di non essere lui il padre. Tuttavia la prima volta che l'aveva preso in braccio non aveva potuto fare a meno che intenerirsi di fronte a quelle manine minuscole e quel faccino innocente; mandando all'aria tutte le sue persuasioni. E se fosse stato davvero figlio suo? S'era ritrovato di nuovo terribilmente a disagio… Sicché i problemi al quinto piano dell'appartamento A del palazzone omatese, erano emersi in tutto il loro squallore proprio quando Egidio, Ilaria e il piccolo Edoardo erano ormai in procinto di andare ad abitare insieme in un bilocale di Cavenago, nei pressi del campo sportivo. Era la sera dell'esplosione del reattore di Chernobyl, quando Ilaria aveva confidato alla madre che Egidio era andato su tutte le furie scoprendo che il piccolo Edoardo, che aveva nel frattempo compiuto due anni, era portatore sano di una malattia ereditaria: l'emocromatosi. C'era una particolare forma di questa malattia che insieme ai principali sintomi quali l'accumulo di notevoli quantità di ferro nel fegato, aritmie, ittero – comprendeva anche i cosiddetti angiomi stellati, delle manifestazioni epidermiche peculiari, che portano alla genesi di capricci epidermici a cinque stelle in aree precise del corpo, che, in genere, rimangono per tutta la vita, contrassegnando indelebilmente una persona, come una cicatrice. Edoardo le aveva sviluppate da un paio di mesi sopra il sopracciglio destro, l'esatto punto in cui erano sorte sull'unica altra persona della zona colpita dalla rara malattia: Arcangelo Ballerini. Il male era dovuto a una mutazione genetica del gene HFE, localizzato sul cromosoma 6. Dunque sia il piccolo Edoardo che Arcangelo erano portatori dello stesso rarissimo morbo, e la sua inequivocabile espressione, era avvenuta guarda caso nello stesso identico punto del corpo. Adesso il mondo era crollato addosso a Ilaria, nel momento in cui Egidio era scoppiato a piangere, per poi mimare un'aggressione in piena regola, con tentativo di strangolamento. Ma come biasimarlo? Era stata lei due anni prima a comunicargli che sarebbe diventato padre. Era stata lei a convincerlo che, contro ogni sua supposizione, fosse stato proprio il suo seme a fare centro nel suo utero imberbe. Era stata lei a obbligarlo a fare il padre di un bimbo che non era il suo per due anni, costringendolo a una vita di patimenti, alla rinuncia di numerosi sogni, compreso quello segreto di prendersi una moto e fare il giro dell'Islanda, programmato per l'estate del 1985. Era stata lei a rubargli due anni di vita e ad avergli raccontato una montagna di balle. Ilaria, d'altra parte, arrivati a questo punto, non aveva potuto fare molto per tenere taciuta la cosa e continuare nel suo diabolico gioco. La paternità di Arcangelo sembrava essere stata scalfita indelebilmente sul volto di Edoardo. Scoprendo la verità la madre era rimasta senza parole, molto peggio di quando aveva saputo di diventare nonna. Da una parte avrebbe voluto stritolare la figlia per la mole di bugie raccontate; dall'altra, però, percepiva il terribile disagio che la sua bambina potesse provare e non se l'era sentita di infierire ulteriormente. C'era in fin dei conti la remota possibilità che non avesse saputo fino a quel momento chi potesse essere veramente il padre di Edoardo. Chissà quante donne vanno a letto con due uomini nel breve volgere di qualche giorno, al punto di non sapere più, alla fine, chi possa essere il vero padre di un nascituro. Qui, in pratica, la verità era emersa perché s'era verificato un fatto del tutto anomalo, con la consapevolezza di una malattia che, in pratica, era un marchio di distinzione; altrimenti la cosa sarebbe proseguita senza tentennamenti ed Egidio avrebbe continuato a fare il padre di un figlio non suo, al fianco di una donna che, verosimilmente, non amava più. Ma c'era, comunque, un'ultima carta da giocare se si voleva chiudere definitivamente il discorso ed era quella delle analisi di laboratorio. Certo, nel 1986 non si poteva ancora sottoporsi alle analisi del DNA, sarebbe accaduto qualche anno più in là, tuttavia c'erano degli stratagemmi altrettanto efficaci per venire a capo di una paternità dubbia: si trattava di affidarsi al cosiddetto sistema HLA. Era un metodo in grado di dare informazioni geniche per via della sintesi di una serie di glicoproteine di membrana cellulare; il sistema HLA, legato agli antigeni leucocitari capace, dunque, di rivelare se uno fosse o meno il vero padre di un bambino. Ilaria aveva sperato nel miracolo. «Mi rimane una sola cosa da fare». «Cosa vuoi fare dopo tutto il casino che hai combinato?». «Ci sottoponiamo alle analisi del sangue...». «Quali esami, cosa stai dicendo?». «Mi sono informata. C'è la possibilità di risalire alle caratteristiche... facciamo gli esami del sangue io, Edo e... gli altri due. E così veniamo a sapere chi è davvero il papà di Edoardo». La madre stava per mettersi a piangere, col cuore in gola, col cuore straziato. Non aveva avuto nulla da ribattere. Per lei il destino era ormai segnato. Ed era un destino triste. Sua figlia, se tutto fosse andato bene, sarebbe rimasta senza marito, e il suo nipotino senza un padre. Delle prospettive più che fascinose... C'era solo una cosa da fare veramente. Sparire. Lo stava pensando con le poche forze che le erano rimaste, mentre osservava passivamente le immagini di una specie di centrale nucleare, grigia e desolante, sfilare sotto i suoi occhi: erano le immagini trasmesse dal telegiornale di Rai Uno. Sembrava che fosse accaduto qualcosa di mostruosamente pauroso, in qualche misterioso paese del mondo. Un paese lontano dall'Italia; era troppo grigio per essere l'Italia. Ma anche sforzandosi di immaginare il peggiore dei mali, nulla poteva compensare la devastazione che si stava compiendo nel suo animo. Dovevano sparire. Continuava a ripeterselo ossessivamente: per il bene di tutti, se fosse saltato fuori che il vero padre di Edo era Arcangelo – ed era sicuro che fosse così - sarebbe stato meglio cambiare paese, e andarsene il più lontano possibile da dove, le malelingue, avrebbero potuto fare più male di un ferro rovente infilato nella gola. Era minimo il sollievo provato da questo pensiero, ma almeno le era servito a guardare con occhi ancora più indulgenti la figlia, raggomitolata su se stessa, come un cagnolino bastonato. Una figlia che per un istante non vedeva più come una disgraziata, ma solo la vittima di un disegno del destino ineffabile e maligno; imputabile forse anche al suo matrimonio andato in frantumi, quando Ilaria era ancora piccolina: se Ilaria avesse avuto un padre come tutte le altre sue amiche, sarebbe successo quel che era successo?
venerdì 20 aprile 2012
Female Leonard Cohen
La storia di Sibylle Baier è molto curiosa. Negli anni Settanta ha scritto delle canzoni stupende ma non c'era nessuno disposto a darle una chance; le aveva registrate in camera sua, fra il 1970 e il 1973. Così ci ha pensato il figlio, dopo trent'anni, a riesumarle stampando alcuni cd per amici e parenti. Ma una di queste registrazioni è finita nelle mani del prode Dinosaur Jr's, J Mascis, che l'ha passata alla casa discografica Orange Twin, di Athens, Georgia. Da qui l'idea di riportare in auge il meraviglioso mondo di Sibylle, da alcuni critici assimilabile a quello di Leonard Cohen, con una raccolta intitolata Colour Green, uscita nel 2006. Il progetto è andato alla grande, benché Sibylle si sia dimostrata completamente indifferente al successo; probabilmente è perfino ignara del fatto che ci sia un intero sito a lei dedicato (creato dal figlio). È questa la sua forza. È questa la sua struggente poesia.
giovedì 19 aprile 2012
Il primo nudo
Sicché capita a volte di avere a che fare con individui che sono in grado di eccellere in due ambiti professionali diversissimi fra loro. E a questo punto non resta che gridare al miracolo. Di primo acchito mi viene in mente Einstein, genio della fisica, ma anche abile al violino; come Nabokov, genio della letteratura, nonché provetto entomologo. E chissà quanti altri ce ne saranno... Hedy Lamarr, però, non la conoscevo. L'ho incontrata per via di un libro pubblicato di recente. Nata nel 1913 a Vienna e scomparsa ad Altamonte Springs nel 2000, era una brava attrice e al contempo una valente scienziata. Era figlia di genitori appartenenti all'alta borghesia ebraica: papà proveniva da Leopoli, la mamma da Budapest. È lei la prima donna a comparire completamente nuda in un film: accadde nel lungometraggio “Extase” del 1933, girato dal regista cecoslovacco Gustav Machaty. Ma non fu solo attrice. A lei è attribuito anche un nuovo sistema di modulazione per la codifica di informazioni da trasmettere su frequenze radio. Da questo brevetto sono stati ottenuti marchingegni poi sfruttati dai servizi segreti di mezzo mondo. Come se non bastasse era bellissima: si sposò sei volte ed ebbe tre figli.
Bandito
Divenuto famosissimo con una canzone – Chervona Ruta – viene ritrovato morto nel 1979 in un bosco nei pressi di Leopoli. Sulla sua scomparsa, però, non è mai stata fatta chiarezza, al punto che, nel 2009, il presidente ucraino Viktor Juscenko decide di rimettere mano al caso, per risalire alla verità. Il punto è che Volodymyr Ivasyuk era diventato troppo scomodo per le autorità russe che vedevano in lui il principale promotore del risveglio del sentimento nazionalista facente capo a Kiev. Le sue canzoni vennero addirittura bandite dalla radio e i suoi dischi sparirono dai negozi... finché non sparì anche lui...
mercoledì 18 aprile 2012
My pussy belongs to daddy
dischi copertine improbabili improvvisate accusate spigolose ripide rebetike pusillanimi endecasillabi coinvolte in incidenti automobilistici facili da prendere di mira con un cacciatorpediniere mi fa male la schiena se le porto appresso i dischi copertine
Voronoffizzati
Ci sono personaggi che, più di altri, hanno il potere di stuzzicare la nostra fantasia (o, forse, solo la mia...). Sono personaggi leggendari, né più, né meno. Da oggi li immortalerò ne Il Raggio Verde, così, per tenerli sempre a portata di mano, ricordandoli con una riga, un fraseggio, un aneddoto più potente degli altri... Inizio con Serge Vornoff: era un chirurgo e sessuologo russo nato a Voronezh nel 1866 e morto a Losanna nel 1951. Divenne celebre per le sue promesse a dir poco avveniristiche: riteneva, infatti, di poter curare l'arteriosclerosi e la vecchiaia impiantando testicoli e ghiandole di scimmia in anzianotti danarosi. Quel che è certo è che riuscì a innestare con successo una tiroide di scimmia in un ragazzo affetto da cretinismo...
domenica 15 aprile 2012
Bachi da seta
Esprimere
Opinioni
Non sempre conviene
Perché c'è l 'acqua dello scarico
Che non funziona
Io stavo con una moldava
Che sapeva bene ste cose
Oggi non si comprende
L'aritmetica
Ma si comprende quel sacchetto
Pieno di giocattoli
Abbandonato su un baco da seta
Prima del terremoto
E della scomparsa di Brassens
sabato 14 aprile 2012
Affari condominiali: quarto piano, appartamento D
Avevano previsto lo scambio di coppia per il 25 aprile e il 26, con un'aria vagamente sinistra, s'erano ritrovati come tante altre volte allo stesso tavolo per mangiare insieme e raccontarsi le ultime novità; tranne, naturalmente, ciò che era accaduto durante la notte precedente. L'idea era nell'aria da tempo, ma non era stato facile e scontato giungere all'accordo finale. Un po' per scherzo, un po' per provare brividi diversi, i quattro s'erano più volte detti che, vista la loro eccezionale confidenza, sarebbero potuti essere perfettamente intercambiabili: l'uno sarebbe potuto diventare il marito dell'altra e viceversa. Anche a letto, quindi, lo scambio avrebbe idealmente potuto raggiungere lo stesso felice epilogo; considerato che, forse, era soprattutto questa l'emozione realmente inseguita, per vincere la monotonia di rapporti ormai fin troppo rodati e in antitesi al subliminale desiderio di tornare adolescenti anche per una sola notte, giocando con l'altro sesso senza patemi e ansie. Non faceva una piega, ma c'era di mezzo una lista infinita di dubbi. Poi come sarebbe stato il rapporto fra loro? Come si sarebbero guardati negli occhi? Come avrebbero guardato i propri figli? In ogni caso erano giunti davvero a programmare la fatidica serata, tenendo conto di due diktat inderogabili: nessuna delle due coppie avrebbe mai potuto rivelare all'altra ciò che sarebbe accaduto e la cosa sarebbe dovuta finire lì, come un accadimento raro e improvviso senza possibilità di replica, e da dimenticarsi nel minor tempo possibile. (Una parola!). Che fosse una mezza utopia, per non dire stupidata, era noto a tutti, ma l'eccitazione di mettersi in gioco aveva alla fine avuto il sopravvento, portandoli, appunto, a stabilire una data per dare il via alla famigerata avventura. Protagonisti dello scambio erano stati i due abitanti dell'appartamento D del quarto piano del condominio omatese, Claudio Valsecchi e Donatella La Rosa e i due amici di Cavenago, Enea Erba e Flaminia Colombo. Claudio lavorava come elettricista per una ditta di Vimercate: riparava impianti elettrici per i centri commerciali e supermercati della zona; era un tipo con la testa perennemente fra le nuvole, affascinato dal mondo dell'elettronica, all'epoca in pieno fermento; da tempo aveva saputo che Delphine, la francesina del condominio, lavorava per la SGS, la ditta di transistor, alla quale ambiva da anni, e aveva pensato, dunque, di farsi avanti per chiederle di introdurlo nei laboratori del centro; ma non trovava mai l'occasione giusta per buttarsi; era anche per via di una certa timidezza che lo contraddistingueva, ma che, comunque, non gli impediva di imitare l'Enrico Beruschi del Drive-in (suo spettacolo televisivo preferito), se solo qualcuno glielo avesse chiesto. Donatella faceva la cassiera alla Città Mercato di Merate; era una ragazza diligente e responsabile, anche se non le dispiaceva di tanto in tanto organizzarsi con le amiche per una serata un po' al di sopra delle righe, nella quale pensare solo a bere e divertirsi. Qualche volta a questi fuori programma da bagordi partecipava anche Flaminia, seppur con qualche riserva e il pensiero del quale non riusciva mai a liberarsi di dover lasciare a casa il marito da solo con il figlio. Enea lavorava come bracciante in un vivaio omatese; era un tipo nervoso, con le braccia tatuate e il vizio di accendersi una sigaretta dopo l'altra, anche a tavola, anche in presenza del proprio piccolo. Gli piaceva la politica, in particolar modo la storia politica che contraddistingueva le due superpotenze in perenne contrasto fra loro: USA e URSS. Sosteneva che solo una piccola parte della verità – relativa alle disamine sui loro rapporti – emergesse: il resto era tenacemente tenuto nascosto, per poter meglio gestire le attività dei rispettivi servizi segreti. Flaminia era, infine, la più avveduta del quartetto di amici, ma era anche l'unica ancora in cerca di un'occupazione stabile, dopo aver fatto per anni la baby-sitter e aver tentato, invano, di laurearsi in economia e commercio: alla fine aveva desistito perché era rimasta incinta, ma il fatto di non avere concluso gli studi era un tarlo del quale non riusciva a liberarsi; ma pensava un giorno di potersi rimettere in pista, in fondo, era tutt'altro che vecchia. Entrambe le coppie non navigavano nell'oro, ma stavano bene, e potevano permettersi vari sfizi, fra cui due belle macchinette con cui sfrecciare il sabato e la domenica per le strade brianzole, e di tanto in tanto un viaggetto oltreoceano: erano già stati in un'isola dei Caraibi e alle Canarie, dai quali erano rientrati entusiasti e galvanizzati dall'idea un giorno di poter fare una crociera per l'intero pianeta. S'erano già informati sui costi: sessanta milioni di lire cadauno. Una cifra esorbitante, ma raggiungibile se... avessero perlomeno vinto al totocalcio. Si erano sposati quasi in contemporanea; Claudio e Donatella nel maggio del 1981, Enea e Flaminia a luglio. E quasi contemporaneamente avevano messo al mondo la propria amata creatura: i primi due erano diventati genitori nel febbraio del 1983, gli altri due nell'ottobre dello stesso anno. Due figli maschi: Francesco e Davide. Ed era stato anche questo il motivo che li aveva portati a frequentarsi con sempre maggiore assiduità. Avevano gli stessi gusti, gli stessi orari, gli stessi problemi, e amavano divertirsi nello stesso modo. Nell'aprile del 1986 avevano, dunque, vissuto moltissime cose insieme, al punto da considerarsi spesso una sorta di famiglia allargata con due mamme, due papà e due bambini. L'idea di scambiarsi di coppia era inizialmente venuta a Enea, una sera che stavano cenando a lume di candela in una vecchia trattoria di Osnago e che avevano già bevuto un paio di bottiglie di vino:
«A quando il primo scambio di coppia? A questo punto... potremmo considerarlo il degno seguito del nostro sodalizio...».
L'aveva buttata lì per ridere, ma gli altri tre non erano rimasti indifferenti.
«Cioè?», aveva domandato Donatella, con un sorriso vagamente malizioso.
«Che cazzo stai dicendo?», aveva ribattuto divertito Claudio. «Da quando in qua mogli e mariti si scambiano con altre coppie?».
«Non sarebbe una cattiva idea», aveva detto Flaminia. «Pensa che roba... io vengo con te per una notte, ed Enea va con Donatella... chissà che ridere...».
A Claudio era andato di traverso il vino. Ma l'idea non gli dispiaceva affatto, benché una certa morale gli impediva di fantasticare oltremodo su altre grazie.
«Eh, Claudio», aveva detto Enea, «dovresti considerare seriamente la cosa; stai, però, attento che Flaminia a letto è una furia...».
Era finita lì. Poi, però, un pomeriggio uggioso di fine novembre, che si erano ritrovati tutti, di nuovo, nell'appartamento D del quarto piano, a seguire passivamente i risultati delle partite di calcio – e a sperare ancora una volta in un bel dodici, se non tredici - Enea era tornato all'attacco.
«Allora, quando ci mettiamo in ballo?».
«Per cosa?», aveva domandato Claudio.
«Lo scambio di coppia che dicevamo l'altra sera...».
«Oddio, ancora con questa storia...», aveva mugugnato Donatella, con un tono apparentemente acido.
«Non sarebbe male, però», aveva rincarato la dose Flaminia, dando l'impressione che la coppia si fosse messa d'accordo per riproporre ufficialmente lo scambio.
«Allora decidiamoci una volta per tutte, non continuiamo solo a dirlo...», era stata la battuta di Donatella.
Il più perplesso pareva Claudio che non capiva dove finisse lo scherzo e dove la reale consapevolezza di compiere un passo perlomeno critico che, certo, non aveva mai riguardato nessun suo parente, e forse nemmeno un amico o conoscente. La sua morale scalpitava con tenacia. La famiglia nella quale s'era formato gli aveva insegnato a rispettare certi dogmi, ed era, dunque, difficile adesso uscire dal seminato per dare retta all'idea screanzata di un amico; anche se l'ipotesi di poter avvinghiarsi a Flaminia lo stuzzicava parecchio. Ma era tornato subito sui suoi passi ipotizzando un complotto nei suoi confronti, giudicato il facilone dei quattro, e quindi quello più facilmente prendibile di mira per qualche balzana. Alla fine s'era messo in testa che lo stessero prendendo per i fondelli; non sarebbe stata la prima volta. Ma il frastuono della congiura non era durato a lungo. Gli altri compari erano entrati in dettagli tali da fargli intuire che la cosa – contro ogni suo dubbio - avrebbe potuto essere del tutto verosimile, tenendo semplicemente conto di una prerogativa essenziale: dell'argomento non ne avrebbero mai dovuto parlare, né fra loro, né con nessun altro.
«Saremo in grado di mantenere questo patto?», aveva domandato Flaminia, mimando un senso di apprensione che non le apparteneva.
«Dobbiamo riuscirci, sennò va tutto a monte», s'era espresso Enea. «Se la cosa saltasse fuori potremmo non riuscire più a trovare l'armonia fra noi e...».
S'era messo a ridere.
«Sarebbe un peccato», aveva detto Donatella, guardando con occhio civettuolo Enea.
«In fondo potrebbe non accadere nulla...», aveva detto Flaminia.
«Appunto», aveva ribattuto Enea. «Questo è il bello... Non è assolutamente detto che debba accadere qualcosa. Potrebbe anche essere un semplice mettersi alla prova...».
La cosa era rimasta lì per un po' di mesi, scombussolata da una serie di vicissitudini familiari, compreso l'urgente ricovero del padre di Enea colpito da un infarto; ma passate le vacanze di Natale, ormai prossimi al carnevale, un giorno che erano a spasso per le strade monzesi con i rispettivi piccoli, s'erano dati l'ultimatum.
«Allora abbiamo deciso...», aveva detto Flaminia.
«Siamo sicuri?», aveva domandato Donatella.
«Sicurissimi», aveva detto Enea.
«Se lo dite voi...», s'era pronunciato con la solita titubanza Claudio.
«Il 25 aprile...», era andato avanti Enea. «Molliamo Davide e Francesco dai nonni e... via all'avventura».
«Mamma mia», aveva mugugnato Flaminia, «ci sarà da ridere».
Teatro dell'alcova erano stati scelti i rispettivi appartamenti. Donatella sarebbe andata a casa di Enea – una dimora nei pressi del Ponte di San Rocco, a Vimercate - Flaminia a casa di Claudio, la casa del palazzone omatese che tutti e quattro conoscevano molto bene e dove, nella maggior parte dei casi, erano soliti trovarsi per tirare notte fra un brindisi e l'altro o un film in videocassetta e una chiacchierata sulle prossime vacanze da fare insieme. L'orario fissato per le 20.30. Sicché il grande giorno era arrivato in un battibaleno, pur senza aver sentito la necessità di ribadire la scadenza ormai prossima, ogni altra volta che i loro cammini s'erano incrociati. Quasi nello stesso instante Donatella aveva, quindi, suonato a casa di Enea, mentre l'amica digitava il citofono dei Valsecchi. Entrambe portavano con sé una bottiglia di vino rosso, recuperata durante l'ultima spesa fatta, nei rispettivi supermarket di fiducia. All'inizio per entrambe le neo coppie era stato piuttosto imbarazzante ritrovarsi in quella situazione così particolare, tuttavia nel giro di mezz'ora erano già tutti perfettamente a loro agio: in fondo si conoscevano come le loro tasche e già in altre occasioni una certa intimità, diciamo metafisica, aveva avuto il sopravvento a destini incrociati. Avevano parlato per un po' prima di decidersi a mettere qualcosa sotto i denti e dare l'avvio ufficiale alla notte fedifraga. Donatella ed Enea avevano chiacchierato del prossimo viaggio che avrebbero potuto fare insieme. Dopo Caraibi e Canarie, stava facendosi largo l'idea di visitare la Grecia; un'isola della Grecia; alcuni amici erano stati a Santorini e ne avevano parlato con grande trasporto. L'alternativa era Mikonos che Donatella aveva appena visto in un programma televisivo di Rai 3: le erano rimaste impresse le case bianche di Mikonos, in contrasto con la meraviglia del mare blu. Gli altri due avevano affrontato un argomento molto meno affascinante: le ultime malattie patite dai bimbi, gli orecchioni di Francesco e la varicella di Davide. Dopodiché, Claudio e Flaminia, s'erano fatti una pastasciutta, mentre Enea e Donatella s'erano buttati su una cotoletta alla milanese. La cena era scivolata via tranquilla e senza particolari scossoni, continuando sui temi annunciati nella primissima parte della serata e di tanto in tanto tirandosi un'occhiata di autocompiacimento. S'erano così ritrovati tutti e quattro pieni e sazi sui rispettivi divani, fissando passivamente lo schermo del televisore sintonizzato su Rai Due in casa Valsecchi, e su Rai Uno in casa Erba. Rai Due stava trasmettendo un documentario sul caso Orlandi, la quindicenne scomparsa nel nulla nel 1983, un caso coinvolgente il Vaticano, la Banda della Magliana, il Banco Ambrosiano e i servizi segreti di vari paesi; secondo alcune indiscrezioni la ragazza era viva e vegeta, benché ricoverata in un manicomio di Londra; su Rai Uno era invece in onda un film di Sergio Leone, “C'era una volta in America”, lungometraggio uscito nel 1984, con la partecipazione di star come Robert De Niro e Joe Pesci.
«Mi piace De Niro», aveva bofonchiato Donatella, masticando un pezzo d'insalata rimasto incagliato fra i denti, con l'impressione che Enea potesse averlo colto senza avere avuto il coraggio di farglielo notare.
«Piace anche a me», aveva ribattuto Enea. «L'hai visto “Il cacciatore”?».
Non ne ricordava granché, per questo aveva preferito puntare su un film del quale aveva ben più certezze.
«Ho visto “Taxi Driver”, grandioso».
I primi, però, a divertirsi andando oltre i limiti imposti dalle regole del tradizionale rapporto amicale erano stati Claudio e Flaminia. Lei, in particolare, s'era messa a stuzzicare il compagno, facendogli un po' il solletico, e in seguito facendogli passare sotto il naso il proprio piede scalzo. Claudio s'era messo a ridere come un bambino, ma trovandosi inaspettatamente impacciato, aveva allontanato l'arto della ragazza dopo aver mimato un morso.
«Che fai?», gli aveva detto ridendo Flaminia.
«Sono un vampiro, non lo sapevi?».
«Lo sapevo, per questo sono qui. Amo i vampiri».
Claudio s'era messo a ridere con ulteriore enfasi, stuzzicato dall'idea di poter far qualcosa di più con quella parte anatomica fuori dalla sua giurisdizione, tipo baciarla o, addirittura, leccarla; condividendo una lettura fatta di recente relativa alla teoria secondo la quale il piede possiede un ruolo primario nell'immaginario erotico feticista, benché non sapesse esattamente cosa si intendesse con questa parola (un po' come le due adolescenti dei primi piani, Cristina e Marina). Peraltro Flaminia aveva un piedino perfettamente disegnato, elegante, né grasso né magro, con le dita perfettamente allineate, le unghie curate e un inaspettato profumo che gli aveva fatto vibrare i sensi. Sull'altro fronte, invece, le cose erano andate avanti con maggiore contegno.
«Ci facciamo un caffè?», aveva proposto Donatella.
«Ottimo», aveva ribattuto Enea.
Ed erano andati avanti a parlare di ferie.
«Siamo ad aprile ed è ora di prenotare», aveva detto Donatella.
«Così almeno dovremmo riuscire a risparmiare qualcosa».
Sopraggiunte le nove e mezza, con un brusco e deciso calo delle temperature all'esterno, il canto del cigno di una perturbazione di origine atlantica, Flaminia e Claudio erano arrivati a punzecchiarsi in modo plateale, appiccicati uno all'altro sul divano di casa Valsecchi. Claudio aveva sentito il cuore battergli come un tamburo, circostanza sul quale s'era soffermato incuriosito, rivangando l'esperienza di sette anni prima, quando aveva conosciuto Donatella e con la quale di lì a poco sarebbe convolato a nozze. Certe manifestazioni fisiche sapeva bene che avevano su di lui il sopravvento solo in specifiche situazioni, tipo quella in cui si ha un contatto fisico con un corpo mai incontrato prima, dove le alchimie epidermiche trovano il terreno più fertile per consultarsi. Flaminia sembrava così disinvolta da provocare strane lune in Claudio che, pur divertendosi, sentiva che la cosa potesse sfuggirgli di mano. Solo ora percepiva con una punta di ansia che non era lontana l'ipotesi concreta di poter tradire la moglie e potersi fare la donna del suo più caro amico; in pratica, stava male. È vero che c'era stato un tacito accordo fra le parti. Ma lui, in fondo, non ci aveva mai creduto fino a quel momento, momento in cui l'appetito sessuale gli era cresciuto come alimentato da una benzina con un eccezionale numero di ottani. E se stava sbagliando tutto? All'improvviso s'era fatto serio, tornando al vecchio presentimento: e se Flaminia lo stava prendendo in giro, in combutta con gli altri due? Sarebbe stato terribile, ma era possibile, perché no? Un tiro mancino ordito dalle persone che aveva più care... No, non era possibile, stava farneticando, anche questo un modo per scaricare l'angoscia di una prima volta senza precedenti. Il ritorno alla normalità era stato favorito dal fatto che Flaminia era così conturbante da non poter resistere al suo richiamo d'amore - fittizio o meno che fosse - ora concentrato sul lobo del suo orecchio sinistro:
«Ora ce la prendiamo con il lobo?».
«Me lo fai assaggiare?».
«Come, scusa?».
«A Enea piace un sacco».
«Non so di cosa tu stia parlando».
«Parlo di questo…».
Flaminia s'era aggiustata con il busto, per poter volgere agevolmente il suo capo verso la parte alta della testa dell'amico e lì con le labbra mordicchiargli la plica cutanea più leggendaria del corpo umano, mandandolo definitivamente in estasi. Claudio aveva lasciato fare, conscio, però, del fatto che non sarebbe durata a lungo la sua quiescenza; alla prossima zona erogena le sarebbe saltato addosso come un toro in calore e poi lo sa solo il Signore ciò a cui sarebbe potuto andare incontro. Intanto, anche Enea e Donatella avevano amplificato la loro vicinanza affettiva, esplicando con malizia azioni non di certo rapportabili a scontate intenzioni amicali; la ragazza aveva infilato i suoi piedi sotto le cosce del partner estemporaneo, con la scusa di sentire un po' freddo e lui aveva acconsentito, felice di poter godere di un primo contatto fisico lungo e inaspettato. Continuavano, nel frattempo, a discorrere; ma avevano smesso di raccontarsi pareri in merito alle prossime vacanze. Ora erano sulla politica. Non erano dei grandi intenditori, ma in comune nutrivano una certa insofferenza nei riguardi dei militanti di sinistra. Della sinistra, in generale. Non sopportavano i radical chic, i mezzi intellettuali, tutto libri e filosofia, non sopportavano i comunisti, una parola che facevano fatica addirittura a pronunciare. Non apprezzavano, quindi, figure come Fabiano, il batterista/barista del terzo piano del condominio omatese e il signor Bettini del secondo piano, entrambi schierati non di certo con il Movimento Sociale. Sicché odiavano lo snobismo della sinistra, certe condotte moralistiche e quella sorta di grave solennità che pareva materializzarsi dalle figure più rappresentative del comunismo globale. Non erano iscritti a nessun partito, ma dovendo scegliere fra destra e sinistra non avevano dubbi; l'alternativa era la DC, ma figure come De Mita e Andreotti non riuscivano a mandarle giù: troppo flaccidi. E troppo mielosi. Le immagini televisive, contemporaneamente, proseguivano per la loro strada, su entrambi i fronti… Il caso Orlandi, però, non interessava minimamente ai due giovani dell'appartamento omatese; che avevano, dunque, pensato che fosse ora di cambiare canale. Claudio s'era alzato con un guizzo dal divano per assolvere l'incombenza, ma forse più ancora per smorzare la tensione accumulata dall'inaspettata azione di Flaminia, indirizzata al suo apparecchio acustico.
«Che guardiamo di bello?».
«Non so. Tu che dici?».
«Metto su Canale Cinque».
Flaminia era già oltre.
«Preferisci Dallas o Dynasty?».
«Dynasty non l'ho mai visto. Dallas mi piace».
«Ti piace Pamela Ewing?».
Era la moglie di Bobby, il buono e il bello della saga.
«Lo sapevi che ha avuto una storia con Frank Sinatra?».
«Ma non dire cazzate...».
«Te lo giuro. Nei primi anni Settanta. A quanto pare è stata anche con Steven Spielberg...».
«E chi sarebbe?».
«Sai il regista di ET?».
«Ah, il film sull'extraterrestre... bello quel film».
Poi Claudio era tornato al divano, ma accomodandosi, questa volta, s'era posizionato a mezzo metro dalla ragazza, sopraffatto da un nuovo senso di disagio. Flaminia l'aveva lasciato nel suo brodo, del tutto inconsapevole del patimento dell'amico, prima di riproporre il gioco dell'orecchio. Di là, invece, benché partiti in ritardo rispetto ai primi, erano ora più avanti degli altri due, con un atteggiamento decisamente provocatorio: Donatella aveva addirittura iniziato a baciare sul collo Enea, accarezzandogli nel frattempo i pettorali, che scopriva più in forma rispetto a quelli del marito, ormai lontano da qualunque idea di dedicarsi a uno sport, e in perenne lievitazione post-matrimoniale. S'era proposta come se fosse un banale e innocente passatempo, tuttavia Enea non l'aveva interpretato in tal senso; e aveva contraccambiato il favore facendo scivolare la sua mano lungo la coscia destra di Donatella che, percependo la prima azione disinibita del compagno, aveva emanato un gemito di piacere. Così avevano proseguito in tandem fino a mezzanotte, fra parole e gesti della medesima natura, prima di rendersi conto che il grande momento - quello di andare a letto insieme – era finalmente giunto. Claudio aveva spento la tv proponendo con un sorriso idiota a Flaminia di servirsi del bagno prima di lui; per l'occasione l'aveva pulito ben bene, cambiando gli asciugamani e spruzzando per il locale un afrodisiaco profumo, azione di cui, di solito, si faceva carico, non senza sbottare, la consorte. Il suo cuore aveva cominciato a battere di nuovo all'impazzata. La ragazza era uscita dal servizio indossando una camicia da notte mezza trasparente, che lasciava intravedere ogni cosa, compreso il perfetto ricamo sexy degli slip e... Claudio era stato scosso da un sussulto, notando i capezzoli di Flaminia che in tutto il loro fragore puntavano al suo cuore come un mitra.
«Beh, io vado a letto», aveva detto Flaminia, con un ghigno spregiudicato.
«Ti raggiungo», aveva ribattuto Claudio, muovendosi verso il bagno con la tremarella.
A letto avevano spento quasi subito la luce mantenendosi a una distanza sindacale: né troppo vicini, né troppo lontani. S'erano, pertanto, rimessi a parlare, domandandosi che cosa stessero combinando gli altri due. Domanda più che lecita. Ma i soci non si erano ancora mossi dal divano, sempre sintonizzati su Rai Uno, a volume bassissimo; illuminati esclusivamente dalle luci della notte che filtravano dalla finestra della sala, giacevano sdraiati uno di fianco all'altro, con gli occhi semichiusi, in religioso silenzio.
«C'è qualcosa che non va?», aveva chiesto Flaminia a Claudio, notando la rigidità del compagno.
«Non so. Tu credi che abbiano già fatto qualcosa?».
«Enea non è il tipo che sta lì tanto a guardare...».
«Dici?».
«Dico. Perché, ti dispiace?».
Claudio aveva aspettato un po' prima di rispondere.
«Non so».
A questo punto i piedi dei due ragazzi avevano cominciato a sfiorarsi prima di finire avvinghiati l'uno all'altro, in un abbraccio affezionato. Lo chiamavano l'abbraccio della “sedia”, quello in cui lei si dispone a S, perfettamente incuneata nella S anatomica di lui. Parafrasi, in sostanza, di ciò che stava avvenendo sull'altro fronte.
«Dormi?», aveva chiesto Donatella ad Enea.
«No, tu?».
«Nemmeno io».
«Stai bene?».
«Io sì, tu?».
«Benissimo».
«Pensi che se ci fossimo sposati saremmo potuti stare bene?».
«Penso di sì. A volte immagino che tu sia il completamento di Claudio».
«Cosa intendi dire?».
«Beh, tu e Claudio fusi insieme sareste perfetti... forse l'uomo ideale...».
La mattina dopo s'erano svegliati tutti e quattro con un sorriso splendente, rilassati e gioiosi come non capitava da tempo nelle rispettive case. Donatella aveva regalato un bacio affettuosissimo a Enea, e così aveva fatto Flaminia, pur ritrovandosi con il collo un po' indolenzito e il desiderio di abbandonarsi in una vasca per un bel bagno caldo. Enea aveva detto a Donatella che era bella, Claudio s'era messo a fare lo stupido con Flaminia, pizzicandole il sedere mentre si accingeva a preparare il caffè latte. Tutti e quattro non vedevano l'ora di riabbracciare i propri piccoli. Il parere sulla notte appena trascorsa era stato, dunque, unanime: una notte magnifica. E il pensiero collettivo del quartetto era andato agevolmente all'ipotesi di rifarne un'altra simile, anche se, come stabilito dal patto iniziale, non sarebbe stato possibile. Sicché la sera del 26, s'erano ridati appuntamento allo stesso tavolo felici come le mille altre volte che avevano cenato insieme. Dopo una nottata così particolare, però, nessuno se l'era sentita di cucinare qualcosa e all'unanimità avevano optato per la pizza, ordinata dal Gianni di Agrate, giudicato fra i migliori pizzaioli della zona. I due piccoli di casa, in pratica fratelli acquisiti, giocavano fra loro confrontandosi due nuovi peluche: l'orsacchiotto di Francesco e il cavallo di Davide; la televisione, sintonizzata su Rai Uno, era in procinto di trasmettere il telegiornale, un telegiornale inaspettatamente diverso dagli altri; Donatella, Flaminia, Claudio ed Enea si guardavano con aria titubante, senza, però, mostrare segni di cedimento o fastidio. Tutto era stato calcolato con grande precisione e ora sarebbe stato troppo tardi per mostrarsi pentiti. Ma il desiderio di sapere cosa avessero combinato a coppie incrociate era assolutamente vivo. La curiosità era soprattutto al femminile. Donatella fissava Flaminia con gli occhi semichiusi, chiedendosi se potesse aver soddisfatto il suo partner più di quanto lei fosse capace; questa cosa le avrebbe dato fastidio, più della consapevolezza di avere tradito e di essere stata tradita. Flaminia sorrideva all'amica con fare ammiccante, lasciandola nel dubbio, ma suggerendole che ciò che andava vaneggiando potesse essere vero. Era finita lì, per fortuna. I due maschi sembravano, invece, meno desiderosi di conoscere i risvolti della nottata brava, e come se niente fosse accaduto s'erano versati un bicchiere di birra. Frattanto partiva la raffica di notizie del tg. Una davvero fuori dagli schemi: quella dell'esplosione di un reattore nucleare a Chernobyl. Sigla.
«Buonasera, le conseguenze del disastro nucleare della centrale nucleare di Chernobyl, in Unione Sovietica, concentrano quasi totalmente l'attenzione di tutto il mondo. Le autorità di Mosca confermano che, al contrario di quanto detto da più parti, l'incidente ha fatto solo due morti, mentre quasi duecento sono le persone ricoverate in ospedale... A supporto delle comunicazioni ufficiali per la prima volta il telegiornale sovietico ha mostrato una fotografia (è questa che vi mostriamo) della centrale di Chernobyl scattata dopo la fusione del reattore. O forse sarebbe il caso di dire dopo la fusione del primo reattore, infatti fonti americane hanno dato per scontato che un secondo reattore ha seguito la stessa sorte, come confermerebbero le informazioni dei satelliti spia... (…). Secondo uno studioso tedesco le autorità sovietiche si troverebbero nelle prossime ore nella necessità di sgombrare l'intera popolazione di Kiev, la capitale dell'Ucraina che si trova a 130 chilometri dalla zona di Chernobyl...».
Claudio s'era ritrovato col bicchiere vuoto e senza parole. Enea lo aveva guardato con fare disgustato: da sempre era convinto che USA e URSS stessero armandosi in segreto per darsele di santa ragione e poter primeggiare sul mondo e quello, dal suo punto di vista, non era che una mossa segreta attuata dal governo americano per avviare lo sterminio del nemico.
«L'avevo detto io».
Claudio l'aveva guardato con gli occhi da pesce lesso.
«Porca puttana».
Le due ragazze, anch'esse sorprese dalla notizia, avevano smesso di inseguirsi con gli sguardi e s'erano accomodate al fianco dei rispettivi mariti. Non capitavano spesso notizie di un simile clamore. Dacché erano nate, l'ultimo evento che aveva significativamente sollecitato il loro immaginario (e quello di gran parte degli italiani) era stata la triste fine del piccolo Alfredino Rampi, precipitato a Vermincino in un pozzo artesiano, l'estate del 1981. Qualcosa, comunque, di totalmente diverso; anche perché, in questo caso, c'era di mezzo la loro incolumità. O almeno, questo è ciò che sembrava dalle indiscrezioni frammentarie dello speaker. Temevano soprattutto l'ipotesi che il veleno radioattivo potesse giungere anche in Italia; benché non comprendessero minimamente cosa si potesse definire con questo termine. Cos'era il veleno radioattivo? Non ne avevano mai sentito parlare. Né comprendevano il significato basilare di radioattività; sapevano solo che, parecchi anni prima, una certa madame Courie ne aveva a lungo discusso, ribaltando i paradigmi scientifici e ammalandosi proprio per essere stata troppo a lungo a contatto con gli elementi radioattivi. All'improvviso la loro esistenza s'era fatta piccola e così i fasti della notte appena trascorsa: paradossalmente non era più importante sapere cosa fosse successo nelle due improvvisate alcove; incredibilmente c'era qualcosa di ancora più significativo per il loro futuro. Qui c'era di mezzo l'intera umanità, davanti alla quale qualunque vicissitudine umana non poteva che farsi piccola e inconsistente. È ciò su cui s'erano singolarmente ritrovati a riflettere, mentre osservavano con spirito indagatore il reattore di Chernobyl squarciato dall'esplosione atomica, una specie di parallelepipedo grigio, scuro e angosciante. Avevano pensato anche ai figli: era forse il caso di non farli uscire per un po' di tempo? In casa tutto il giorno, però, cosa avrebbero fatto? E la verdura? Avrebbero ancora potuto dargliela? Donatella aveva preso la mano di Claudio e Flaminia quella di Enea; un gesto non pensato, ma carico di emotività. A tutti era sorto un piccolo dubbio: sarebbe stata la stessa cosa se le mani incontrate non fossero state quelle dei rispettivi mariti, ma quelle dei rispettivi... amanti?
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