venerdì 20 giugno 2014

Ferragosto # 13


61.

Percorsero le scale con molta meno furia di quando erano giunti fin lì, consapevoli di aver individuato ciò che cercavano e di non avere più alcuna fretta. Trovarono la perpetua assorta nei suoi pensieri, nei pressi del lavandino della cucina, dove aveva appena finito di tagliuzzare alcune patate.
«Perpetua», disse il Marengo.
«Sì, sì», rispose la donna, ritornando alla realtà, «avete scoperto qualcosa?».
«Niente di particolare. Ci sono solo tanti libri e numerosi quadernetti pieni di annotazioni, ma nulla che possa davvero dare una scossa alle indagini. Proveremo a indirizzare altrove le nostre ricerche, sperando di non averla disturbata».
«E questo che ci fa qui?», domandò la perpetua, notando in clamoroso ritardo che il saggio del villaggio non era solo, e che qualcuno s'era intrufolato clandestinamente nella sua dimora.
«Ho trovato la porta aperta e ho pensato di dare una mano al Marengo», disse il ragazzo, diplomaticamente, «non l'avrei mai fatto se non fossi stato sicuro di poter rendermi utile. Credevo, peraltro, che in casa non ci fosse nessuno. Spero di non averla offesa».
La perpetua lo guardò con dissenso, ma non disse altro, contenta che se ne sarebbero finalmente andati e l'avrebbero lasciata in pace.
«Va bene, va bene, allora arrivederci, e vi prego, abbiate pietà di me, non tiratemi di nuovo in ballo per altre questioni, devo ancora riprendermi dalla tragedia».
«Lo sappiamo signora», disse il Marengo, «le prometto che non torneremo più a disturbarla, a meno che non dovesse saltare fuori qualcosa di veramente… di veramente sconvolgente».
La perpetua lo guardò perplessa, in cuor suo convinta che la storia non sarebbe finita lì. E subitaneamente cominciò a pensare al destino che l'avrebbe attesa, nella speranza che il futuro prete la volesse con sé. Non era esclusa, infatti, la possibilità di dover fare i bagagli e trasferirsi chissà dove, in cerca di un altro lavoro. Una propria casa, del resto, non l'aveva mai avuta, era sempre stata adottata da qualche sacerdote bisognoso del suo appoggio.
«Arrivederci», dissero i due uomini incamminandosi per la contrada principale, a quell'ora del giorno, pressoché deserta.
«Allora…».
«Non fiatare».
L'Ambrogino zittì, benché non comprendesse l'incredibile stato d'ansia del Marengo; in fondo non c'era nessuno che potesse ascoltarli e diffondere strane voci.
«Va bene, ma che facciamo adesso?», chiese sottovoce, il ragazzo, un paio di minuti dopo.  
«Dobbiamo riflettere sul da farsi. Con calma. Tu hai giurato di non dire niente, mi raccomando, sennò salta fuori un macello e non concludiamo nulla. Ora ho bisogno di pensare, devo ragionare su un bel po’ di aspetti».
«Marengo, la lettera! La lettera l'abbiamo presa?», domandò all'improvviso l'Ambrogino, sopraffatto da un brutto presentimento.
Il Marengo non fiatò, ma gli fece intendere con un gesto rapido dei bulbi oculari che il documento era al sicuro nella tasca dei pantaloni.
«Per un attimo avevo pensato che l'avessimo lasciata là».
L'uomo tagliò corto, sopraffatto dalla premura.
«Ambrogino, ti ringrazio per il tuo interesse e il tuo appoggio, ma adesso mi devi lasciare solo».
Il ragazzo capì al volo e non fece tante storie, ridimensionando la sua esuberanza.
«D'accordo, ma mi faccia sapere, se le occorre il mio aiuto sa dove trovarmi».
Se ne andò accennando a un saluto, sorprendendo il Marengo per la solita risolutezza e audacia.

62.

Aveva sempre amato i campi che correvano verso Bellusco e Aicurzio, da cui era possibile rimirare le Alpi e le Prealpi. In inverno si coloravano di bianco, e nelle giornate più limpide pareva che fossero proprio a un palmo di naso. Non era così e lo sapeva bene, da quel che giorno che, da ragazzo, con l'amico Giovanni Trotti, s'era messo in cammino per raggiungere entro sera le prime alture; per poi accorgersi che, con il calare delle tenebre, non erano andati oltre le radure carnatesi. Ma lungo quei campi ci andava spesso anche per lavoro e qualche volta per meditare. Erano angoli suggestivi che pretendevano grande rispetto, come se si fosse ogni volta trovato al cospetto di Dio, pronto a interloquire con lui. Era proprio quello che cercava, qualcuno di superiore a cui confidare le pene personali, i dubbi esistenziali, gli enigmi del vivere quotidiano che lo adombravano. E adesso era addirittura peggio delle altre volte, perché si trovava davanti a un caso davvero emblematico. C'era di mezzo una ragazzina, tema già di per sé suscettibile di interpretazioni ambigue; e con lei l'amico prete, don Filippo, che conosceva molto bene, che credeva di conoscere molto bene, ma che invece, evidentemente, nascondeva segreti di una grandezza infinita.
Si diresse lungo un sentiero scarsamente battuto, oltre la via per Ornago. Intravide da lontano Cascina Rossino, e da lì si perse in una distesa campestre che poche volte aveva battuto. Il mais era ormai alto e i colori dell'estate al massimo del loro splendore. C'era un vago silenzio, rotto dal canto di ortotteri e da qualche uccellaccio nero che gli ronzava intorno in cerca di qualcosa da punzecchiare col becco affilato. Tirò un respiro profondo e con la testa semichina cominciò a interrogarsi sul da farsi. Da dove partire? A chi rivolgersi? Perché questa cosa di Agnese e don Filippo non era mai saltata fuori? Qualcuno sapeva qualcosa, ma non aveva avuto il coraggio di raccontarlo? Omertà? Tutte tesi possibili, ma certo la faccenda non si sarebbe risolta da sola. Era necessario agire in prima persona.
Prese a riflettere su Agnese. La malizia ebbe il sopravvento sui suoi pensieri. Si chiese dove, come e perché avvenivano gli incontri clandestini fra i due. E in che senso il loro rapporto fosse completo. Il Marengo non aveva grosse riserve dal punto di vista sessuale, non si accaniva su inutili pettegolezzi e morbose attitudini, tuttavia vedeva del marcio in questa relazione. Non riusciva a capacitarsi di un amore puro in una coppia del genere. C'era qualcosa che lo disgustava e che lo angustiava. Ma non ne comprendeva bene il motivo. Non era suo compito ficcare il naso in certe vicissitudini amorose. Ma in questo caso, volente o nolente, ne era totalmente coinvolto. Sapeva benissimo chi fosse l'Agnese Bucchi, ma non le aveva mai dedicato del tempo; non aveva idea di chi fosse dal punto di vista caratteriale, quali fossero i suoi sentimenti, i suoi pensieri, il suo modo di concepire l'esistenza. Non ne sapeva niente, e non sapendo niente di lei non sarebbe potuto andare molto lontano. Cercò di eclissarsi per un attimo, ma non vi riuscì. Si convinse che c'era un solo modo per risolvere ogni suo tentennamento: doveva andare di persona a parlare insieme alla figlia dell'amico panettiere.

63.

11 agosto

Si alzò con un nodo alla gola, che non riuscì a vincere nemmeno con un bel sorso d'acqua e una sniffata acre di tabacco. Abbandonò il letto che il sole non era ancora spuntato, benché fuori dalla porta ci fossero già due persone ad aspettarlo: l'Ambrogino e il Giannino. Ancora loro. Ancora la loro incredibile espansività così difficile da domare. Li vide affacciandosi dalla finestra della cucina, spalancata per respirare aria nuova: cincischiavano fra loro a bassa voce, come se stessero confidandosi vergogne inconfessabili.  
«Cosa ci fate ancora qua?».
«Scusi Marengo, ma stiamo sulle spine», disse l'Ambrogino.
«Ragazzi», sbuffò il Marengo, esasperato, «comprendo la vostra volontà di venirmi incontro, aiutarmi e starmi vicino, ma è praticamente ancora notte. A quest'ora dovreste essere nelle vostre camere. A dormire!».
«Lo sappiamo, ci scusi».
Il Marengo mostrò apertamente la sua insofferenza dondolando malinconicamente la testa e chiedendosi fin dove la loro inconsapevole insolenza sarebbe potuta arrivare. 
«Ragazzi, dobbiamo muoverci con cautela, ve l'ho già detto, dobbiamo ragionare sul da farsi, passo dopo passo, voi siete troppo precipitosi, così non andiamo da nessuna parte, lo capite? Mi spiegate il motivo di tutta questa vostra ansia? Di questa vostra urgenza? Perché siete ancora qui?».
«Marengo», disse il Giannino, « ci abbiamo pensato tutta notte e siamo arrivati alla conclusione che nel delitto possa esserci di mezzo la pazza».
Il Marengo sbigottì.
«Ma che idee vi fate venire in mente? Volete smetterla di mettere in giro voci infondate?».
«Non è così Marengo, ci ascolti», disse l'Ambrogino.
L'uomo annuì, sempre più irrequieto. 
«Ieri sera, a tarda ora, abbiamo trovato sull'uscio della sua casa un gatto morto», continuò il ragazzo.
«E allora?».
«Secondo noi ha a che fare con i riti strani della pazza».
«Ma la volete lasciare stare 'sta povera donna?».
«Marengo, lo sa bene che non è a posto».
«Potrebbe essere, ma mi spiegate cosa c'entra con la scomparsa di don Filippo?».
«Il gatto morto era… il Gaetanino», disse il Giannino, con fare spregiudicato.
Il Marengo non fiatò, pur sapendo che si stessero riferendo al micio del prete e che la cosa, in effetti, fosse alquanto strana. Aggrottò le sopracciglia e indifferente alla presenza dei giovani se ne andò in cucina per prepararsi qualcosa da mettere sotto i denti. Non ne poteva davvero più.
I ragazzi lo seguirono basiti.
«Che facciamo?», domandò il Giannino all'amico.
«Non ne ho idea».
«Non mi sarei mai immaginato un atteggiamento del genere da parte del Marengo. Mi sembrava una prova davvero schiacciante».
Stavano per andarsene, ma il padrone di casa li richiamò a sé con un filo di voce.
«Ragazzi, non so se la faccenda del gatto possa essere ricondotta a don Filippo, ma proveremo a indagare anche su questo particolare».
Brancolava nel buio, ma cercò in qualche modo di fare ordine alle tante cose che gli frullavano per la testa. Era, di fatto, concentrato sull'Agnese e ora la faccenda del Gaetanino martirizzato gli creò ulteriore scompiglio.
«Un'ultima cosa: siete sicuri che sia stato ucciso?».
«Chi?», chiese sprovvedutamente il Giannino.
«Il Gaetanino».
«Le basta se le diciamo che aveva la bocca digrignante e un rivolo di sangue che gli usciva dal naso?».
«Potrebbe essere morto per altri motivi».
«Proprio di fronte alla porta di Marta Bucchi?».
«In effetti, è alquanto strano; ma potrebbe essere stato avvelenato da qualche parte e poi qualcuno, per intimidirla, potrebbe averlo abbandonato di fronte alla sua abitazione».
«Quindi nessuna relazione con don Filippo?», disse laconicamente l'Ambrogino.
«Dobbiamo calcare le piste più sicure, senza farci suggestionare. Oggi proseguirò con le ricerche e se scoprirò qualcosa sarete i primi a saperlo. Ma non venite da me tutti i santi momenti!».
L'Ambrogino e il Giannino si guardarono delusi, comunque convinti di avere fatto una grande scoperta. Lasciarono il Marengo con un sorriso avvilito e tornarono alla casa della Bucchi per ridare un'occhiata al cadavere del Gaetanino; ma a destinazione rimasero di sasso.
«E' scomparso!», esclamò il Giannino.
«Ma come è possibile?».
«Non è ancora spuntato il sole».
«Appunto, nessuno può esservi avventurato fin qui… se non lei».
«Oddio!», gridò all'improvviso l'Ambrogino.
Da una piccola fessura della finestra scorsero la Maria Bucchi sdraiata sul divano con in mano un grosso cero: sembrava morta.

64.

Con il Carlo aveva sempre avuto un bellissimo rapporto. Era uno degli uomini del paese che stimava di più; un uomo di sani principi, burbero e difficile, ma disposto sempre a collaborare e a ragionare per qualche buona causa. Tutti ricordavano bene la grave carestia, di qualche anno prima, e dei numerosi buraghesi strapazzati dalla fame e dalle malattie. E chiunque sa ben quel che fece il Carlo, regalando a tutti un po’ di pane, pur sapendo di non navigare nell'oro e di rischiare di compromettere la stabilità economia della propria famiglia. Non ci diede peso, e soccorse chiunque. I Perego, in particolare, quelli messi peggio, tutti pelle e ossa, con i due figli devastati dalla pellagra. Alla fine non riuscirono a superare l'inverno, ma la generosità del panettiere fece scalpore. Lo stesso don Filippo lo aveva pubblicamente elogiato durante un'omelia, sottolineando il valore della sua missione, degna di un cristiano coi fiocchi. Il Marengo lo raggiunse con lo spuntare dei primi raggi di sole.
«Oh, Marengo, qual buon vento», lo accolse l'amico.
«Sempre indaffarato, eh»,
«Sai che una volta ognuno aveva il suo forno, ma oggi, sapendo di avere il panettiere dietro casa, chi si mette più a sfornare miche e michette?».
Risero come due vecchi compagni di merende.
«Si sa niente del prete?».
«Stiamo appunto indagando».
«Il Boffalora?».
«Per ora me la cavo da solo. Lui ha già un sacco di gatte da pelare».
«Insomma, non se ne viene fuori».
Fecero cadere il discorso al sopraggiungere di Ferdinando Sala.
«Salve Marengo, salve Carlo, quattro michette, grazie».
«Pronti».
L'uomo se ne andò ma arrivano subito dopo la Ilma e la Cesira. Le due donne si squadrarono con sospetto, come se avessero qualcosa da nascondersi. Ordinarono il loro pane preferito e presero a chiacchierare sul ciglio della strada, isolandosi dagli altri, ma rimanendo in qualche modo nei paraggi, e impendendo al Marengo di conversare come avrebbe voluto.
«Non ne vuole proprio sapere di piovere», tergiversò, il saggio del villaggio. 
«Mi viene in mente la carestia di qualche anno fa».
«Non mi ci fare pensare».
«Ricordi i Perego?».
«Ci stavo riflettendo prima di venirti a trovare. Che fine hanno fatto…».
«Era rimasta solo la Rachele, povera donna, non sapeva più dove andare a sbattere la testa».
«Quando le è morto anche il secondo deve avere perso la ragione».
«Al suo posto penso l'avrebbe persa chiunque».
«Dici bene».
«Non capii mai, però, lo strano rapporto che avevano con la Marta».
«Ma sai, alla fine, la donna le aveva tentate tutte per cercare un modo per curarle i figli. Al di là di quel che si può dire e pensare la Marta sa trafficare bene con erbe e unguenti. Dava loro una specie di bevanda ricavata dalle foglie di ortica e una crema da mettersi sui capelli, che si diceva mischiasse con l'urina dei pipistrelli. Non so cosa potessero realmente fare».
Si guardarono con rassegnazione, ammettendo che certe malattie sono davvero impossibili da risolvere, se non con l'intervento diretto del padreterno.
«Buongiorno!», disse la Rebecca Mariani, lontana parente del Boffalora, «c'è in corso una seduta straordinaria?».
«Buongiorno Rebecca», rispose il Marengo, «niente di tutto ciò, stavamo solo discutendo del caldo».
«E le due di fuori, di don Filippo. A proposito, scoperto qualcos'altro?».
Il Marengo trepidò.  
«Niente, ancora niente. Speriamo presto…», mugugnò augurandosi di non dover più rispondere la stessa cosa anche a tutti gli altri abitanti del paese.

65.

Appena ci fu un attimo di pausa e le tante zabette tornate alle loro dimore, il Marengo attaccò con la figlia di Carlo.
«Tua figlia?».
«Mia figlia?».
«Così, è un po’ che non la vedo».
«Mia figlia ha voglia di perdere tempo, i giovani di oggi mi sa che non sono fatti della nostra pasta».
«Forse hai ragione, ma perché ti lamenti di Agnese? A me sembra una bravissima ragazza».
«Non dico che non lo sia. Dico, però, che non ha la testa che dovrebbe avere una donna che sta per raggiungere l'età da marito».
«Non essere precipitoso, è ancora una ragazzina».
«Alla sua età, lo sai che mia madre aveva già un figlio?».
«I tempi, del resto, cambiano in fretta. Non si riesce a stare dietro a una cosa, a un fatto, che già è tutto cambiato». 
Il panettiere fece spallucce.
«Cambiano i punti di vista, le idee, così va il mondo».
«Se lo dici tu Marengo, io, guarda, a volte provo un senso di disagio di fronte a questa voglia di modernità che pare voler risolvere ogni nostro dubbio o timore. In fondo rimaniamo i soliti uomini, e dove vogliamo andare se non in paradiso o all'inferno?».
Il Marengo sorrise, felice di avere a che fare ancora una volta con un uomo tutt'altro che stupido. Il Carlo non aveva studiato e faceva da sempre il panettiere, ma aveva una bella testa, sapeva ragionare per conto suo senza farsi condizionare dagli altri o dalle mode.
«Non hai tutti i torti, eppure è giusto che il genere umano progredisca, non possiamo restare all'età della pietra».
«Con gli austriaci che ci stanno alle costole, non è mai bello sperare nell'avvenire».
«Vediamo le cose in positivo. Mazzini sa il far suo».
«Mazzini non so neanche chi sia. E a quanto pare i suoi piani insurrezionali non ottengono grandi risultati».
«Dobbiamo dargli tempo. Intanto godiamoci la nuova linea ferroviaria che collega Pordenone a Treviso. Avanti di questo passo andremo sulla Luna!».
«Non ne so nulla, ma se è questo che ambisce l'uomo, faccia pure. Io, tanto, continuerò a sfornare michette anche se dovessimo traslocare su una stella».
«Beh, la possibilità di girare in treno è un'opportunità grandiosa, non credi?».
«Credo solo a quello che vedo. E per il momento vedo solo che fa un gran caldo».
Il Marengo capì che l'amico si stava spazientendo, ed evitò di sottoporlo a nuovi ragionamenti. Arrivò, nel frattempo, la figlia di Domenico Carimati, grande amica dell'Agnese. Voleva sapere dove fosse la compagna di giochi per poterla raggiungere e trascorrere con lei la mattinata, come tante altre volte succedeva, al posto di stare a casa a imparare a cucire o a fare da mangiare.
Il Carlo non fu così entusiasta di vederla e le rispose sgarbatamente.   
«Dove vuoi che sia andata? Con questo caldo starà di sicuro lungo le rive del Molgora con le solite assassine».
Usò proprio questo termine che fece sobbalzare il Marengo; ma lo accompagnò con una strizzata d'occhio che rimise tutto a posto.
«Beati loro che trovano il tempo per rinfrescarsi nel torrente».
«Se ben ricordi lo facevamo anche noi».
«Ricordo, ma io non ho mai amato tuffarmi, ho sempre avuto un cattivo rapporto con l'acqua dei fiumi».
I due amici si salutarono, quando altre donne entrarono in negozio per rinfoltire la dispensa.
Il Marengo senza alcuna fatica, era così riuscito a sapere dove sarebbe potuto andare per cercare l'Agnese.

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