61.
Percorsero le
scale con molta meno furia di quando erano giunti fin lì, consapevoli di aver individuato
ciò che cercavano e di non avere più alcuna fretta. Trovarono la perpetua
assorta nei suoi pensieri, nei pressi del lavandino della cucina, dove aveva
appena finito di tagliuzzare alcune patate.
«Perpetua»,
disse il Marengo.
«Sì, sì»,
rispose la donna, ritornando alla realtà, «avete scoperto qualcosa?».
«Niente di
particolare. Ci sono solo tanti libri e numerosi quadernetti pieni di
annotazioni, ma nulla che possa davvero dare una scossa alle indagini. Proveremo
a indirizzare altrove le nostre ricerche, sperando di non averla disturbata».
«E questo che ci
fa qui?», domandò la perpetua, notando in clamoroso ritardo che il saggio del
villaggio non era solo, e che qualcuno s'era intrufolato clandestinamente nella
sua dimora.
«Ho trovato la
porta aperta e ho pensato di dare una mano al Marengo», disse il ragazzo,
diplomaticamente, «non l'avrei mai fatto se non fossi stato sicuro di poter
rendermi utile. Credevo, peraltro, che in casa non ci fosse nessuno. Spero di
non averla offesa».
La perpetua lo
guardò con dissenso, ma non disse altro, contenta che se ne sarebbero
finalmente andati e l'avrebbero lasciata in pace.
«Va bene, va
bene, allora arrivederci, e vi prego, abbiate pietà di me, non tiratemi di
nuovo in ballo per altre questioni, devo ancora riprendermi dalla tragedia».
«Lo sappiamo
signora», disse il Marengo, «le prometto che non torneremo più a disturbarla, a
meno che non dovesse saltare fuori qualcosa di veramente… di veramente
sconvolgente».
La perpetua lo
guardò perplessa, in cuor suo convinta che la storia non sarebbe finita lì. E subitaneamente
cominciò a pensare al destino che l'avrebbe attesa, nella speranza che il
futuro prete la volesse con sé. Non era esclusa, infatti, la possibilità di
dover fare i bagagli e trasferirsi chissà dove, in cerca di un altro lavoro. Una
propria casa, del resto, non l'aveva mai avuta, era sempre stata adottata da
qualche sacerdote bisognoso del suo appoggio.
«Arrivederci»,
dissero i due uomini incamminandosi per la contrada principale, a quell'ora del
giorno, pressoché deserta.
«Allora…».
«Non fiatare».
L'Ambrogino
zittì, benché non comprendesse l'incredibile stato d'ansia del Marengo; in
fondo non c'era nessuno che potesse ascoltarli e diffondere strane voci.
«Va bene, ma che
facciamo adesso?», chiese sottovoce, il ragazzo, un paio di minuti dopo.
«Dobbiamo
riflettere sul da farsi. Con calma. Tu hai giurato di non dire niente, mi raccomando,
sennò salta fuori un macello e non concludiamo nulla. Ora ho bisogno di pensare,
devo ragionare su un bel po’ di aspetti».
«Marengo, la
lettera! La lettera l'abbiamo presa?», domandò all'improvviso l'Ambrogino,
sopraffatto da un brutto presentimento.
Il Marengo non
fiatò, ma gli fece intendere con un gesto rapido dei bulbi oculari che il
documento era al sicuro nella tasca dei pantaloni.
«Per un attimo
avevo pensato che l'avessimo lasciata là».
L'uomo tagliò
corto, sopraffatto dalla premura.
«Ambrogino, ti
ringrazio per il tuo interesse e il tuo appoggio, ma adesso mi devi lasciare
solo».
Il ragazzo capì
al volo e non fece tante storie, ridimensionando la sua esuberanza.
«D'accordo, ma mi
faccia sapere, se le occorre il mio aiuto sa dove trovarmi».
Se ne andò accennando
a un saluto, sorprendendo il Marengo per la solita risolutezza e audacia.
62.
Aveva sempre
amato i campi che correvano verso Bellusco e Aicurzio, da cui era possibile rimirare
le Alpi e le Prealpi. In inverno si coloravano di bianco, e nelle giornate più
limpide pareva che fossero proprio a un palmo di naso. Non era così e lo sapeva
bene, da quel che giorno che, da ragazzo, con l'amico Giovanni Trotti, s'era
messo in cammino per raggiungere entro sera le prime alture; per poi accorgersi
che, con il calare delle tenebre, non erano andati oltre le radure carnatesi. Ma
lungo quei campi ci andava spesso anche per lavoro e qualche volta per
meditare. Erano angoli suggestivi che pretendevano grande rispetto, come se si
fosse ogni volta trovato al cospetto di Dio, pronto a interloquire con lui. Era
proprio quello che cercava, qualcuno di superiore a cui confidare le pene
personali, i dubbi esistenziali, gli enigmi del vivere quotidiano che lo adombravano.
E adesso era addirittura peggio delle altre volte, perché si trovava davanti a
un caso davvero emblematico. C'era di mezzo una ragazzina, tema già di per sé
suscettibile di interpretazioni ambigue; e con lei l'amico prete, don Filippo,
che conosceva molto bene, che credeva di conoscere molto bene, ma che invece,
evidentemente, nascondeva segreti di una grandezza infinita.
Si diresse lungo
un sentiero scarsamente battuto, oltre la via per Ornago. Intravide da lontano
Cascina Rossino, e da lì si perse in una distesa campestre che poche volte
aveva battuto. Il mais era ormai alto e i colori dell'estate al massimo del
loro splendore. C'era un vago silenzio, rotto dal canto di ortotteri e da
qualche uccellaccio nero che gli ronzava intorno in cerca di qualcosa da punzecchiare
col becco affilato. Tirò un respiro profondo e con la testa semichina cominciò
a interrogarsi sul da farsi. Da dove partire? A chi rivolgersi? Perché questa
cosa di Agnese e don Filippo non era mai saltata fuori? Qualcuno sapeva
qualcosa, ma non aveva avuto il coraggio di raccontarlo? Omertà? Tutte tesi
possibili, ma certo la faccenda non si sarebbe risolta da sola. Era necessario
agire in prima persona.
Prese a
riflettere su Agnese. La malizia ebbe il sopravvento sui suoi pensieri. Si chiese
dove, come e perché avvenivano gli incontri clandestini fra i due. E in che
senso il loro rapporto fosse completo. Il Marengo non aveva grosse riserve dal
punto di vista sessuale, non si accaniva su inutili pettegolezzi e morbose
attitudini, tuttavia vedeva del marcio in questa relazione. Non riusciva a capacitarsi
di un amore puro in una coppia del genere. C'era qualcosa che lo disgustava e
che lo angustiava. Ma non ne comprendeva bene il motivo. Non era suo compito
ficcare il naso in certe vicissitudini amorose. Ma in questo caso, volente o
nolente, ne era totalmente coinvolto. Sapeva benissimo chi fosse l'Agnese
Bucchi, ma non le aveva mai dedicato del tempo; non aveva idea di chi fosse dal
punto di vista caratteriale, quali fossero i suoi sentimenti, i suoi pensieri,
il suo modo di concepire l'esistenza. Non ne sapeva niente, e non sapendo
niente di lei non sarebbe potuto andare molto lontano. Cercò di eclissarsi per
un attimo, ma non vi riuscì. Si convinse che c'era un solo modo per risolvere
ogni suo tentennamento: doveva andare di persona a parlare insieme alla figlia
dell'amico panettiere.
63.
11 agosto
Si alzò con un
nodo alla gola, che non riuscì a vincere nemmeno con un bel sorso d'acqua e una
sniffata acre di tabacco. Abbandonò il letto che il sole non era ancora
spuntato, benché fuori dalla porta ci fossero già due persone ad aspettarlo:
l'Ambrogino e il Giannino. Ancora loro. Ancora la loro incredibile espansività
così difficile da domare. Li vide affacciandosi dalla finestra della cucina,
spalancata per respirare aria nuova: cincischiavano fra loro a bassa voce, come
se stessero confidandosi vergogne inconfessabili.
«Cosa ci fate
ancora qua?».
«Scusi Marengo, ma
stiamo sulle spine», disse l'Ambrogino.
«Ragazzi»,
sbuffò il Marengo, esasperato, «comprendo la vostra volontà di venirmi
incontro, aiutarmi e starmi vicino, ma è praticamente ancora notte. A quest'ora
dovreste essere nelle vostre camere. A dormire!».
«Lo sappiamo, ci
scusi».
Il Marengo
mostrò apertamente la sua insofferenza dondolando malinconicamente la testa e
chiedendosi fin dove la loro inconsapevole insolenza sarebbe potuta
arrivare.
«Ragazzi, dobbiamo
muoverci con cautela, ve l'ho già detto, dobbiamo ragionare sul da farsi, passo
dopo passo, voi siete troppo precipitosi, così non andiamo da nessuna parte, lo
capite? Mi spiegate il motivo di tutta questa vostra ansia? Di questa vostra
urgenza? Perché siete ancora qui?».
«Marengo», disse
il Giannino, « ci abbiamo pensato tutta notte e siamo arrivati alla conclusione
che nel delitto possa esserci di mezzo la pazza».
Il Marengo
sbigottì.
«Ma che idee vi
fate venire in mente? Volete smetterla di mettere in giro voci infondate?».
«Non è così
Marengo, ci ascolti», disse l'Ambrogino.
L'uomo annuì,
sempre più irrequieto.
«Ieri sera, a
tarda ora, abbiamo trovato sull'uscio della sua casa un gatto morto», continuò
il ragazzo.
«E allora?».
«Secondo noi ha
a che fare con i riti strani della pazza».
«Ma la volete
lasciare stare 'sta povera donna?».
«Marengo, lo sa bene
che non è a posto».
«Potrebbe essere,
ma mi spiegate cosa c'entra con la scomparsa di don Filippo?».
«Il gatto morto
era… il Gaetanino», disse il Giannino, con fare spregiudicato.
Il Marengo non
fiatò, pur sapendo che si stessero riferendo al micio del prete e che la cosa,
in effetti, fosse alquanto strana. Aggrottò le sopracciglia e indifferente alla
presenza dei giovani se ne andò in cucina per prepararsi qualcosa da mettere
sotto i denti. Non ne poteva davvero più.
I ragazzi lo seguirono
basiti.
«Che facciamo?»,
domandò il Giannino all'amico.
«Non ne ho
idea».
«Non mi sarei
mai immaginato un atteggiamento del genere da parte del Marengo. Mi sembrava
una prova davvero schiacciante».
Stavano per
andarsene, ma il padrone di casa li richiamò a sé con un filo di voce.
«Ragazzi, non so
se la faccenda del gatto possa essere ricondotta a don Filippo, ma proveremo a
indagare anche su questo particolare».
Brancolava nel
buio, ma cercò in qualche modo di fare ordine alle tante cose che gli
frullavano per la testa. Era, di fatto, concentrato sull'Agnese e ora la
faccenda del Gaetanino martirizzato gli creò ulteriore scompiglio.
«Un'ultima cosa:
siete sicuri che sia stato ucciso?».
«Chi?», chiese
sprovvedutamente il Giannino.
«Il Gaetanino».
«Le basta se le
diciamo che aveva la bocca digrignante e un rivolo di sangue che gli usciva dal
naso?».
«Potrebbe essere
morto per altri motivi».
«Proprio di
fronte alla porta di Marta Bucchi?».
«In effetti, è
alquanto strano; ma potrebbe essere stato avvelenato da qualche parte e poi
qualcuno, per intimidirla, potrebbe averlo abbandonato di fronte alla sua
abitazione».
«Quindi nessuna
relazione con don Filippo?», disse laconicamente l'Ambrogino.
«Dobbiamo
calcare le piste più sicure, senza farci suggestionare. Oggi proseguirò con le
ricerche e se scoprirò qualcosa sarete i primi a saperlo. Ma non venite da me
tutti i santi momenti!».
L'Ambrogino e il
Giannino si guardarono delusi, comunque convinti di avere fatto una grande
scoperta. Lasciarono il Marengo con un sorriso avvilito e tornarono alla casa
della Bucchi per ridare un'occhiata al cadavere del Gaetanino; ma a
destinazione rimasero di sasso.
«E' scomparso!»,
esclamò il Giannino.
«Ma come è
possibile?».
«Non è ancora
spuntato il sole».
«Appunto,
nessuno può esservi avventurato fin qui… se non lei».
«Oddio!», gridò
all'improvviso l'Ambrogino.
Da una piccola
fessura della finestra scorsero la Maria Bucchi sdraiata sul divano con in mano
un grosso cero: sembrava morta.
64.
Con il Carlo
aveva sempre avuto un bellissimo rapporto. Era uno degli uomini del paese che
stimava di più; un uomo di sani principi, burbero e difficile, ma disposto
sempre a collaborare e a ragionare per qualche buona causa. Tutti ricordavano
bene la grave carestia, di qualche anno prima, e dei numerosi buraghesi
strapazzati dalla fame e dalle malattie. E chiunque sa ben quel che fece il
Carlo, regalando a tutti un po’ di pane, pur sapendo di non navigare nell'oro e
di rischiare di compromettere la stabilità economia della propria famiglia. Non
ci diede peso, e soccorse chiunque. I Perego, in particolare, quelli messi
peggio, tutti pelle e ossa, con i due figli devastati dalla pellagra. Alla fine
non riuscirono a superare l'inverno, ma la generosità del panettiere fece
scalpore. Lo stesso don Filippo lo aveva pubblicamente elogiato durante
un'omelia, sottolineando il valore della sua missione, degna di un cristiano
coi fiocchi. Il Marengo lo raggiunse con lo spuntare dei primi raggi di sole.
«Oh, Marengo,
qual buon vento», lo accolse l'amico.
«Sempre
indaffarato, eh»,
«Sai che una
volta ognuno aveva il suo forno, ma oggi, sapendo di avere il panettiere dietro
casa, chi si mette più a sfornare miche e michette?».
Risero come due
vecchi compagni di merende.
«Si sa niente
del prete?».
«Stiamo appunto
indagando».
«Il Boffalora?».
«Per ora me la
cavo da solo. Lui ha già un sacco di gatte da pelare».
«Insomma, non se
ne viene fuori».
Fecero cadere il
discorso al sopraggiungere di Ferdinando Sala.
«Salve Marengo, salve
Carlo, quattro michette, grazie».
«Pronti».
L'uomo se ne
andò ma arrivano subito dopo la Ilma e la Cesira. Le due donne si squadrarono
con sospetto, come se avessero qualcosa da nascondersi. Ordinarono il loro pane
preferito e presero a chiacchierare sul ciglio della strada, isolandosi dagli
altri, ma rimanendo in qualche modo nei paraggi, e impendendo al Marengo di
conversare come avrebbe voluto.
«Non ne vuole
proprio sapere di piovere», tergiversò, il saggio del villaggio.
«Mi viene in
mente la carestia di qualche anno fa».
«Non mi ci fare
pensare».
«Ricordi i
Perego?».
«Ci stavo riflettendo
prima di venirti a trovare. Che fine hanno fatto…».
«Era rimasta
solo la Rachele, povera donna, non sapeva più dove andare a sbattere la testa».
«Quando le è
morto anche il secondo deve avere perso la ragione».
«Al suo posto
penso l'avrebbe persa chiunque».
«Dici bene».
«Non capii mai,
però, lo strano rapporto che avevano con la Marta».
«Ma sai, alla
fine, la donna le aveva tentate tutte per cercare un modo per curarle i figli.
Al di là di quel che si può dire e pensare la Marta sa trafficare bene con erbe
e unguenti. Dava loro una specie di bevanda ricavata dalle foglie di ortica e
una crema da mettersi sui capelli, che si diceva mischiasse con l'urina dei
pipistrelli. Non so cosa potessero realmente fare».
Si guardarono con
rassegnazione, ammettendo che certe malattie sono davvero impossibili da
risolvere, se non con l'intervento diretto del padreterno.
«Buongiorno!»,
disse la Rebecca Mariani, lontana parente del Boffalora, «c'è in corso una
seduta straordinaria?».
«Buongiorno
Rebecca», rispose il Marengo, «niente di tutto ciò, stavamo solo discutendo del
caldo».
«E le due di
fuori, di don Filippo. A proposito, scoperto qualcos'altro?».
Il Marengo trepidò.
«Niente, ancora
niente. Speriamo presto…», mugugnò augurandosi di non dover più rispondere la
stessa cosa anche a tutti gli altri abitanti del paese.
65.
Appena ci fu un
attimo di pausa e le tante zabette tornate alle loro dimore, il Marengo attaccò
con la figlia di Carlo.
«Tua figlia?».
«Mia figlia?».
«Così, è un po’
che non la vedo».
«Mia figlia ha
voglia di perdere tempo, i giovani di oggi mi sa che non sono fatti della
nostra pasta».
«Forse hai
ragione, ma perché ti lamenti di Agnese? A me sembra una bravissima ragazza».
«Non dico che
non lo sia. Dico, però, che non ha la testa che dovrebbe avere una donna che
sta per raggiungere l'età da marito».
«Non essere
precipitoso, è ancora una ragazzina».
«Alla sua età,
lo sai che mia madre aveva già un figlio?».
«I tempi, del
resto, cambiano in fretta. Non si riesce a stare dietro a una cosa, a un fatto,
che già è tutto cambiato».
Il panettiere fece
spallucce.
«Cambiano i
punti di vista, le idee, così va il mondo».
«Se lo dici tu
Marengo, io, guarda, a volte provo un senso di disagio di fronte a questa
voglia di modernità che pare voler risolvere ogni nostro dubbio o timore. In
fondo rimaniamo i soliti uomini, e dove vogliamo andare se non in paradiso o
all'inferno?».
Il Marengo
sorrise, felice di avere a che fare ancora una volta con un uomo tutt'altro che
stupido. Il Carlo non aveva studiato e faceva da sempre il panettiere, ma aveva
una bella testa, sapeva ragionare per conto suo senza farsi condizionare dagli
altri o dalle mode.
«Non hai tutti i
torti, eppure è giusto che il genere umano progredisca, non possiamo restare
all'età della pietra».
«Con gli
austriaci che ci stanno alle costole, non è mai bello sperare nell'avvenire».
«Vediamo le cose
in positivo. Mazzini sa il far suo».
«Mazzini non so
neanche chi sia. E a quanto pare i suoi piani insurrezionali non ottengono
grandi risultati».
«Dobbiamo dargli
tempo. Intanto godiamoci la nuova linea ferroviaria che collega Pordenone a
Treviso. Avanti di questo passo andremo sulla Luna!».
«Non ne so
nulla, ma se è questo che ambisce l'uomo, faccia pure. Io, tanto, continuerò a
sfornare michette anche se dovessimo traslocare su una stella».
«Beh, la
possibilità di girare in treno è un'opportunità grandiosa, non credi?».
«Credo solo a
quello che vedo. E per il momento vedo solo che fa un gran caldo».
Il Marengo capì
che l'amico si stava spazientendo, ed evitò di sottoporlo a nuovi ragionamenti.
Arrivò, nel frattempo, la figlia di Domenico Carimati, grande amica dell'Agnese.
Voleva sapere dove fosse la compagna di giochi per poterla raggiungere e
trascorrere con lei la mattinata, come tante altre volte succedeva, al posto di
stare a casa a imparare a cucire o a fare da mangiare.
Il Carlo non fu
così entusiasta di vederla e le rispose sgarbatamente.
«Dove vuoi che
sia andata? Con questo caldo starà di sicuro lungo le rive del Molgora con le
solite assassine».
Usò proprio questo
termine che fece sobbalzare il Marengo; ma lo accompagnò con una strizzata
d'occhio che rimise tutto a posto.
«Beati loro che
trovano il tempo per rinfrescarsi nel torrente».
«Se ben ricordi
lo facevamo anche noi».
«Ricordo, ma io
non ho mai amato tuffarmi, ho sempre avuto un cattivo rapporto con l'acqua dei
fiumi».
I due amici si
salutarono, quando altre donne entrarono in negozio per rinfoltire la dispensa.
Il Marengo senza
alcuna fatica, era così riuscito a sapere dove sarebbe potuto andare per cercare
l'Agnese.
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