venerdì 9 maggio 2014

Ferragosto # 11


51.

9 agosto

Una nuova mattina si aprì all'insegna di un'estate ancora nel pieno del suo fragore, benché una specie di leggera nebbiolina coprisse l'orizzonte dei campi, predisponendo terra e uomini ai primi gorgoglii dell'autunno. Il sole appena sorto illuminava le strade e le viuzze di Burago, restituendogli il calore perso durante la notte. Il Marengo e il Boffalora avevano trascorso una notte tranquilla, e tutto sommato anche la perpetua e gli altri abitanti del paese avevano riposato bene. La scomparsa di don Filippo cominciava a essere metabolizzata, come uno dei tanti e tristi canti della vita.
La toilette del Marengo non era mai particolarmente veloce. Gli piaceva starsene le mezzore davanti allo specchio, elucubrando sul suo corpo, non per narcisismo o vanità, ma solo perché amava apparire pulito e presentabile. A livello inconscio c'era, probabilmente, il desiderio di staccarsi dalla plebaglia che lo circondava; sottolineava così la sua erudizione, la sua autorità, il suo distacco dal pressapochismo delle genti che affiancavano il suo cammino. Quando sentì bussare alla porta si stava ancora infilando le mutande e non fu così felice di ricevere visite. Pensò che potesse essere ancora la perpetua giunta fin lì per raccontargli di un nuovo incontro con il fantasma di don Filippo. Era invece Felice Galbiati, unico figlio della Piera Bosisio, fra le migliori sarte del paese.
«Qual buon vento ti porta dalle mie parti, ragazzo?», esordì il Marengo, come sempre gentile e disponibile verso i compaesani, anche in casi come questi in cui avrebbe voluto risolvere in pace i propri comodi.  
Il ragazzo si guardò intorno con fare circospetto, temendo che qualcuno lo potesse vedere. Era piuttosto agitato; l'uomo lo capì osservandogli uno strano tremore alle mani.
«Posso entrare?», sussurrò.
«Ma certo», disse il Marengo, senza remore, «c'è qualcosa che non va? Sta bene la mamma?».
«Noi tutto bene Marengo, ma c'è dell'altro…».
Temporeggiò.
«Credo di avere visto qualcosa a casa del prete».
Il Marengo tirò un respiro profondo e chiese al giovane se voleva qualcosa da bere.
Fece di no con il capo e andò avanti a parlare.
«Non ricordo quando è successo, forse un paio di mesi fa, forse era ancora primavera. Stavo bighellonando dalle parti della curia e per caso sentii delle persone che bisbigliavano fra loro. Non avevo interesse a sapere cosa stessero dicendo, ma volevo solo capire chi fossero. Stavano all'interno del giardinetto di don Filippo, e non avevano la più pallida idea ch'io fossi nei paraggi. Mi avvicinai alla siepe di bosso, che divide il verde del prete dal paese, e intravidi due persone che parlottavano con lui».
«Sai descrivermele?».
«Ricordo solo che mi erano sembrate persone malmesse, sgarbate, disgustose».
«Cosa c'era che non andava?».
«Sembravano dei poco di buono. I classici poco di buono, ha presente? Erano vestiti male, da balordi, forse erano anche armati. Intuii che non fossero dei veri amici del don, tuttavia non diedi molto peso alla faccenda. Me ne andai, dimenticandomi presto dell'accaduto. In fondo non avevo visto nulla di trascendentale».
Il Marengo fissò il ragazzo con grande attenzione.
«Sono contento che tu sia venuto a dirmi queste cose. Anche grazie al tuo contributo, i conti iniziano a tornare».
«In realtà, so di più».
«In che senso?».
«Più volte ho sentito menzionare cascina Branca».
«Scherzi?».
«Per niente».
«E' a Vimercate».
«Lo so benissimo».

52.

«Chi ne parlò?».
«Non saprei, ma non di certo il prete. Fu uno dei due. Quello con la voce più grossa».
Il Marengo dondolò il capo cercando di uscire dall'empasse.
«Un bel rebus. Ma, a questo punto, è lecito supporre che i due uomini c'entrino, in qualche modo, con la frazione di Vimercate».
Felice era d'accordo, ma non pronunciò parola, per non correre il rischio di dire qualche fesseria. Rimaneva un timidone, un po’ come il Galbusera, nonostante le raccomandazioni di mamma che lo spronavano a essere un po’ più intraprendente. Comprendeva, peraltro, che fosse un momento molto delicato, e non voleva rovinare tutto.
«Poi?».
«Me ne sono andato, non mi sembrava così importante. Certo, oggi valuterei quell'incontro in modo diverso».
Il Marengo non poté biasimarlo, constatando con soddisfazione che gran parte delle sue descrizioni combaciavano con quelle della perpetua.   
«Grazie Felice, mi sei stato molto utile», disse al ragazzo, strizzandogli l'occhio, già pronto a entrare in azione, «se ti viene in mente qualcos'altro corri a dirmelo, mi raccomando».
«Grazie a lei Marengo, speriamo di riuscire a scoprire quel che è davvero accaduto».
«Lo speriamo tutti».
Il Marengo accompagnò il giovane alla porta, ansioso di riprendere i suoi passi, ma anche orgoglioso di avere assolto il suo dovere e aver trovato il coraggio per rivelare tutto al saggio della comunità. Lo salutò con un mezzo inchino, e tornò a prepararsi pensando alla prossima inevitabile e quasi scontata mossa: organizzare una mini retata a cascina Branca.
A questo punto, pensò, tanto valeva verificare al più presto se sussistevano legami concreti fra i brutti ceffi che andavano a fare visita al prete e il piccolo distaccamento di Vimercate. Nessun dettaglio andava scartato. Restava solo da capire come svolgere l'incombenza senza dare troppo nell'occhio, e quali compaesani coinvolgere.
Cascina Branca sorgeva come un vecchio castello sul limitare di un antico contado, sulla vecchia ma ancora battutissima strada che conduceva a Ornago, non molto distante da Burago; lui stesso la percorreva spesso quando doveva andare ad acquistare qualche preparato del dottor Crippa, esperto erborista e medico di conclamata bravura.
Andò a chiamare il Brambillasca e il Boffalora - ancora nelle rispettive abitazioni, pronti per affrontare la nuova giornata - e gli spiegò la situazione; aggiungendo che, se volevano scoprire qualcosa, non c'era tempo da perdere.
«Non sarebbe il caso di portare qualcun altro con noi?», domandò il sindaco, con un ciuffo di capelli che non ne voleva sapere di acquietarsi.
«Giusto, non possiamo sapere quel che potrebbe accadere se i due sgherri dovessero avere cattive intenzioni», si preoccupò il medico del paese.
«Ma non abbiamo neanche la certezza che abitino a cascina Branca», precisò il Marengo, «e in ogni caso non compieremo alcuna mossa se non dopo avere interpellato il primo cittadino di Vimercate».
«Però converrebbe almeno portare con noi la perpetua o Felice», propose il Brambillasca, «anzi, mi sembra fondamentale, visto che sono gli unici due che potrebbero riconoscere i due tipi».
«Non fa una piega», disse il Boffalora.
«Andiamo a vedere se Felice è ancora in casa», tagliò corto il Marengo.
Trovarono il ragazzo nel pollaio, con il naso toppato dagli effluvi maleodoranti rilasciati da una vecchia mangiatoia piena di sterco di piccione. Si spaventò nel vedere i tre uomini del paese alle sue spalle, le tre più alte cariche del villaggio che lo fissavano irrequieti, come se avesse combinato qualche misfatto.
«Ciao Felice», esordì il Marengo, «te la sentiresti di venire con noi?».
Capì al volo quel che c'era sotto.
«Alla cascina?».
«Già».
Rimase titubante, rabbrividendo all'idea di finire coinvolto in qualche brutta sorpresa. Ma si rese anche conto che non aveva via d'uscita e che, arrivato fin lì, era forse arrivato il momento di dimostrare alla mamma tutto il suo valore.  
«D'accordo. Avverto i miei e arrivo».
Partirono in pompa magna per la cittadina antica, così chiamata perché in epoca romana era sede di un mercato famoso in tutta la regione. Percorsero la lunga via rettilinea che passava di fianco alla cascina San Paolo, e in poco meno di mezzora furono al cospetto del primo cittadino di Vimercate: Valerio Bosi.

53.
Il sindaco del paesone li accolse benevolmente nel suo studio a Palazzo Trotti, una vecchia costruzione risalente al Settecento, da sempre al centro dell'attività pubblica del villaggio. Anche se buona parte del caseggiato era ancora gestita e abitata dai proprietari originari, provenienti da un villaggio dell'alta Brianza.
Conosceva da tempo il Marengo, sapeva tutto della sua intelligenza e saggezza; e dunque non ebbe remore ad accoglierlo a braccia aperte, come si riceve un amico di vecchia data. 
«Chi si vede!», esordì con una gaiezza sfrontata, indicando, intanto, agli ospiti di accomodarsi sulle eleganti sedie ricoperte di velluto, che troneggiavano all'ingresso della stanza.
«Buongiorno Bosi», disse, severo, il Marengo, «come andiamo?».
«Non ci possiamo lamentare. Di questi tempi, è calma piatta. Anche se i contadini iniziano a scalpitare».
«L'estate in corso ci sta facendo penare».
«Se non si mette a piovere ne vedremo delle belle».
«La gente ha troppa paura della fame, non si può biasimare».
«Eh già, può dirlo ben forte. Ma mi dica, qual buon vento la porta dalle mie parti?».
Il Marengo sospirò addolorato.  
«Non se la prenda a male, ma non avremmo mai voluto essere qui».
Il sindaco fece una faccia buffa.
«Oh diamine, che succede di tanto grave?».
«Avrete saputo la notizia».
«Di don Filippo».
«Appunto».
«Un'immane tragedia. Ma non ne so granché. Forse voi sapete dirmi qualcosa di più?».
«Siamo qui proprio per questo».
Sul volto del Bosi si scolpì un'espressione di grande meraviglia; parlavano di Burago, cosa poteva c'entrare Vimercate con tutta questa faccenda?
«So che si starà già chiedendo il nesso fra la morte di don Filippo e il vostro paese; ma è proprio questo il punto».
«Suvvia Marengo, non mi tenga sulle spine, arriviamo al dunque».
«Non possiamo saperlo con certezza. Ma vari indizi sull'assassino, o gli assassini, ci portano al vostro paese», proclamò il Marengo.
Il Bosi deglutì amaramente, incredulo di fronte a una simile supposizione.
«Ma non è stato trovato annegato nel laghetto?».
«Beh, sì, ma le cose sono cambiate, Bosi. Don Filippo non si è ammazzato».
«E allora?».
«Don Filippo è stato assassinato».
Il Bosi si alzò dalla sedia e si appoggiò stancamente alla scrivania, alzando gli occhi al soffitto in segno di resa. A questo punto non ci capiva più niente.
«Signori, comprendo la vostra angoscia, ma qui don Filippo non veniva mai, se non per dire qualche messa una o due volte all'anno. Come potete pensare che la sua morte possa essere ricondotta a noi?».  
Il Marengo indicò il giovane al suo fianco, teso come una corda di violino.
«Felice».
«Dica».
«Te la senti di raccontare al sindaco ciò che hai visto e sentito?».
Il ragazzo deglutì imbarazzato, ma al tempo stesso orgoglioso di potere dire la sua e poter vivere in prima persona un momento tanto importante, fra le persone più in vista del circondario. Disse sì con un timido cenno del capo.
«Ecco… un giorno mi ritrovai a passare per caso dalla curia e vidi don Filippo chiacchierare con due persone, persone strane, che non avevo mai visto in vita mia, tutt'altro che piacevoli da vedere e sentire. Non credo che fossero amici del prete, perché il loro tono era sgarbato e… ostile. Insomma, il tono della loro voce… mi lasciò intendere che ce l'avessero proprio con lui».
«Con don Filippo?».
«Esattamente».
«Poi, all'improvviso, ho sentito menzionare cascina Branca. Non so per quale motivo, non so nemmeno a cosa alludessero, ma ricordo che mi rimase impresso il nome della cascina, che anch'io conosco molto bene, perché da piccoli ci andavamo per vedere chi riusciva a spingersi da solo più lontano da casa».
«Cascina Branca», ripeté il sindaco di Vimercate, «sulla vecchia strada per Ornago».
«Proprio così», disse il medico di Burago, compiacendosi del suo primo intervento, «a due passi dal nostro villaggio».
«Che lei sappia, a cascina Branca c'è qualcosa di strano, o abitano personaggi poco raccomandabili?», chiese il Marengo.
Il Bosi alzò le spalle. 
«Cascina Branca, certo, non è mai stato un bel posto, lo saprete anche voi… ma è un bel po’ che non bazzico più da quelle parti. So che in passato viveva lì l'Enrico Tricudai».
Sentendo questo nome i presenti percepirono un brivido freddo lungo la schiena.

54.

«Il Tricudai veniva da lì?», chiese il Boffalora, giunto nel buraghese più tardi degli altri e non al corrente di tanti trascorsi.
«Ha sempre abitato lì», disse il Bosi, «anche quando aveva già fatto fuori un paio di persone».
«Alla fine, però, hanno fatto fuori lui», disse il Brambillasca.
«Che fine ha fatto?», chiese con un po’ di soggezione Felice.
Il Marengo respirò profondamente.
«Nessuno ha mai saputo come andarono le cose. Si sa solo che lo trovarono senza vita in un cascinotto dalle parti di Roncello».
«Con il cranio fracassato», precisò il Bosi.
Felice tremò di paura e si ritrovò all'improvviso con la gola riarsa. Aveva sempre odiato i racconti troppo cruenti e l'idea del sangue non poteva sopportarla.
Il Marengo comprese la sua sensibilità e cercò di rasserenarlo.
«Ma adesso non c'è più, quindi possiamo stare tranquilli», gli disse.
«Al suo posto, però, potrebbero essercene degli altri», squillò il Brambillasca, mandando a repentaglio il buon proposito dell'amico.  
Lo guardarono stupiti, a dir poco sgomenti di fronte all'ipotesi di potersi trovare un giorno di fronte a figure assimilabili al famigerato Tricudai.
«In ogni caso, signori, converrete con me che abbiamo un solo modo per fare luce sulla vicenda», incalzò il Bosi, ormai definitivamente coinvolto nel mistero della scomparsa di don Filippo.
Tutti lo fissarono come si obbedisce a un capobanda, avendo in parte già intuito il succo dell'imminente intervento.
«Non abbiamo altra scelta se non quella di andare là a fare un giro».
«Era quello che avevamo in mente anche noi», disse il Marengo, «ma prima ci è sembrato giusto coinvolgere anche lei, e la ringraziamo per la sua disponibilità».
Il sindaco di Vimercate e i quattro di Burago non sprecarono altro tempo e, a mo' di un improvvisato mini reggimento, ansioso di combattere e sconfiggere il nemico, si misero in marcia verso la periferia della cittadina.
Non ci misero molto a scorgere all'orizzonte la sagoma disarticolata della cascina, frutto dei numerosi interventi architettonici succedutesi negli anni, del tutto indifferenti alla bellezza artistica. Zittirono fino all'ingresso del portone principale, ben spalancato in quel momento della giornata.
«Buongiorno signora», esordì il sindaco di Vimercate incontrando Genoveffa Biraghi, che abitava la prima casa del piccolo conglomerato; una donna tuttofare, che raramente amava chiacchierare con chi non vedeva mai.
La donna guardò sottecchi i cinque visitatori, temendo che qualche strana richiesta avrebbe potuto metterla in difficoltà, benché non avesse nulla da nascondere e avesse sempre regolarizzato i suoi conti con il contado.
«Buongiorno sindaco, buongiorno signori».
«Come vanno le cose in cascina?».
«Non andiamo male, anche se potremmo stare meglio, e voi?».
«Anche noi non ci lamentiamo».
Risero tiepidamente.  
«Bene, bontà divina, speriamo allora che possa andare avanti così. Ci vorrebbe un po’ di pioggia, quello sì, i campi hanno sete».
Il Bosi cambiò discorso.
«Dica signora, ha per caso visto qualcosa di strano in cascina negli ultimi tempi?».
La Biraghi si insospettì.
«In che senso?».
«Movimenti strani, persone strane».
«Qui in cascina sa anche lei come vanno le cose. Viviamo dei nostri raccolti e del nostro pollame. Non c'è mai niente di cui parlare. E ogni famiglia si fa i fatti propri. Non saprei proprio cosa dirvi. Ma perché me lo chiedete?».
«E' successa una brutta cosa e…».
«Cosa?», domandò la donna spaventata, appoggiando a terra i secchi vuoti che stava trasportando dalle parti del fienile.
«Glielo diremo, ma ora è necessario sapere se qui abita qualche malintenzionato».
«Oddio», fece la donna, sempre più scombuiata, «non credo, non direi, lo sa bene anche lei sindaco, siamo solo contadini… siamo tutti contadini».

55.

Il Marengo si guardò intorno pervaso da uno strano presentimento. Qualcosa non quadrava, ma non capiva da dove arrivasse quest'ambigua percezione. Finché il suo sguardo non inciampò in una specie di dependance leggermente distaccata dal corpo centrale, apparentemente in disaccordo con la vetustà del posto. Avrebbe potuto giurarlo: fino a poco tempo prima quella costruzione sfarzosa non c'era, o almeno, originariamente non era così.
«Ma i contadini non abitano case tanto belle», disse rivolgendosi alla Genoveffa.
«Ah, quella», fece la donna meravigliata, «avete ragione, ma noi la consideriamo esterna alla cascina».
«Eppure è perfettamente allineata con i fienili», puntualizzò il Bosi.
«Il problema è che, da quando sono arrivati, fanno quello che vogliono, convinti che, avendo due soldi in più, possano comportarsi da padroni».
«Scusi, ma a chi si riferisce?», domandò il Bosi.
«Ai fratelli Greppi… e chi sennò?».
«Chi?», incalzò il Boffalora.
«Vi ricordate l'Antonio Smargiassi?».
Era un vecchio nato sul finire del Settecento, noto in cascina fino a trent'anni prima, per via del suo terribile carattere autoritario e per certe sue condotte poco ortodosse nei riguardi delle donne che trattava come schiave.
«L'Antonio, e chi non lo ricorda? Se non sbaglio viveva qui anche il Tricudai», disse il Marengo.
«Di quello è meglio non parlarne. In ogni caso, i fratelli Greppi sono i nipoti dello Smargiassi, i figli della sorella. Lei è morta e loro sono venuti qui, sapendo dell'abitazione libera dello zio. Non si è mai saputo il perché, avrebbero potuto vendere tutto e andare altrove… loro, certo, non raccontano nulla. Arrivano, passano e se ne vanno senza nemmeno salutare».
«Avrei dovuto saperlo che nuovi inquilini s'erano aggiunti alla cascina», disse il sindaco.
«Gliel'ho detto, fanno quello che vogliono e comunque non tocca a noi controllare chi va e chi viene».
Il Bosi tirò un respiro profondo e con un gesto del capo invitò la compagine a seguirlo.
«Ci tocca proprio?», mugugnò il Brambillasca.
Trovarono i due fratelli nel retro della dependance, intenti a cincischiare fra loro, con il solito burbero vocio che Felice riconobbe subito.
«Sono loro, non ho dubbi».
Il Marengo gli diede una pacca sulle spalle.
«Chiedo scusa», disse il sindaco di Vimercate, picchiettando su una specie di cartello corroso dalla ruggine con una scritta indecifrabile, appiccicato a un tronco rinsecchito.
I Greppi non si scomposero.
«Chi è?», domandò il più vecchio dei due.
«Sono il sindaco».
«Sindaco! Finalmente abbiamo il piacere di conoscerla, la prego, si faccia avanti. Che bella sorpresa!».
I nuovi arrivati guadagnarono metri e circondarono il duo.
«Abbiamo da bere per ognuno di voi, se lo desiderate», proseguirono i Greppi, ostentando una contentezza equivoca.
«Vi ringraziamo ma non siamo qui per questo», disse il Bosi, «piuttosto avrei dovuto sapere che cascina Branca ospita nuovi vimercatesi».
«Non siamo ancora venuti in comune perché abbiamo avuto da fare, ma lo faremo quanto prima. Nostra intenzione è, infatti, trasferirci definitivamente qui, posto amato dal nostro vecchio zio e… al più presto, vedrete, verremo a sistemare ogni pratica amministrativa: siamo gente per bene noi Greppi».
«Non lo mettiamo in dubbio», proseguì con una punta di ironia il Bosi.
«Sappiamo peraltro che eravate amici di don Filippo», andò subito al dunque il Marengo. 
I Greppi sorrisero laconicamente.  
«Certo, è un bravo prete», fece il più giovane, «un ottimo servo del Signore».
«Era», disse il Brambillasca.
«Era?», domandò il più vecchio.
«Non sapete che è morto?», domando il Bosi.
«Morto?», chiesero il coro i due fratelli.
«Annegato», confermò il sindaco di Vimercate.
I Greppi sbalordirono, dando la sincera impressione di non sapere minimamente di cosa stessero parlando.
«State scherzando? Come può essere avvenuta una tragedia del genere?», domandò il più anziano.

«E' quello che stiamo cercando di capire. E che voi potreste aiutarci a capire», disse il sindaco di Vimercate. «Se eravate così amici di don Filippo, possibile che non vi abbia mai confidato qualche segreto?».  

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