51.
9 agosto
Una nuova
mattina si aprì all'insegna di un'estate ancora nel pieno del suo fragore,
benché una specie di leggera nebbiolina coprisse l'orizzonte dei campi,
predisponendo terra e uomini ai primi gorgoglii dell'autunno. Il sole appena
sorto illuminava le strade e le viuzze di Burago, restituendogli il calore
perso durante la notte. Il Marengo e il Boffalora avevano trascorso una notte
tranquilla, e tutto sommato anche la perpetua e gli altri abitanti del paese
avevano riposato bene. La scomparsa di don Filippo cominciava a essere
metabolizzata, come uno dei tanti e tristi canti della vita.
La toilette del
Marengo non era mai particolarmente veloce. Gli piaceva starsene le mezzore
davanti allo specchio, elucubrando sul suo corpo, non per narcisismo o vanità,
ma solo perché amava apparire pulito e presentabile. A livello inconscio c'era,
probabilmente, il desiderio di staccarsi dalla plebaglia che lo circondava;
sottolineava così la sua erudizione, la sua autorità, il suo distacco dal
pressapochismo delle genti che affiancavano il suo cammino. Quando sentì
bussare alla porta si stava ancora infilando le mutande e non fu così felice di
ricevere visite. Pensò che potesse essere ancora la perpetua giunta fin lì per
raccontargli di un nuovo incontro con il fantasma di don Filippo. Era invece
Felice Galbiati, unico figlio della Piera Bosisio, fra le migliori sarte del
paese.
«Qual buon vento
ti porta dalle mie parti, ragazzo?», esordì il Marengo, come sempre gentile e
disponibile verso i compaesani, anche in casi come questi in cui avrebbe voluto
risolvere in pace i propri comodi.
Il ragazzo si
guardò intorno con fare circospetto, temendo che qualcuno lo potesse vedere.
Era piuttosto agitato; l'uomo lo capì osservandogli uno strano tremore alle
mani.
«Posso
entrare?», sussurrò.
«Ma certo», disse
il Marengo, senza remore, «c'è qualcosa che non va? Sta bene la mamma?».
«Noi tutto bene
Marengo, ma c'è dell'altro…».
Temporeggiò.
«Credo di avere
visto qualcosa a casa del prete».
Il Marengo tirò
un respiro profondo e chiese al giovane se voleva qualcosa da bere.
Fece di no con
il capo e andò avanti a parlare.
«Non ricordo
quando è successo, forse un paio di mesi fa, forse era ancora primavera. Stavo
bighellonando dalle parti della curia e per caso sentii delle persone che
bisbigliavano fra loro. Non avevo interesse a sapere cosa stessero dicendo, ma
volevo solo capire chi fossero. Stavano all'interno del giardinetto di don
Filippo, e non avevano la più pallida idea ch'io fossi nei paraggi. Mi
avvicinai alla siepe di bosso, che divide il verde del prete dal paese, e
intravidi due persone che parlottavano con lui».
«Sai
descrivermele?».
«Ricordo solo
che mi erano sembrate persone malmesse, sgarbate, disgustose».
«Cosa c'era che
non andava?».
«Sembravano dei
poco di buono. I classici poco di buono, ha presente? Erano vestiti male, da
balordi, forse erano anche armati. Intuii che non fossero dei veri amici del
don, tuttavia non diedi molto peso alla faccenda. Me ne andai, dimenticandomi
presto dell'accaduto. In fondo non avevo visto nulla di trascendentale».
Il Marengo fissò
il ragazzo con grande attenzione.
«Sono contento
che tu sia venuto a dirmi queste cose. Anche grazie al tuo contributo, i conti
iniziano a tornare».
«In realtà, so
di più».
«In che senso?».
«Più volte ho
sentito menzionare cascina Branca».
«Scherzi?».
«Per niente».
«E' a
Vimercate».
«Lo so
benissimo».
52.
«Chi ne parlò?».
«Non saprei, ma
non di certo il prete. Fu uno dei due. Quello con la voce più grossa».
Il Marengo
dondolò il capo cercando di uscire dall'empasse.
«Un bel rebus.
Ma, a questo punto, è lecito supporre che i due uomini c'entrino, in qualche
modo, con la frazione di Vimercate».
Felice era
d'accordo, ma non pronunciò parola, per non correre il rischio di dire qualche
fesseria. Rimaneva un timidone, un po’ come il Galbusera, nonostante le
raccomandazioni di mamma che lo spronavano a essere un po’ più intraprendente. Comprendeva,
peraltro, che fosse un momento molto delicato, e non voleva rovinare tutto.
«Poi?».
«Me ne sono
andato, non mi sembrava così importante. Certo, oggi valuterei quell'incontro
in modo diverso».
Il Marengo non
poté biasimarlo, constatando con soddisfazione che gran parte delle sue
descrizioni combaciavano con quelle della perpetua.
«Grazie Felice,
mi sei stato molto utile», disse al ragazzo, strizzandogli l'occhio, già pronto
a entrare in azione, «se ti viene in mente qualcos'altro corri a dirmelo, mi
raccomando».
«Grazie a lei
Marengo, speriamo di riuscire a scoprire quel che è davvero accaduto».
«Lo speriamo
tutti».
Il Marengo
accompagnò il giovane alla porta, ansioso di riprendere i suoi passi, ma anche
orgoglioso di avere assolto il suo dovere e aver trovato il coraggio per
rivelare tutto al saggio della comunità. Lo salutò con un mezzo inchino, e
tornò a prepararsi pensando alla prossima inevitabile e quasi scontata mossa: organizzare
una mini retata a cascina Branca.
A questo punto,
pensò, tanto valeva verificare al più presto se sussistevano legami concreti
fra i brutti ceffi che andavano a fare visita al prete e il piccolo
distaccamento di Vimercate. Nessun dettaglio andava scartato. Restava solo da
capire come svolgere l'incombenza senza dare troppo nell'occhio, e quali
compaesani coinvolgere.
Cascina Branca
sorgeva come un vecchio castello sul limitare di un antico contado, sulla
vecchia ma ancora battutissima strada che conduceva a Ornago, non molto
distante da Burago; lui stesso la percorreva spesso quando doveva andare ad
acquistare qualche preparato del dottor Crippa, esperto erborista e medico di
conclamata bravura.
Andò a chiamare il
Brambillasca e il Boffalora - ancora nelle rispettive abitazioni, pronti per affrontare
la nuova giornata - e gli spiegò la situazione; aggiungendo che, se volevano
scoprire qualcosa, non c'era tempo da perdere.
«Non sarebbe il
caso di portare qualcun altro con noi?», domandò il sindaco, con un ciuffo di
capelli che non ne voleva sapere di acquietarsi.
«Giusto, non
possiamo sapere quel che potrebbe accadere se i due sgherri dovessero avere
cattive intenzioni», si preoccupò il medico del paese.
«Ma non abbiamo
neanche la certezza che abitino a cascina Branca», precisò il Marengo, «e in
ogni caso non compieremo alcuna mossa se non dopo avere interpellato il primo
cittadino di Vimercate».
«Però
converrebbe almeno portare con noi la perpetua o Felice», propose il
Brambillasca, «anzi, mi sembra fondamentale, visto che sono gli unici due che
potrebbero riconoscere i due tipi».
«Non fa una
piega», disse il Boffalora.
«Andiamo a
vedere se Felice è ancora in casa», tagliò corto il Marengo.
Trovarono il
ragazzo nel pollaio, con il naso toppato dagli effluvi maleodoranti rilasciati
da una vecchia mangiatoia piena di sterco di piccione. Si spaventò nel vedere i
tre uomini del paese alle sue spalle, le tre più alte cariche del villaggio che
lo fissavano irrequieti, come se avesse combinato qualche misfatto.
«Ciao Felice»,
esordì il Marengo, «te la sentiresti di venire con noi?».
Capì al volo
quel che c'era sotto.
«Alla cascina?».
«Già».
Rimase
titubante, rabbrividendo all'idea di finire coinvolto in qualche brutta
sorpresa. Ma si rese anche conto che non aveva via d'uscita e che, arrivato fin
lì, era forse arrivato il momento di dimostrare alla mamma tutto il suo valore.
«D'accordo. Avverto
i miei e arrivo».
Partirono in
pompa magna per la cittadina antica, così chiamata perché in epoca romana era sede
di un mercato famoso in tutta la regione. Percorsero la lunga via rettilinea
che passava di fianco alla cascina San Paolo, e in poco meno di mezzora furono
al cospetto del primo cittadino di Vimercate: Valerio Bosi.
53.
Il sindaco del
paesone li accolse benevolmente nel suo studio a Palazzo Trotti, una vecchia
costruzione risalente al Settecento, da sempre al centro dell'attività pubblica
del villaggio. Anche se buona parte del caseggiato era ancora gestita e abitata
dai proprietari originari, provenienti da un villaggio dell'alta Brianza.
Conosceva da
tempo il Marengo, sapeva tutto della sua intelligenza e saggezza; e dunque non
ebbe remore ad accoglierlo a braccia aperte, come si riceve un amico di vecchia
data.
«Chi si vede!»,
esordì con una gaiezza sfrontata, indicando, intanto, agli ospiti di
accomodarsi sulle eleganti sedie ricoperte di velluto, che troneggiavano all'ingresso
della stanza.
«Buongiorno
Bosi», disse, severo, il Marengo, «come andiamo?».
«Non ci possiamo
lamentare. Di questi tempi, è calma piatta. Anche se i contadini iniziano a
scalpitare».
«L'estate in
corso ci sta facendo penare».
«Se non si mette
a piovere ne vedremo delle belle».
«La gente ha
troppa paura della fame, non si può biasimare».
«Eh già, può
dirlo ben forte. Ma mi dica, qual buon vento la porta dalle mie parti?».
Il Marengo
sospirò addolorato.
«Non se la
prenda a male, ma non avremmo mai voluto essere qui».
Il sindaco fece
una faccia buffa.
«Oh diamine, che
succede di tanto grave?».
«Avrete saputo
la notizia».
«Di don
Filippo».
«Appunto».
«Un'immane
tragedia. Ma non ne so granché. Forse voi sapete dirmi qualcosa di più?».
«Siamo qui
proprio per questo».
Sul volto del
Bosi si scolpì un'espressione di grande meraviglia; parlavano di Burago, cosa
poteva c'entrare Vimercate con tutta questa faccenda?
«So che si starà
già chiedendo il nesso fra la morte di don Filippo e il vostro paese; ma è
proprio questo il punto».
«Suvvia Marengo,
non mi tenga sulle spine, arriviamo al dunque».
«Non possiamo
saperlo con certezza. Ma vari indizi sull'assassino, o gli assassini, ci
portano al vostro paese», proclamò il Marengo.
Il Bosi deglutì
amaramente, incredulo di fronte a una simile supposizione.
«Ma non è stato
trovato annegato nel laghetto?».
«Beh, sì, ma le
cose sono cambiate, Bosi. Don Filippo non si è ammazzato».
«E allora?».
«Don Filippo è
stato assassinato».
Il Bosi si alzò
dalla sedia e si appoggiò stancamente alla scrivania, alzando gli occhi al
soffitto in segno di resa. A questo punto non ci capiva più niente.
«Signori,
comprendo la vostra angoscia, ma qui don Filippo non veniva mai, se non per
dire qualche messa una o due volte all'anno. Come potete pensare che la sua
morte possa essere ricondotta a noi?».
Il Marengo indicò
il giovane al suo fianco, teso come una corda di violino.
«Felice».
«Dica».
«Te la senti di raccontare
al sindaco ciò che hai visto e sentito?».
Il ragazzo deglutì
imbarazzato, ma al tempo stesso orgoglioso di potere dire la sua e poter vivere
in prima persona un momento tanto importante, fra le persone più in vista del
circondario. Disse sì con un timido cenno del capo.
«Ecco… un giorno
mi ritrovai a passare per caso dalla curia e vidi don Filippo chiacchierare con
due persone, persone strane, che non avevo mai visto in vita mia, tutt'altro
che piacevoli da vedere e sentire. Non credo che fossero amici del prete,
perché il loro tono era sgarbato e… ostile. Insomma, il tono della loro voce… mi
lasciò intendere che ce l'avessero proprio con lui».
«Con don Filippo?».
«Esattamente».
«Poi,
all'improvviso, ho sentito menzionare cascina Branca. Non so per quale motivo,
non so nemmeno a cosa alludessero, ma ricordo che mi rimase impresso il nome
della cascina, che anch'io conosco molto bene, perché da piccoli ci andavamo
per vedere chi riusciva a spingersi da solo più lontano da casa».
«Cascina Branca»,
ripeté il sindaco di Vimercate, «sulla vecchia strada per Ornago».
«Proprio così»,
disse il medico di Burago, compiacendosi del suo primo intervento, «a due passi
dal nostro villaggio».
«Che lei sappia,
a cascina Branca c'è qualcosa di strano, o abitano personaggi poco
raccomandabili?», chiese il Marengo.
Il Bosi alzò le
spalle.
«Cascina Branca,
certo, non è mai stato un bel posto, lo saprete anche voi… ma è un bel po’ che
non bazzico più da quelle parti. So che in passato viveva lì l'Enrico
Tricudai».
Sentendo questo
nome i presenti percepirono un brivido freddo lungo la schiena.
54.
«Il Tricudai
veniva da lì?», chiese il Boffalora, giunto nel buraghese più tardi degli altri
e non al corrente di tanti trascorsi.
«Ha sempre
abitato lì», disse il Bosi, «anche quando aveva già fatto fuori un paio di
persone».
«Alla fine,
però, hanno fatto fuori lui», disse il Brambillasca.
«Che fine ha
fatto?», chiese con un po’ di soggezione Felice.
Il Marengo
respirò profondamente.
«Nessuno ha mai
saputo come andarono le cose. Si sa solo che lo trovarono senza vita in un
cascinotto dalle parti di Roncello».
«Con il cranio
fracassato», precisò il Bosi.
Felice tremò di
paura e si ritrovò all'improvviso con la gola riarsa. Aveva sempre odiato i racconti
troppo cruenti e l'idea del sangue non poteva sopportarla.
Il Marengo
comprese la sua sensibilità e cercò di rasserenarlo.
«Ma adesso non
c'è più, quindi possiamo stare tranquilli», gli disse.
«Al suo posto,
però, potrebbero essercene degli altri», squillò il Brambillasca, mandando a
repentaglio il buon proposito dell'amico.
Lo guardarono
stupiti, a dir poco sgomenti di fronte all'ipotesi di potersi trovare un giorno
di fronte a figure assimilabili al famigerato Tricudai.
«In ogni caso,
signori, converrete con me che abbiamo un solo modo per fare luce sulla
vicenda», incalzò il Bosi, ormai definitivamente coinvolto nel mistero della
scomparsa di don Filippo.
Tutti lo
fissarono come si obbedisce a un capobanda, avendo in parte già intuito il
succo dell'imminente intervento.
«Non abbiamo
altra scelta se non quella di andare là a fare un giro».
«Era quello che
avevamo in mente anche noi», disse il Marengo, «ma prima ci è sembrato giusto
coinvolgere anche lei, e la ringraziamo per la sua disponibilità».
Il sindaco di Vimercate
e i quattro di Burago non sprecarono altro tempo e, a mo' di un improvvisato
mini reggimento, ansioso di combattere e sconfiggere il nemico, si misero in
marcia verso la periferia della cittadina.
Non ci misero
molto a scorgere all'orizzonte la sagoma disarticolata della cascina, frutto
dei numerosi interventi architettonici succedutesi negli anni, del tutto
indifferenti alla bellezza artistica. Zittirono fino all'ingresso del portone
principale, ben spalancato in quel momento della giornata.
«Buongiorno
signora», esordì il sindaco di Vimercate incontrando Genoveffa Biraghi, che
abitava la prima casa del piccolo conglomerato; una donna tuttofare, che
raramente amava chiacchierare con chi non vedeva mai.
La donna guardò
sottecchi i cinque visitatori, temendo che qualche strana richiesta avrebbe
potuto metterla in difficoltà, benché non avesse nulla da nascondere e avesse
sempre regolarizzato i suoi conti con il contado.
«Buongiorno
sindaco, buongiorno signori».
«Come vanno le
cose in cascina?».
«Non andiamo
male, anche se potremmo stare meglio, e voi?».
«Anche noi non
ci lamentiamo».
Risero tiepidamente.
«Bene, bontà
divina, speriamo allora che possa andare avanti così. Ci vorrebbe un po’ di
pioggia, quello sì, i campi hanno sete».
Il Bosi cambiò
discorso.
«Dica signora,
ha per caso visto qualcosa di strano in cascina negli ultimi tempi?».
La Biraghi si
insospettì.
«In che senso?».
«Movimenti
strani, persone strane».
«Qui in cascina
sa anche lei come vanno le cose. Viviamo dei nostri raccolti e del nostro
pollame. Non c'è mai niente di cui parlare. E ogni famiglia si fa i fatti
propri. Non saprei proprio cosa dirvi. Ma perché me lo chiedete?».
«E' successa una
brutta cosa e…».
«Cosa?», domandò
la donna spaventata, appoggiando a terra i secchi vuoti che stava trasportando
dalle parti del fienile.
«Glielo diremo,
ma ora è necessario sapere se qui abita qualche malintenzionato».
«Oddio», fece la
donna, sempre più scombuiata, «non credo, non direi, lo sa bene anche lei
sindaco, siamo solo contadini… siamo tutti contadini».
55.
Il Marengo si
guardò intorno pervaso da uno strano presentimento. Qualcosa non quadrava, ma
non capiva da dove arrivasse quest'ambigua percezione. Finché il suo sguardo
non inciampò in una specie di dependance leggermente distaccata dal corpo
centrale, apparentemente in disaccordo con la vetustà del posto. Avrebbe potuto
giurarlo: fino a poco tempo prima quella costruzione sfarzosa non c'era, o
almeno, originariamente non era così.
«Ma i contadini
non abitano case tanto belle», disse rivolgendosi alla Genoveffa.
«Ah, quella»,
fece la donna meravigliata, «avete ragione, ma noi la consideriamo esterna alla
cascina».
«Eppure è
perfettamente allineata con i fienili», puntualizzò il Bosi.
«Il problema è
che, da quando sono arrivati, fanno quello che vogliono, convinti che, avendo
due soldi in più, possano comportarsi da padroni».
«Scusi, ma a chi
si riferisce?», domandò il Bosi.
«Ai fratelli
Greppi… e chi sennò?».
«Chi?», incalzò il
Boffalora.
«Vi ricordate l'Antonio
Smargiassi?».
Era un vecchio
nato sul finire del Settecento, noto in cascina fino a trent'anni prima, per
via del suo terribile carattere autoritario e per certe sue condotte poco
ortodosse nei riguardi delle donne che trattava come schiave.
«L'Antonio, e
chi non lo ricorda? Se non sbaglio viveva qui anche il Tricudai», disse il
Marengo.
«Di quello è
meglio non parlarne. In ogni caso, i fratelli Greppi sono i nipoti dello
Smargiassi, i figli della sorella. Lei è morta e loro sono venuti qui, sapendo
dell'abitazione libera dello zio. Non si è mai saputo il perché, avrebbero
potuto vendere tutto e andare altrove… loro, certo, non raccontano nulla.
Arrivano, passano e se ne vanno senza nemmeno salutare».
«Avrei dovuto
saperlo che nuovi inquilini s'erano aggiunti alla cascina», disse il sindaco.
«Gliel'ho detto,
fanno quello che vogliono e comunque non tocca a noi controllare chi va e chi
viene».
Il Bosi tirò un
respiro profondo e con un gesto del capo invitò la compagine a seguirlo.
«Ci tocca
proprio?», mugugnò il Brambillasca.
Trovarono i due
fratelli nel retro della dependance, intenti a cincischiare fra loro, con il
solito burbero vocio che Felice riconobbe subito.
«Sono loro, non
ho dubbi».
Il Marengo gli
diede una pacca sulle spalle.
«Chiedo scusa»,
disse il sindaco di Vimercate, picchiettando su una specie di cartello corroso
dalla ruggine con una scritta indecifrabile, appiccicato a un tronco
rinsecchito.
I Greppi non si
scomposero.
«Chi è?»,
domandò il più vecchio dei due.
«Sono il
sindaco».
«Sindaco!
Finalmente abbiamo il piacere di conoscerla, la prego, si faccia avanti. Che
bella sorpresa!».
I nuovi arrivati
guadagnarono metri e circondarono il duo.
«Abbiamo da bere
per ognuno di voi, se lo desiderate», proseguirono i Greppi, ostentando una
contentezza equivoca.
«Vi ringraziamo
ma non siamo qui per questo», disse il Bosi, «piuttosto avrei dovuto sapere che
cascina Branca ospita nuovi vimercatesi».
«Non siamo
ancora venuti in comune perché abbiamo avuto da fare, ma lo faremo quanto
prima. Nostra intenzione è, infatti, trasferirci definitivamente qui, posto
amato dal nostro vecchio zio e… al più presto, vedrete, verremo a sistemare
ogni pratica amministrativa: siamo gente per bene noi Greppi».
«Non lo mettiamo
in dubbio», proseguì con una punta di ironia il Bosi.
«Sappiamo peraltro
che eravate amici di don Filippo», andò subito al dunque il Marengo.
I Greppi sorrisero
laconicamente.
«Certo, è un bravo
prete», fece il più giovane, «un ottimo servo del Signore».
«Era», disse il
Brambillasca.
«Era?», domandò
il più vecchio.
«Non sapete che
è morto?», domando il Bosi.
«Morto?»,
chiesero il coro i due fratelli.
«Annegato»,
confermò il sindaco di Vimercate.
I Greppi
sbalordirono, dando la sincera impressione di non sapere minimamente di cosa
stessero parlando.
«State
scherzando? Come può essere avvenuta una tragedia del genere?», domandò il più
anziano.
«E' quello che
stiamo cercando di capire. E che voi potreste aiutarci a capire», disse il
sindaco di Vimercate. «Se eravate così amici di don Filippo, possibile che non
vi abbia mai confidato qualche segreto?».
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