lunedì 28 aprile 2014

Ferragosto # 10


46.

«Perpetua! Perpetua!».
La donna stava ancora riposando, benché il sole fosse già alto da un po’. La rocambolesca notte l'aveva tenuta sveglia più del previsto e il suo orologio biologico era andato a farsi friggere. La stava chiamando una voce maschile.
«Perpetua!», sentì di nuovo gridare.
Chi la cercava così insistentemente, pensò alla rinfusa, doveva avere davvero qualcosa d'importante da dirle, visto che non era mai capitato che qualcuno la tirasse giù dal letto così presto.
«Arrivo, arrivo», gridò.
Si affacciò alla finestra e vide un nugolo di paesani ai suoi piedi. Notò Giovanni Galbusera, Ferdinando Sala, Dante Cereda, fra tantissime donne e donnine petulanti. Si prese un colpo.
«Che diavolo è successo ancora?».
«Niente perpetua», anticipò tutti il Giannino, eravamo preoccupati per non averla ancora vista uscire.
«Perché, che ore sono?».
«E' già quasi mezzogiorno», disse la Lina Gervasoni, «per un attimo abbiamo creduto che si stesse ripetendo la scena dell'altra mattina».
La perpetua sbigottì, stralunata, e per un attimo provò vergogna: non le era mai successo di svegliarsi così tardi. E non poté crederci finché non fece caso alle ombre che calavano quasi perpendicolarmente di fronte al suo naso allungato.
«Non badate a me, tornate alle vostre faccende, io sto benissimo».
In effetti, rispetto al giorno prima, si sentiva molto meglio. Anche se, in un certo senso, le pareva di vivere ancora fuori dalla realtà e di non sapere bene che tipo di sensazioni stesse provando. Erano un crogiolo confuso di umori che, di volta in volta, prendevano voli diversi; disperazione e speranza si alternavano come onde sulla battigia sospinte da un forte vento. In certi momenti le veniva addirittura da ridere, pur comprendendo che fosse solo per isterismo e non certo per la gioia inerente qualche bella novità.  
«Andate, andate», bofonchiò rabbiosamente.
La folla si dissolse. Gli uomini tornarono al lavoro nei campi, le donne alle faccende di casa. Il Giannino e l'Ambrogino rimasero per qualche istante a cincischiare fra loro, convinti che ormai ci fosse ben poco da fare per risolvere il caso. Gli passò di fianco la Lina Gervasoni, che sorrise spregiudicatamente facendoli arrossire.
Rimasero al cospetto della serva del prete soltanto la Cesira e la Maria Casiraghi, convinte che la perpetua potesse avere bisogno del loro aiuto e forse, inconsciamente, per ottenere materiale nuovo su cui pettegolare l'indomani.
«Ancora voi?», domandò trovandole sulla porta di casa, dopo aver sentito bussare con forza.
«Don Filippo sta riposando per l'eternità, ma noi dobbiamo andare avanti, non possiamo fuggire da noi stessi», disse la Maria, pensando di darle sollievo.
«Io sto benissimo, ve l'ho già detto. Vorrei solo essere lasciata in pace».
In pratica le stava mandando a quel paese.
«Ma perpetua», disse la Cesira, «noi vorremmo solo…».
Non finì la frase, ritrovandosi con la porta sbattuta in faccia.
«Santa Maria», mugugnò incredula la più giovane delle due. «Non l'ho mai vista conciata così».
La Cesira furibonda girò sui suoi tacchi e senza nemmeno salutare la compaesana se ne andò per la sua strada.

47.

La perpetua mangiucchiò qualcosa raccolto dall'orto. E con ancora pezzi di cetriolo che le ballonzolavano per la bocca, fedele alla promessa che s'era fatta la notte appena trascorsa, partì alla volta delle Americhe, pronta a dire tutto quel che sapeva al Marengo.
Recitò strada facendo un paio di Ave Maria senza soffermarsi troppo sulle parole, come se stesse bofonchiando una cantilena per scaricare l'ansia. Incontrò vari compaesani, ma fece finta di non vedere nessuno, muovendosi con la testa china e il passo veloce, indicando a tutti che non aveva tempo per nessuno, nemmeno per un saluto.
Arrivò nella casa del saggio della comunità come se avesse appena attraversato il deserto. Le grondavano le ascelle e la fronte, dove tante goccioline si erano misteriosamente organizzate in un curioso semicerchio. Il Marengo stava ancora mangiando e per poco, vedendola con quella faccia contratta e spaventevole, non gli andò tutto di traverso.
«Perpetua, cos'è tutto questo zelo?».
«Buon Dio, non pensavo che stesse ancora pranzando. Non volevo prenderla alla sprovvista».
«Beh, è da poco passato mezzogiorno, non mi sembra così strano».
«Ha ragione, ma con quel che è accaduto ho perso la cognizione del tempo. Mi deve veramente scusare».
Il Marengo inarcò le sopracciglia, abituato ai raid selvaggi dei buraghesi (e non solo) con qualche nuova gatta da pelare.
«Non si preoccupi, perpetua, entri pure, posso immaginare il motivo della sua visita».
La perpetua non se lo fece ripetere due volte e in preda all'angoscia che era tornata a farsi sentire all'improvviso, come una tenaglia che la afferrava per la gola, si sedette di fronte al Marengo con uno sguardo terribilmente angustiato.
Il Marengo la fissò provando un'inconsueta soggezione. Non era da lui, ma gli occhi che aveva davanti gli parvero davvero abitati da qualche demone pronto a divoragli l'anima in un boccone. Per fortuna capì di non correre alcun rischio e che la donna aveva quell'aria agonizzante, solo perché era spaventata.  
«Devo raccontarle un po’ di cose che ieri non sono riuscita a dirle».
«Sono qui per questo, mi dica, la notte le ha portato consiglio?».
«Credo di sì. Glielo voglio dire solo a lei, ma questa notte don Filippo è venuto a farmi visita».
Il Marengo ebbe un altro sussulto che lo fece tossire come un tabagista del Turkmenistan. Ne aveva sentite tante di storie di fantasmi, ma ancora non gli pareva possibile che qualcuno potesse essere convinto che esistessero veramente. Lui rimaneva un dubbioso e pragmatico razionalista.
«Mi spieghi meglio, lo avrà sognato».
La perpetua si indispose.
«Sognato un corno, le sto dicendo che don Filippo in carne ed ossa è tornato a farmi visita per salutarmi. Mi ha sorriso e ha mosso le mani come si suole fare congedandosi da qualcuno».
«Le credo, le credo, dunque è venuta qui per dirmi questo?».
«No, è solo un particolare che mi sono sentito in dovere di rivelarle, essendo stata presa alla sprovvista, piacevolmente alla sprovvista… in realtà sono qui perché ho riflettuto su tante cose che ieri non avevo chiare. Ci sono delle faccende che potrebbero aiutarla a fare luce sulla morte di don Filippo».
«Comincia anche a lei a credere che non si sia trattato di un…».
«Io non credo niente e non so niente, solo il Padreterno sa certe cose. Io posso solo chiarire alcuni aspetti della vita di don Filippo che probabilmente lei non conosce».

48.

Il Marengo si mostrò indispettito di fronte all'improvvisa caparbietà della perpetua. Stava, infatti, rasentando la maleducazione. Intuì che potesse essere il prezzo da pagare per venire a capo di un caso così emblematico, ma a tutto doveva pur esserci un limite; la cortesia, dal suo canto, era un presupposto che non doveva mai mancare in un dialogo fra persone civili. In ogni caso, alla fine - considerato anche il fatto che la donna non fosse completamente in lei, dopo tutto quello che le era accaduto in così poco tempo - abbassò immediatamente la guardia.
«Sono tutto orecchie».
«Forse lei non lo sa, ma c'erano due brutti ceffi che venivano periodicamente a trovare don Filippo».
Il Marengo strabiliò.
«Avevano due facce da fare paura, pieni di tagli e cicatrici. Brutti. E cattivi. In qualche modo si assomigliavano, sembravano davvero dei dannati, tutt'altro che timorati di Dio, non so se mi spiego...».
Il Marengo strabuzzò gli occhi, incredulo di fronte a quelle parole inaspettate. E si rincuorò, sospettando che finalmente stava per sgorgare qualcosa d'importante dalle fauci dell'unica persona al mondo che poteva dire di conoscere a fondo il povero prete.
«Uno dei due pareva il capo, era quello più agitato, che impartiva ordini, e rideva come un satanasso. Indossava sempre la stessa camicia a quadretti, cenciosa e puzzolente, Dio mio quanto puzzava… non sono una che bada a certe cose, per me le persone possono andare in giro come vogliono, tuttavia il loro modo di vestire era riconoscibilissimo. Erano terribilmente grezzi, avevano la bava alla bocca e facevano cose orribili, tipo sputare per terra e ruttare come porci».  
«Chi erano?», domandò bruciapelo il Marengo.
«Non ne ho la più pallida idea. Non dicevano mai i loro nomi, né da dove provenissero. Don Filippo, vedendoli, rabbuiava, ma non mi ha mai dato indicazioni sul loro conto. Erano creature infernali, solo questo posso dirle».
«E' molto interessante quel che mi sta raccontando, perpetua, ma dovrebbe sforzarsi di darmi qualche ragguaglio in più. Sono ancora troppo scarsi gli indizi per avviare un'indagine seria, così rischiamo di non andare da nessuna parte».
«Glielo ripeto, c'era qualcosa di losco in loro, ma non so cosa volevano da don Filippo. Sparivano per qualche ora senza dirmi niente, e quando il nostro prete tornava, non si lasciava scappare una parola. Era evidente che avesse qualcosa da nascondere».
Il Marengo fu assolutamente d'accordo con la tesi della donna.
«Non c'è altra spiegazione».
Si alzò, e in preda al dubbio, cominciò a trotterellare per la cucina, indifferente alla presenza della perpetua, che lo fissava stranita.
«Non c'è altro?», domandò.
«Non vorrei dire una scemenza».
«Cosa».
«Beh, una volta orecchiando i loro discorsi, mentre stavano avviandosi verso i boschi, saltò fuori una certa cifra…».
«Sta scherzando?».
«Affatto».
«Mi sta dicendo che c'erano in ballo dei soldi?».
«Sentii uno dei figuri pronunciare la parola kreuzer».
«Soldi austriaci».
«Mah, non so il tedesco, ma quando si parla di denaro so che… insomma, ebbi l'impressione che si riferissero a un bel gruzzoletto».
«Di quanti kreuzer parlarono?».
«Ho solo capito che c'era di mezzo un onorario, forse saltò fuori anche il termine "fiorino", ma non mi chieda la cifra».
«Perché ne è così certa?».
«All'improvviso uno dei due ceffi sfregò le dita facendo intendere proprio quello, sa quando si mima il gesto…».
«Capisco. Quindi è riuscita anche a vederli».
«Sì e no. Stavano uscendo, io ero nell'orto, ho notato le loro sagome riflesse in uno dei vetri della curia».
Il Marengo si fece scuro in volto.
«Vuole dire che lo ricattavano?».
Anche la perpetua si incupì.
«Ho pensato alla stessa cosa».
«Ma è così difficile intuirne il motivo».
«Don Filippo era pulito».
«Avrebbero potuto minacciarlo di morte. Ma perché?».
Il Marengo allargò le braccia e tirò un sospiro di sollievo. Per la prima volta dalla scoperta del cadavere del sacerdote, intravide una piccola luce in fondo al tunnel, ma già si apriva un nuovo insormontabile dilemma: chi poteva volere la morte di un tranquillo prete di campagna?

49.

«Sappiamo che venti kreuzer fanno una lira, tuttavia sarebbe curioso conoscere il corretto ammontare della richiesta. Considerando che sei o sette lire austriache fanno una paga giornaliera dignitosa…».
«Forse accennarono a cinquanta lire».
Il Marengo si insospettì, temendo che la donna tenesse ancora in serbo qualche importante dettaglio.
«Perpetua, lo sa o non lo sa?».
«Non voglio sbilanciarmi».
«Lo faccia».
«Non vorrei dire una fesseria, sa come sono queste cose…».
«Accidenti, perpetua, mi dica una volte per tutte quel che ha sentito».
La donna s'impaurì.
«Sarebbero anche potute essere cinquecento lire o… cinquantamila lire».
«Addirittura?».
«Ma non mi prenda alla lettera».
Il Marengo deviò la conversazione, stanco di andare avanti per sillogismi.
«Ogni quanto si presentavano in curia?».
«Non avevano delle cadenze precise. Potevano giungere un paio di volte al mese, ma anche non farsi vedere per un bel po’».
«Erano di casa, insomma».
«Non direi. Più di una volta ho supposto che potessero finalmente essere spariti dalla circolazione».
«E invece?».
«All'improvviso ce li ritrovavamo sulla porta con il solito ghigno bellicoso e tutto riprendeva daccapo».
Il Marengo vergò un pugno sul tavolo, facendo tremare l'anziana buraghese.
«C'è sotto qualcosa di veramente marcio».
«Lei crede?».
«Ne sono sicuro».
«Beh, Marengo, io lascio fare a lei. Guardi, tutto quello che sapevo gliel'ho detto. E' testimone da lassù lo stesso don Filippo».
Il Marengo storse la bocca, insofferente dinanzi all'ennesimo tentativo di confortare le pene umane attingendo ai poteri dell'aldilà.
«E' stata saggia, perpetua, non sa quanto mi sia stata d'aiuto».
La donna lasciò la sedia e corse all'uscio come un topino in fuga.
«La accompagno».  
«Grazie, non serve».  
Temeva le voci delle donne, pettegolezzi che avrebbero potuto far pensare che fra lei e il Marengo ci fosse una storia. Ora che non c'era più don Filippo, chissà quanti avrebbero potuto sospettare una cosa del genere, rifletté confusamente mentre superava la soglia della dimora del capo villaggio. Ma erano certo paranoie personali, del tutto infondate, a cui il Marengo non avrebbe dato alcun peso.
L'uomo, in ogni caso, non la trattenne: aveva avuto ciò che voleva e non vedeva l'ora di poter tornare al suo pollo. Speranza vana, perché non ebbe nemmeno il tempo di portare a termine la prima deglutizione, che alla porta si presentò il sindaco, con un diavolo per capello, e il desiderio malato di sapere se la vicenda aveva avuto dei risvolti.
«Proprio tu mancavi», affermò il Marengo, con un'ala del volatile che faceva a pugni con i molari.
«Saputo qualcosa?».
«La perpetua ha svuotato il sacco», disse abbandonando di nuovo il piatto, rassegnato all'idea che ormai il suo pasto non avrebbe avuto futuro. «Dice che c'erano due ceffi che facevano visita al prete e probabilmente lo ricattavano».
Per poco il sindaco non bestemmiò, vinto da un'eccitazione improvvisa.
«Come lo ricattavano?».
«Proprio così. C'è da scommetterci».
«Spiegami meglio».
«La perpetua dice che questi due arrivavano in curia e con lui si allontanavano per andare chissà dove».
«Dove andavano?».
«E che ne so? Nessuno lo sa, nemmeno la perpetua».
Il sindaco sbuffò. 
«Un giorno ha detto di averli sentiti reclamare una certa somma».
«Porca miseria. Quale somma?».
«Non me l'ha saputo dire».
«Don Filippo ricattato, non ci posso credere. E da chi?».
«E' questo il problema. Bisognerebbe capire chi fossero i due facinorosi».
«Mai visto nessuno a casa del prete che non conoscessi».
«Come facciamo a saperlo?».
«In che senso?».  
«Mica vivevamo col prete. Se era gente che passava ogni morte di papa, puoi immaginare…».
«Mah».
«In ogni caso lo sapeva la perpetua e, infatti, è venuta a dircelo».
Il Boffalora si fece ombroso. Non seppe che forma dare ai nuovi ragionamenti, ma anche lui si rese conto che avevano finalmente qualcosa in mano di rilevante da cui partire.
«Ho un'idea», disse all'improvviso, «convochiamo una nuova assemblea e proviamo a chiedere se qualche buraghese ha provato a vedere visitatori sospetti a casa di don Filippo negli ultimi tempi…».
«Questo però già lo sappiamo».
«Certo, ma qualcuno potrebbe magari far saltare fuori qualche dettaglio in più. Se lasciavano la curia per andare chissà dove, qualcuno potrebbe averli visti. Non erano fantasmi».
«Non mi parlare di fantasmi».
«Cioè?».
«Lascia stare».

50.

Convocarono l'assemblea pubblica per la sera stessa, dopo aver diffuso la voce che "c'era qualcosa di nuovo su cui spremere le meningi". I buraghesi si presentarono uno a uno, con il contagocce, ancora sudati dal lavoro nei campi. Il Giannino e l'Ambrogino erano in prima fila, ansiosi di sapere cosa bolliva in pentola. La convocazione di una seconda adunanza collettiva lasciava presagire qualcosa di davvero intrigante. Lo fu solo parzialmente, visto che il Marengo debuttò laconicamente, dicendo che non c'erano grandi scoperte da rendere note, ma solo un favore da chiedere a tutti i compaesani.
«Vi chiedo di aprire bene le orecchie e cercare di ricordare tutto ciò che di anomalo avete notato nei pressi della casa di don Filippo da qualche mese a questa parte. Se sono vere le voci che ci sono giunte, potrebbero esserci state persone che volevano male a don Filippo e cercavano ogni pretesto per rendergli la vita difficile».
Si sollevò un mormorio composto e stupito.
«Cosa vuol dire "anomalo"?», reclamò Andrea Brambilla.
Qualcuno lo squadrò con sufficienza.
«Vuol dire "strano", "insolito". Vi sto chiedendo se negli ultimi tempi avete visto qualcosa di strano nei pressi della casa del don, o avete visto lui stesso in situazioni, come dire… non normali».
I buraghesi si guardarono fra loro storditi da un quesito che comprendevano solo in parte. Che razza di domanda era? Nessuno aveva visto niente del genere, don Filippo lo conoscevano tutti e tutti sapevano che era la persona più regolare del mondo, sempre presente, disponibile e sorridente. Cosa avrebbe avuto da nascondere? Anche il Giannino e l'Ambrogino, così coinvolti nella vicenda, condirono la richiesta del saggio del villaggio con piglio indolente.
Da lontano la Lina Gervasoni li osservava divertita, con la solita aria maliziosa che mandò in solluchero l'Ambrogino. Al suo fianco c'era l'Agnese, figlia del Carlo panettiere, che, forse a causa di un calo di zuccheri, patì un leggero capogiro.
«Abbiamo più di un motivo per credere che don Filippo… sia stato assassinato».
Al suono di questa parola si levò un boato di meraviglia.
«Assassinato?», bofonchiarono in molti.
«Santa Maria, come assassinato?», piagnucolarono le donne.
«Non pettegoliamo per niente», disse il sindaco, burberamente, «non c'è nulla di cui scandalizzarci. La faccenda di don Filippo è molto più seria di quel che si può supporre. Vi invitiamo perciò a fare mente locale e, da questo momento in poi, a venire a farci visita, a me o al Marengo, per raccontarci qualunque cosa vi sia capitato di vedere».
«Io ho visto don Filippo mangiare un quintale di ciliegie», disse ironicamente la Marta Bucchi, credendo di fare ridere qualcuno.
Il Marengo la redarguì con uno sguardo feroce.   
«Non siamo qui per divertirci Marta. E non è certo questo il momento per le battute di spirito».

La donna si lasciò scappare una risata isterica che scosse ulteriormente l'animo già turbato dei buraghesi. Qualcuno sibilò che dietro la morte di don Filippo ci potesse essere proprio lei, e qualche suo maledetto sortilegio. 

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