mercoledì 9 aprile 2014

Ferragosto # 9


41.

«Perpetua», sussurrò il Marengo con gli occhi languidi.
La donna lo guardò avvilita.   
«Se la sentirebbe di chiacchierare un po'?».
La perpetua deglutì percependo un dolore sordo in fondo alla gola.
«Cosa volete che vi dica?».
Singhiozzò.
«Don Filippo non c'è più».
Boffalora propose di entrare in casa.
«Meglio», disse il saggio della comunità.
«Signora, ci ritiriamo per discutere con più calma?», domandò il sindaco.
Giunsero in cucina, lasciando a bocca aperta i tanti paesani indirettamente coinvolti nella mesta conversazione; curiosi di sapere cosa sarebbe saltato fuori da quell'improvvisato incontro.  
«Apra pure la credenza», blaterò la perpetua, rivolgendosi al sindaco con fare autoritario.  
Il Boffalora la guardò stupito, ma non replicò. Raggiunse il mobile e spalancò le ante, trovandosi di fronte una bottiglia di liquore circondata da cadaveri di insetti e strane macchie biancastre. Muffa.
«Era la sua preferita», disse la donna, alludendo a don Filippo, «quasi tutte le sere dopo cena ne beveva un goccetto. E guai se mi arrabbiavo con lui quando lo vedevo alzare un po’ troppo il gomito. Gli piaceva bere e… mangiare».
Era una grappa artigianale che gli arrivava direttamente da un amico prete della bergamasca che aveva intrallazzi con i contadini e non perdeva occasione per soffiare loro qualche prelibatezza. Molto secca e forte, non era indicata per tutti, ma per uno stomaco robusto e smaliziato come quello del pievano, era quanto di meglio potesse capitare per ridare tempra al corpo.
«Servitevi pure».
I due uomini ne furono lieti: benché fosse ancora mattina e di solito a quell'ora non bevessero, percepirono che qualcosa di forte gli avrebbe di sicuro fatto bene. Se non altro gli avrebbe sciolto un po’ la lingua, ora che c'era da cercare di tirare fuori qualcosa di utile dalla serva del prete e che occorreva calibrare le parole più adatte e persuasive per convincere l'interlocutrice a lasciarsi andare.
«I bicchieri?», domandò Boffalora.
«Sotto».
Il sindaco pestò la testa contro lo spigolo dell'anta che lo sovrastava e che aveva dimenticato di chiudere. Imprecò in silenzio.
Si sedettero guardandosi in faccia l'un l'altro come parenti stretti all'indomani della perdita di una persona cara. La perpetua riacquisì il suo colorito naturale, ma aveva ancora gli occhi pesti e lo sguardo assente.   
«Perpetua, non vorremmo disturbarla ma…siamo qui perché le cose potrebbero non essere andate come lei pensa», esordì il Marengo, con grande dolcezza.
La donna strabuzzò gli occhi, come se all'improvviso si fosse accesa nella sua testa una misteriosa lampadina; un luccichio che sarebbe mancato in una persona completamente estranea ai fatti.
«Vede, ci sono delle tracce che ci inducono a pensare che possa essergli accaduto qualcosa di grave, a opera di qualche malintenzionato».
La perpetua rabbrividì e tornò pallida. Cominciò a batterle forte il cuore. I due uomini si fissarono compiacenti, come se già avessero in pugno la soluzione del caso.  
«Cosa vorreste dire?».

42.

«Troppe cose non tornano. Se don Filippo avesse fatto tutto spontaneamente, non avrebbe avuto quel bel gibollo sulla testa, il chiaro segno di una colluttazione avvenuta con qualcuno, prima della morte».
«Quale gibollo?».
«L'ha confermato anche Gandolfo: una botta che abbiamo scoperto vicino alla tempia».
«E il biglietto?».
«Il biglietto, signora… può voler dire tutto e niente. Ci sono persone che sanno bene come inquinare le prove inventandosi di sana pianta tracce fasulle, o indizi che non portano da nessuna parte».
«Eppure quella è la sua calligrafia, la conosco bene».
«Noi non ne siamo così convinti. L'abbiamo osservata attentamente. E se anche fosse, non è escluso che l'abbiano costretto a tracciare quelle parole sotto minaccia».
«Sotto minaccia?».
«Proprio così».
«Non ci posso credere».
«Vede, signora», attaccò il Boffalora, «non c'era motivo perché don Filippo potesse compiere un gesto così sconsiderato. Sappiamo tutti com'era, allegro, spensierato, desideroso di mettersi al servizio dei parrocchiani e servire la comunità, con fare semplice e gioioso. Che motivo avrebbe avuto di farla finita?».
«In realtà non era sempre così come voi lo descrivete», disse la perpetua.
La guardarono incuriositi.
«In che senso?».
«Chi volete che potesse conoscere tanto bene don Filippo, se non io che vivevo nella sua stessa casa?».
«Non lo mettiamo in dubbio. Per questo siamo qui».
«Ci dica, dunque, quali sono le sue perplessità», mugugnò il Marengo.
La perpetua s'irrigidì, dando l'impressione di non volere rivelare troppi particolari del carattere del prete, come se avesse avuto qualcosa da tenere nascosto.
«Semplicemente aveva anche lui i suoi problemi, i suoi pensieri, le sue preoccupazioni, insomma… era un uomo come tutti gli altri, fatto di carne e ossa, come me e voi. Credete che sia facile portare avanti da solo una parrocchia come Burago?».
«Non diciamo questo, ma non vediamo in che modo le vicissitudini legate al paese possano avergli provocato tanto scompiglio da farlo giungere all'insaputa di tutti alla disperazione più nera».
«Come fate a dire che l'hanno ammazzato?».
«Non diciamo niente con certezza», disse il sindaco, «ma non escludiamo che don Filippo possa avere litigato con qualche misteriosa figura, per poi essere gettato già morto, o in agonia, nello stagno».
La donna fu percorsa da un brivido che le procurò un violento capogiro.
«Misericordia! Ma cosa state dicendo?».
«Sappiamo che è orribile», disse il Marengo, «tuttavia, è un'ipotesi che si sta facendo sempre più reale».
«Anche il dottore ha ammesso che uno, da solo, non si procura certe ferite», disse il Boffalora.
«Il Brambillasca non capisce niente».
«Aveva la faccia completamente tumefatta», spiegò il Marengo, «se una persona si getta in uno stagno, non ne esce così conciato. Chiunque sarebbe in grado di constatarlo».  
La conversazione si arrestò. I due uomini terminarono l'ultimo sorso di grappa e zittirono per qualche minuto, non sapendo cos'altro aggiungere. La donna si mise a fissare il pavimento, di nuovo persa in un mondo fatato. Riprese la parola solo quando vide Gaetanino - il micio che bazzicava spesso nella dimora del prete, sapendo di trovare sempre qualche rimasuglio di cibo - saltare in casa dalla finestra e infilarsi in un angolo sotto la credenza.
«Fatemi pensare, ho bisogno di pensare e di stare sola per un po’», disse la perpetua, «se mi viene in mente qualcosa, sarà mia premura comunicarvelo».

43.

Si ritirò nella propria camera, affannata e disidratata e con un nodo alla gola che non ne voleva sapere di sciogliersi. Si sdraiò per qualche istante, ma era troppo agitata per poter riposare come avrebbe voluto. Molti pensieri si accavallarono nella sua mente. Compreso quello del famigerato cocchiere che mezzo ubriaco l'aveva ricondotta a casa. Covava ancora molta rabbia nei suoi riguardi. Le ultime ore trascorse erano state a dir poco rocambolesche, orribili, diverse, devastanti. Le peggiori della sua vita. Mai si era sentita così male, così psicologicamente in balia di forze che non riusciva a mettere fuoco e a domare; mai s'era trovata in una situazione tanto difficile anche dal punto di vista pratico. Ora cosa avrebbe fatto? Non sarebbe potuta rimanere per sempre nella casa di don Filippo… Quale sarebbe stato il suo destino?
L'arrivo del Marengo e del Boffalora, peraltro, non aveva migliorato le cose. La loro visita l'aveva ulteriormente scombussolata. Benché avessero usato toni docili e gentili, aveva notato nel loro modo di fare un atteggiamento troppo spregiudicato, vagamente accusatorio, che non le era andato giù. Non bastava dover fare i conti con la morte di don Filippo, un prete al quale aveva imparato a volere bene, sinceramente, con cui si sentiva in sintonia, come se si fosse trovata a vivere in una famiglia tutta sua; c'era ora anche da dare una risposta agli uomini della legge, come se la colpa della scomparsa del sacerdote potesse in qualche modo essere ricondotta anche a lei. Che idea assurda.
Ma fu un'idea che in qualche modo si insinuò nella sua mente già febbricitante, mandandola definitivamente in tilt. Lasciò il letto e tornò in cucina per rinfrescarsi con un panno umido. Tracannò un bicchiere d'acqua e cominciò a vagare per la casa come una disgraziata. Ogni respiro era una pugnalata al cuore. Le mancava l'aria. Prese l'immaginetta della madonna infilata in un quadretto, e pregò con tutte le sue forze di poter superare presto un simile calvario. Borbottò qualche parola in latino, senza rendersene conto. E chiuse con una sfilza di "ora pro nobis". Inciampò nel Gaetanino diretto verso l'orto. Per poco non gli tirò un calcione sul muso. Aveva voglia di sfogarsi, con qualunque cosa le fosse capitata a tiro. Non era da lei, tuttavia capiva che tante tribolazioni dell'anima non sono certo cose da tutti i giorni e che, dunque, non ci fosse niente di male nell'individuare un modo per giustificarsi.
Dalla porta del retro guadagnò il piccolo spazio verde appannaggio della curia, lo stesso dove chissà quante volte aveva osservato imbarazzatissima il suo prete innaffiare di ammoniaca verbene e nasturzi. Si soffermò sul cielo terso, che incredibilmente le pesò come un macigno. Si mise a strappare alcune erbacce che crescevano rigogliose fra i gambi di iris ormai sfioriti. Fu un gesto che compì senza una vera consapevolezza, come se fosse l'unica cosa che le rimaneva da fare per allevare il dolore: compiere qualcosa di fisico per cercare di non dovere più pensare a niente. In effetti, dopo pochi minuti le sembrò di stare un po’ meglio. Strappò chili di cellulosa con sempre più accanimento, quasi non rendendosi conto del tempo che passava.

44.

Non ci mise molto a rinfrescare i suoi pensieri e a rendersi conto che aveva detto solo in parte ciò che sapeva ai due compaesani giunti in curia per interrogarla. Sapeva di più, ma aveva preferito tacere. Sapeva in particolare di due personaggi che non le erano mai piaciuti, di cui nemmeno sapeva il nome. Arrivavano e con arroganza si accomodavano al tavolo della cucina, in attesa che don Filippo rientrasse da qualche celebrazione. Era praticamente costretta a servigli il caffè, per tenere a bada la boria che li contraddistingueva e che li portava a ridere sbracatamente per le battute più assurde. Vedendoli, don Filippo rabbuiava, il suo volto vestiva una maschera di insofferenza e dava proprio l'impressione di non voler avere a che fare con essi. Ma alla fine cercava in tutti i modi di essere cordiale, chiedendogli come andava, e quale buon vento li avesse portati dalle sue parti. Fingeva, la perpetua non aveva fatto fatica a capirlo. Conosceva molto bene don Filippo e tutto ciò che si celava dietro a ogni suo sguardo.
Li invitava a seguirlo, e poi, chissà dove andavano a imboscarsi. La perpetua non l'aveva mai capito. Non aveva mai compreso, dove andassero a rintanarsi come fuggiaschi pedinati dalla gendarmeria, per un paio d'ore, lontano da tutto e da tutti. L'unica cosa certa è che don Filippo rientrava sconvolto e addolorato. Come se l'ennesima tegola gli fosse precipitata sul capo. La perpetua gli chiedeva cosa ci fosse che non andava, ma ogni volta cercava di glissare l'argomento. Non ne voleva parlare. C'era qualcosa che lo tormentava, era evidente, ma non c'era modo di riuscire a convincerlo ad aprirsi. Nel mezzo di queste elucubrazioni, la perpetua non s'era accorta che ormai s'era fatto tardi, l'imbrunire era alle porte e lei non aveva ancora messo nulla sotto i denti. Sentì un certo languorino, e finalmente si decise a spalancare le ante della credenza per sgranocchiare un po’ di pane malfermo.
Si sentì meglio quasi subito, ma con una stanchezza che non aveva mai provato. Si decise ad andare a letto, ma prima di salire in camera, fece una capatina nel soggiorno per recuperare un cuscino che l'avrebbe aiutata a vincere il bruciore di stomaco che da un po’ di notti la perseguitava. Notò sopra il camino qualcosa di strano e in una manciata di secondi le fu chiaro che sulla mensola mancava qualcosa: il candelabro d'argento. Era forse l'unico elemento di valore dell'intera curia. Omobono Farina l'aveva ricevuto da qualche alto prelato e alla sua scomparsa era rimasto a Burago. La perpetua sbigottì. Ricollegandosi alle nuove tesi del Marengo e di Boffalora, pensò che il prete potesse essere stato assassinato per un furto. Ma era possibile arrivare a tanto per un solo candelabro? C'era in giro molta gente messa male, ma per fregare qualcosa nella casa di un prete, rifletté, non serviva arrivare a commettere un omicidio. Era sulla strada sbagliata, ma non aveva più le energie per reggersi in piedi e non volle pensare ad altro. Salì in fretta e furia le scale, si spogliò e dimenticandosi per la prima volta in vita sua di recitare le orazioni, sprofondò nel sonno.

8 agosto

45.

Verso le tre di notte, nel buio più completo, le parve di udire una voce provenire dalle profondità della terra. Qualcosa di molto simile a un grido che le incusse grande paura. Pensò all'inferno e alle creature che lo popolavano. Credeva nell'inferno, forse più che nel paradiso ed era convinta che gran parte delle persone fosse destinata a bruciare per l'eternità. Viveva perennemente con il timore di compiere qualche peccato, e ogni sua azione era frenata dal dubbio e dall'angoscia. Solo la consapevolezza di poter vivere al fianco di un prete era riuscita a darle un po’ di serenità. Ma ora era tutto finito e il potere degli inferi tornò a incombere su di lei.
Tentò di alzarsi dal letto per correre a bere un bicchiere di acqua, ma fu come se le sue membra fossero immobilizzate. I muscoli e i nervi erano duri come la roccia e anche il respiro sembrava contratto e difficile. Si rese conto di non riuscire a dare una spiegazione a ciò che le stava capitando, e presto ebbe l'impressione di poter morire da un momento all'altro. Eppure era solo l'inizio dell'incubo. Dopo pochi istanti, infatti, ai piedi del letto intravide una figura che conosceva molto bene: era quella di don Filippo. Riconobbe senza esitazione il suo lungo vestito nero, e piano piano anche il suo volto rubicondo. Terrorizzata come non era mai stata nella vita, cercò nuovamente di trovare la forza per alzarsi ma invano. Don Filippo la fissava e lei non riusciva nemmeno a muovere un dito.
A questo punto, però, come per magia il tremore e la paura si smorzarono, a favore di un crescente senso di beatitudine. Comprese di trovarsi in una sorta di limbo metapsichico, dove ogni cosa terrena perdeva di significato, e anche il tempo e lo spazio assumevano sfaccettature originali e lontanissime dalla quotidianità. Don Filippo, sempre immobile come una statua, la salutò con un repentino cenno della mano e le sorrise dolcemente. Era il solito don Filippo di sempre, gaudente e brioso, per il quale da anni lavorava e che poteva ormai dire di conoscere come un figlio. Non seppe quanto durò quella comparsa inaspettata, forse una delle più belle sensazioni di pace che avesse mai provato. Poi don Filippo, così come era arrivato, se ne andò. E solo allora notò che le sue braccia e gambe erano ancora libere di muoversi come volevano.

Le sembrò di risvegliarsi da un sogno tanto terrificante, quanto meraviglioso. E si ritrovò a gestire una gioia inaspettata, autoconvinta del fatto che don Filippo fosse sceso apposta dal paradiso per lei, per rassicurarla e comunicarle che stava bene e che avrebbe vegliato sul suo cammino. Scesa a pianterreno ingollò un paio di bicchieri d'acqua e varcò la soglia del giardino per respirare il clamore della notte. Le venne incontro il Gaetanino, che si strusciò sulle sue gambe piene di vene varicose. Si sentì libera e profondamente felice. Tornò a riposare convinta che l'indomani avrebbe rivelato al Marengo e al Boffalora tutto ciò che sapeva di don Filippo: dei due strani personaggi che lo perseguitavano… e del candelabro scomparso. 

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