41.
«Perpetua»,
sussurrò il Marengo con gli occhi languidi.
La donna lo
guardò avvilita.
«Se la
sentirebbe di chiacchierare un po'?».
La perpetua deglutì
percependo un dolore sordo in fondo alla gola.
«Cosa volete che
vi dica?».
Singhiozzò.
«Don Filippo non
c'è più».
Boffalora
propose di entrare in casa.
«Meglio», disse
il saggio della comunità.
«Signora, ci
ritiriamo per discutere con più calma?», domandò il sindaco.
Giunsero in cucina,
lasciando a bocca aperta i tanti paesani indirettamente coinvolti nella mesta
conversazione; curiosi di sapere cosa sarebbe saltato fuori da
quell'improvvisato incontro.
«Apra pure la
credenza», blaterò la perpetua, rivolgendosi al sindaco con fare autoritario.
Il Boffalora la
guardò stupito, ma non replicò. Raggiunse il mobile e spalancò le ante, trovandosi
di fronte una bottiglia di liquore circondata da cadaveri di insetti e strane
macchie biancastre. Muffa.
«Era la sua
preferita», disse la donna, alludendo a don Filippo, «quasi tutte le sere dopo
cena ne beveva un goccetto. E guai se mi arrabbiavo con lui quando lo vedevo
alzare un po’ troppo il gomito. Gli piaceva bere e… mangiare».
Era una grappa
artigianale che gli arrivava direttamente da un amico prete della bergamasca
che aveva intrallazzi con i contadini e non perdeva occasione per soffiare loro
qualche prelibatezza. Molto secca e forte, non era indicata per tutti, ma per
uno stomaco robusto e smaliziato come quello del pievano, era quanto di meglio
potesse capitare per ridare tempra al corpo.
«Servitevi
pure».
I due uomini ne
furono lieti: benché fosse ancora mattina e di solito a quell'ora non
bevessero, percepirono che qualcosa di forte gli avrebbe di sicuro fatto bene.
Se non altro gli avrebbe sciolto un po’ la lingua, ora che c'era da cercare di tirare
fuori qualcosa di utile dalla serva del prete e che occorreva calibrare le
parole più adatte e persuasive per convincere l'interlocutrice a lasciarsi
andare.
«I bicchieri?»,
domandò Boffalora.
«Sotto».
Il sindaco pestò
la testa contro lo spigolo dell'anta che lo sovrastava e che aveva dimenticato
di chiudere. Imprecò in silenzio.
Si sedettero
guardandosi in faccia l'un l'altro come parenti stretti all'indomani della
perdita di una persona cara. La perpetua riacquisì il suo colorito naturale, ma
aveva ancora gli occhi pesti e lo sguardo assente.
«Perpetua, non
vorremmo disturbarla ma…siamo qui perché le cose potrebbero non essere andate
come lei pensa», esordì il Marengo, con grande dolcezza.
La donna
strabuzzò gli occhi, come se all'improvviso si fosse accesa nella sua testa una
misteriosa lampadina; un luccichio che sarebbe mancato in una persona completamente
estranea ai fatti.
«Vede, ci sono
delle tracce che ci inducono a pensare che possa essergli accaduto qualcosa di
grave, a opera di qualche malintenzionato».
La perpetua
rabbrividì e tornò pallida. Cominciò a batterle forte il cuore. I due uomini si
fissarono compiacenti, come se già avessero in pugno la soluzione del caso.
«Cosa vorreste
dire?».
42.
«Troppe cose non
tornano. Se don Filippo avesse fatto tutto spontaneamente, non avrebbe avuto
quel bel gibollo sulla testa, il chiaro segno di una colluttazione avvenuta con
qualcuno, prima della morte».
«Quale
gibollo?».
«L'ha confermato
anche Gandolfo: una botta che abbiamo scoperto vicino alla tempia».
«E il biglietto?».
«Il biglietto,
signora… può voler dire tutto e niente. Ci sono persone che sanno bene come
inquinare le prove inventandosi di sana pianta tracce fasulle, o indizi che non
portano da nessuna parte».
«Eppure quella è
la sua calligrafia, la conosco bene».
«Noi non ne
siamo così convinti. L'abbiamo osservata attentamente. E se anche fosse, non è
escluso che l'abbiano costretto a tracciare quelle parole sotto minaccia».
«Sotto
minaccia?».
«Proprio così».
«Non ci posso
credere».
«Vede, signora»,
attaccò il Boffalora, «non c'era motivo perché don Filippo potesse compiere un
gesto così sconsiderato. Sappiamo tutti com'era, allegro, spensierato,
desideroso di mettersi al servizio dei parrocchiani e servire la comunità, con
fare semplice e gioioso. Che motivo avrebbe avuto di farla finita?».
«In realtà non era
sempre così come voi lo descrivete», disse la perpetua.
La guardarono
incuriositi.
«In che senso?».
«Chi volete che
potesse conoscere tanto bene don Filippo, se non io che vivevo nella sua stessa
casa?».
«Non lo mettiamo
in dubbio. Per questo siamo qui».
«Ci dica,
dunque, quali sono le sue perplessità», mugugnò il Marengo.
La perpetua s'irrigidì,
dando l'impressione di non volere rivelare troppi particolari del carattere del
prete, come se avesse avuto qualcosa da tenere nascosto.
«Semplicemente
aveva anche lui i suoi problemi, i suoi pensieri, le sue preoccupazioni,
insomma… era un uomo come tutti gli altri, fatto di carne e ossa, come me e
voi. Credete che sia facile portare avanti da solo una parrocchia come
Burago?».
«Non diciamo
questo, ma non vediamo in che modo le vicissitudini legate al paese possano
avergli provocato tanto scompiglio da farlo giungere all'insaputa di tutti alla
disperazione più nera».
«Come fate a
dire che l'hanno ammazzato?».
«Non diciamo
niente con certezza», disse il sindaco, «ma non escludiamo che don Filippo
possa avere litigato con qualche misteriosa figura, per poi essere gettato già
morto, o in agonia, nello stagno».
La donna fu
percorsa da un brivido che le procurò un violento capogiro.
«Misericordia!
Ma cosa state dicendo?».
«Sappiamo che è
orribile», disse il Marengo, «tuttavia, è un'ipotesi che si sta facendo sempre
più reale».
«Anche il
dottore ha ammesso che uno, da solo, non si procura certe ferite», disse il Boffalora.
«Il Brambillasca
non capisce niente».
«Aveva la faccia
completamente tumefatta», spiegò il Marengo, «se una persona si getta in uno
stagno, non ne esce così conciato. Chiunque sarebbe in grado di constatarlo».
La conversazione
si arrestò. I due uomini terminarono l'ultimo sorso di grappa e zittirono per
qualche minuto, non sapendo cos'altro aggiungere. La donna si mise a fissare il
pavimento, di nuovo persa in un mondo fatato. Riprese la parola solo quando
vide Gaetanino - il micio che bazzicava spesso nella dimora del prete, sapendo
di trovare sempre qualche rimasuglio di cibo - saltare in casa dalla finestra e
infilarsi in un angolo sotto la credenza.
«Fatemi pensare,
ho bisogno di pensare e di stare sola per un po’», disse la perpetua, «se mi viene
in mente qualcosa, sarà mia premura comunicarvelo».
43.
Si ritirò nella
propria camera, affannata e disidratata e con un nodo alla gola che non ne
voleva sapere di sciogliersi. Si sdraiò per qualche istante, ma era troppo
agitata per poter riposare come avrebbe voluto. Molti pensieri si accavallarono
nella sua mente. Compreso quello del famigerato cocchiere che mezzo ubriaco
l'aveva ricondotta a casa. Covava ancora molta rabbia nei suoi riguardi. Le
ultime ore trascorse erano state a dir poco rocambolesche, orribili, diverse,
devastanti. Le peggiori della sua vita. Mai si era sentita così male, così
psicologicamente in balia di forze che non riusciva a mettere fuoco e a domare;
mai s'era trovata in una situazione tanto difficile anche dal punto di vista
pratico. Ora cosa avrebbe fatto? Non sarebbe potuta rimanere per sempre nella
casa di don Filippo… Quale sarebbe stato il suo destino?
L'arrivo del
Marengo e del Boffalora, peraltro, non aveva migliorato le cose. La loro visita
l'aveva ulteriormente scombussolata. Benché avessero usato toni docili e
gentili, aveva notato nel loro modo di fare un atteggiamento troppo
spregiudicato, vagamente accusatorio, che non le era andato giù. Non bastava
dover fare i conti con la morte di don Filippo, un prete al quale aveva
imparato a volere bene, sinceramente, con cui si sentiva in sintonia, come se
si fosse trovata a vivere in una famiglia tutta sua; c'era ora anche da dare
una risposta agli uomini della legge, come se la colpa della scomparsa del
sacerdote potesse in qualche modo essere ricondotta anche a lei. Che idea
assurda.
Ma fu un'idea
che in qualche modo si insinuò nella sua mente già febbricitante, mandandola
definitivamente in tilt. Lasciò il letto e tornò in cucina per rinfrescarsi con
un panno umido. Tracannò un bicchiere d'acqua e cominciò a vagare per la casa
come una disgraziata. Ogni respiro era una pugnalata al cuore. Le mancava
l'aria. Prese l'immaginetta della madonna infilata in un quadretto, e pregò con
tutte le sue forze di poter superare presto un simile calvario. Borbottò
qualche parola in latino, senza rendersene conto. E chiuse con una sfilza di
"ora pro nobis". Inciampò nel Gaetanino diretto verso l'orto. Per
poco non gli tirò un calcione sul muso. Aveva voglia di sfogarsi, con qualunque
cosa le fosse capitata a tiro. Non era da lei, tuttavia capiva che tante
tribolazioni dell'anima non sono certo cose da tutti i giorni e che, dunque,
non ci fosse niente di male nell'individuare un modo per giustificarsi.
Dalla porta del
retro guadagnò il piccolo spazio verde appannaggio della curia, lo stesso dove
chissà quante volte aveva osservato imbarazzatissima il suo prete innaffiare di
ammoniaca verbene e nasturzi. Si soffermò sul cielo terso, che incredibilmente
le pesò come un macigno. Si mise a strappare alcune erbacce che crescevano
rigogliose fra i gambi di iris ormai sfioriti. Fu un gesto che compì senza una
vera consapevolezza, come se fosse l'unica cosa che le rimaneva da fare per
allevare il dolore: compiere qualcosa di fisico per cercare di non dovere più
pensare a niente. In effetti, dopo pochi minuti le sembrò di stare un po’
meglio. Strappò chili di cellulosa con sempre più accanimento, quasi non
rendendosi conto del tempo che passava.
44.
Non ci mise
molto a rinfrescare i suoi pensieri e a rendersi conto che aveva detto solo in
parte ciò che sapeva ai due compaesani giunti in curia per interrogarla. Sapeva
di più, ma aveva preferito tacere. Sapeva in particolare di due personaggi che
non le erano mai piaciuti, di cui nemmeno sapeva il nome. Arrivavano e con
arroganza si accomodavano al tavolo della cucina, in attesa che don Filippo
rientrasse da qualche celebrazione. Era praticamente costretta a servigli il
caffè, per tenere a bada la boria che li contraddistingueva e che li portava a
ridere sbracatamente per le battute più assurde. Vedendoli, don Filippo
rabbuiava, il suo volto vestiva una maschera di insofferenza e dava proprio
l'impressione di non voler avere a che fare con essi. Ma alla fine cercava in
tutti i modi di essere cordiale, chiedendogli come andava, e quale buon vento
li avesse portati dalle sue parti. Fingeva, la perpetua non aveva fatto fatica
a capirlo. Conosceva molto bene don Filippo e tutto ciò che si celava dietro a
ogni suo sguardo.
Li invitava a
seguirlo, e poi, chissà dove andavano a imboscarsi. La perpetua non l'aveva mai
capito. Non aveva mai compreso, dove andassero a rintanarsi come fuggiaschi
pedinati dalla gendarmeria, per un paio d'ore, lontano da tutto e da tutti.
L'unica cosa certa è che don Filippo rientrava sconvolto e addolorato. Come se
l'ennesima tegola gli fosse precipitata sul capo. La perpetua gli chiedeva cosa
ci fosse che non andava, ma ogni volta cercava di glissare l'argomento. Non ne
voleva parlare. C'era qualcosa che lo tormentava, era evidente, ma non c'era
modo di riuscire a convincerlo ad aprirsi. Nel mezzo di queste elucubrazioni,
la perpetua non s'era accorta che ormai s'era fatto tardi, l'imbrunire era alle
porte e lei non aveva ancora messo nulla sotto i denti. Sentì un certo
languorino, e finalmente si decise a spalancare le ante della credenza per
sgranocchiare un po’ di pane malfermo.
Si sentì meglio
quasi subito, ma con una stanchezza che non aveva mai provato. Si decise ad
andare a letto, ma prima di salire in camera, fece una capatina nel soggiorno
per recuperare un cuscino che l'avrebbe aiutata a vincere il bruciore di
stomaco che da un po’ di notti la perseguitava. Notò sopra il camino qualcosa
di strano e in una manciata di secondi le fu chiaro che sulla mensola mancava
qualcosa: il candelabro d'argento. Era forse l'unico elemento di valore
dell'intera curia. Omobono Farina l'aveva ricevuto da qualche alto prelato e
alla sua scomparsa era rimasto a Burago. La perpetua sbigottì. Ricollegandosi
alle nuove tesi del Marengo e di Boffalora, pensò che il prete potesse essere
stato assassinato per un furto. Ma era possibile arrivare a tanto per un solo
candelabro? C'era in giro molta gente messa male, ma per fregare qualcosa nella
casa di un prete, rifletté, non serviva arrivare a commettere un omicidio. Era
sulla strada sbagliata, ma non aveva più le energie per reggersi in piedi e non
volle pensare ad altro. Salì in fretta e furia le scale, si spogliò e dimenticandosi
per la prima volta in vita sua di recitare le orazioni, sprofondò nel sonno.
8 agosto
45.
Verso le tre di
notte, nel buio più completo, le parve di udire una voce provenire dalle
profondità della terra. Qualcosa di molto simile a un grido che le incusse
grande paura. Pensò all'inferno e alle creature che lo popolavano. Credeva
nell'inferno, forse più che nel paradiso ed era convinta che gran parte delle
persone fosse destinata a bruciare per l'eternità. Viveva perennemente con il
timore di compiere qualche peccato, e ogni sua azione era frenata dal dubbio e
dall'angoscia. Solo la consapevolezza di poter vivere al fianco di un prete era
riuscita a darle un po’ di serenità. Ma ora era tutto finito e il potere degli
inferi tornò a incombere su di lei.
Tentò di alzarsi
dal letto per correre a bere un bicchiere di acqua, ma fu come se le sue membra
fossero immobilizzate. I muscoli e i nervi erano duri come la roccia e anche il
respiro sembrava contratto e difficile. Si rese conto di non riuscire a dare una
spiegazione a ciò che le stava capitando, e presto ebbe l'impressione di poter morire
da un momento all'altro. Eppure era solo l'inizio dell'incubo. Dopo pochi
istanti, infatti, ai piedi del letto intravide una figura che conosceva molto
bene: era quella di don Filippo. Riconobbe senza esitazione il suo lungo
vestito nero, e piano piano anche il suo volto rubicondo. Terrorizzata come non
era mai stata nella vita, cercò nuovamente di trovare la forza per alzarsi ma invano.
Don Filippo la fissava e lei non riusciva nemmeno a muovere un dito.
A questo punto,
però, come per magia il tremore e la paura si smorzarono, a favore di un
crescente senso di beatitudine. Comprese di trovarsi in una sorta di limbo
metapsichico, dove ogni cosa terrena perdeva di significato, e anche il tempo e
lo spazio assumevano sfaccettature originali e lontanissime dalla quotidianità.
Don Filippo, sempre immobile come una statua, la salutò con un repentino cenno
della mano e le sorrise dolcemente. Era il solito don Filippo di sempre,
gaudente e brioso, per il quale da anni lavorava e che poteva ormai dire di
conoscere come un figlio. Non seppe quanto durò quella comparsa inaspettata,
forse una delle più belle sensazioni di pace che avesse mai provato. Poi don
Filippo, così come era arrivato, se ne andò. E solo allora notò che le sue
braccia e gambe erano ancora libere di muoversi come volevano.
Le sembrò di
risvegliarsi da un sogno tanto terrificante, quanto meraviglioso. E si ritrovò
a gestire una gioia inaspettata, autoconvinta del fatto che don Filippo fosse
sceso apposta dal paradiso per lei, per rassicurarla e comunicarle che stava
bene e che avrebbe vegliato sul suo cammino. Scesa a pianterreno ingollò un
paio di bicchieri d'acqua e varcò la soglia del giardino per respirare il
clamore della notte. Le venne incontro il Gaetanino, che si strusciò sulle sue
gambe piene di vene varicose. Si sentì libera e profondamente felice. Tornò a
riposare convinta che l'indomani avrebbe rivelato al Marengo e al Boffalora
tutto ciò che sapeva di don Filippo: dei due strani personaggi che lo
perseguitavano… e del candelabro scomparso.
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