martedì 22 ottobre 2013

Ferragosto # 2


6.

La Cesira strabuzzò gli occhi, terribilmente angustiata.
«Cos'hai detto?».
«C'è scritto "scusatemi"».
La Cesira squadrò l'amica senza parole.
«Secondo te cosa significa?».
«Non lo so e forse non vorrei nemmeno saperlo».
Il Giannino le fissò dall'alto col volto stranito, incapace di immaginare quel che potesse essere accaduto al prete; benché di certo, rifletté con soddisfazione, tutte le malvagie insinuazioni sulla sua pigrizia avanzate dalla Cesira, si fossero ormai dimostrate palesemente infondate.  
«Che faccio?».
«Dai un'occhiata alla casa per assicurarti che sia tutto in ordine, anche in giardino, e poi scendi a mostrarci quel che hai trovato», disse la Maria, in tono un po’ sgarbato.
Il ragazzo sbuffò e si mise in cerca di eventuali altre tracce che potessero fare luce sulla sparizione del prete; ma non trovò nulla di strano.
Corse dabbasso e sottopose la missiva alle due compaesane, che esaminarono il reperto con grande attenzione, maneggiandolo con la delicatezza riservata normalmente agli oggetti più preziosi e delicati. 
«C'è proprio scritto così», mugugnò affranta, la Maria, «"scusatemi", ma cosa starà a significare?».
«Mah, a meno che…».
«Stai scherzando?».
«Stai pensando anche tu a quel che sto pensando io?».
«Perché, a cosa state pensando?», chiese il Giannino, rompendo il loro idilliaco botta e risposta, rammaricandosi del fatto di non essere ancora riuscito a elaborare una valida tesi che potesse giustificare il misterioso destino del pievano.
«Lascia stare», disse la Cesira, «non corriamo troppo. Questo messaggio può voler dire mille cose. Ma non pensiamo subito al peggio».
«Povero don Filippo…», blaterò il giovane, tormentato dai dubbi.  
Passò la Ilma Casiraghi, parente alla lontana del sindaco Raimondo Boffalora, che si stupì nel vedere quel terzetto improvvisato e furtivo alle spalle della casa di don Filippo; diede, dunque, sfogo alla sua proverbiale curiosità, facendosi avanti con una battuta scontata, ma ideale per farsi spazio nella conversazione.
«Si lavora sodo stamattina, eh».  
Le due donne dondolarono la testa e le fecero cenno di avvicinarsi:
«Ilma, don Filippo è scomparso».
La donna sorrise di gusto, credendo che le stessero tirando qualche stupido giochetto per divertirsi e arrivare a sera con piglio irriverente.  
«Cosa?».
«Scomparso. Guarda cosa abbiamo trovato».
La donna lesse il biglietto e cambiò subito espressione:
«Che vuol dire?».
«E' il biglietto che ho recuperato dalla scrivania di don Filippo», disse il Giannino.
«Oddio», tartagliò la Ilma, «non posso credere che…».  
«Neanche noi», fece la Cesira, intuendo quel che intendesse insinuare l'amica, con l'aria sempre più scombuiata, «tuttavia questo messaggio potrebbe essere fin troppo eloquente».
«Oh, Santa Maria Vergine», esclamò la nuova arrivata, «e adesso che si fa?».
«Dobbiamo comunicarlo agli uomini, al più presto», disse la Cesira, «sarà il caso di provare a cercarlo, prima che sia troppo tardi. Da qualche parte sarà pur andato».
«Ma adesso tutti gli uomini sono al lavoro», precisò il Giannino.
«Allora spargiamo la voce, a chiunque», reclamò la Ilma, «non perdiamo altro tempo, magari qualcuno l'ha visto in giro. Gli uomini li informiamo all'ora di pranzo, quando rientrano dalla campagna. Che ne dite?».
«Aspettate», intimò il Giannino, «a quest'ora il Marengo dovrebbe essere in casa. Andiamo prima da lui, e sentiamo cosa ci dice. Poi capiremo come muoverci».
«Giusto, il Marengo», recitò la Maria, con il suo tipico entusiasmo giovanile. «Di solito la mattina se ne sta nel suo studio a scrivere, a pensare, a studiare qualche nuova legge… facciamogli vedere il biglietto e vediamo cosa ne pensa».

7.

Era l'uomo più in vista del paese, ancor più del sindaco; in pratica, il saggio della comunità, a cui tutti si appellavano per un consiglio, un aiuto, un'intercessione. Abitava in una vecchia e isolata casa sul confine con l'amministrazione di Ornago, verso cascina Rossino. Si riconosceva anche da lontano, poiché spiccava in mezzo ai campi di frumento e granoturco, come un gigantesco fungo su un sottile e marcescente strato di aghi di pino.
Le tre donne e il Giannino si misero in marcia per la casa del Marengo, senza sapere bene cosa stessero facendo, percorrendo in fretta e furia la via centrale del paese e poi il curvone che conduce al confine col villaggio dove sorgeva il famoso santuario dedicato alla Beata Vergine del Rosario. Bussarono con forza alla sua porta, né più né meno come avevano fatto poco prima a casa di don Filippo, ansiosi di potere dare l'incredibile notizia al loro luminare.
«Che diavolo è tutto sto chiasso».
Il Marengo stava consultando un saggio di numismatica, con un paio di occhiali che anziché migliorargli la vista, gliela peggioravano. Non seppe spiegarsi il motivo di tanta foga. Sapeva che da un po’ non pioveva, che i campi ne stavano risentendo, e che tanti buraghesi erano preoccupati per le scorte invernali, tuttavia gli sembrò davvero fuori luogo che alcuni di essi potessero correre da lui per un motivo del genere, risaputo e scontato. Doveva esserci dell'altro di ben più grave. Un'impellenza. Forse qualche paesano s'era fatto male nei campi; non era raro che qualcuno rimanesse ferito con una pala o un forcone.
Lasciò di malavoglia la scrivania e raggiunse l'uscio, dove trovò i quattro compaesani con le facce sconvolte, come se avessero appena visto un fantasma.   
«Diamine, che succede signori? Cos'è tutta questa agitazione?».
La Cesira fece una smorfia assurda, con gli occhi che per poco non sputarono sangue. Acciuffò con rabbia la mano del Marengo e gli spiaccicò sul palmo il foglietto trovato da don Filippo.
L'uomo sbigottì, strizzò gli occhi e lesse ad alta voce:
«"Scusatemi"».
E subito dopo:
«Che vuol dire? Chi ha scritto questa cosa?».
«Marengo», fece la Cesira, «non la riconosce la calligrafia? E' quella di don Filippo!».
Il Marengo inarcò le sopracciglia mostrando tutto il suo stupore: all'improvviso gli parve di essere precipitato in un incubo.  
«Quindi?».
«Don Filippo è scomparso», incalzò il Giannino, «sono entrato dalla sua finestra della cucina, sollecitato dalla Cesira che pensava stesse ancora dormendo, e… ho trovato questo biglietto».
Il Marengo scosse la testa, meditabondo.
«Calma signori, calma».
Gli parve impossibile che davvero il pievano fosse sparito così, dall'oggi al domani, senza alcun preavviso, lasciando solo quel misero e criptico straccetto di cellulosa sulla scrivania. Capì che qualcosa non quadrava e che andava immediatamente dato il giusto peso e valore alla vicenda.  
«L'altra sera don Filippo era in giro per il paese, abbiamo scambiato due chiacchiere, l'hanno visto tutti», rifletté il Marengo. «Non capisco dove e come possa essere sparito. E non mi sembrava certo depresso da pensare di compiere qualche gesto sconsiderato».
Al suono di queste parole la Cesira rabbrividì, non osando minimamente immaginare che don Filippo potesse avere perso la testa fino a smarrire i lumi della ragione. Lei stessa lo poteva confermare meglio di chiunque altro, che spessissimo si trovava a vagabondare fra le sue mura di casa: don Filippo era l'uomo più felice e tranquillo della terra. Impossibile credere che potesse aver compiuto qualche gesto sconsiderato. Ma allora cosa era successo?
«Ci penso io», disse il Marengo, congedando i quattro. «Mi metto io sulle tracce del prete, ma intanto portatevi avanti e fate sapere a tutti della sua sparizione».
«E come rimaniamo d'accordo?», domandò il Giannino.
«Se non abbiamo notizie di don Filippo entro sera, ci vediamo dopocena in piazza per un'assemblea, con tutti gli uomini del paese».
«Un'assemblea?», chiese la Maria.
«Organizzeremo insieme il da farsi, senza farci prendere dal panico», chiuse il saggio della comunità, «vedrete che ritroveremo don Filippo sano e salvo».

8.

Dopo il pasto serale si raccolse nella piazza centrale del paese gran parte degli abitanti di Burago. I loro volti erano tirati e preoccupati: le indagini del Marengo non avevano dato alcun frutto e a chiunque parve assolutamente inverosimile che don Filippo potesse essere sparito. Sparito dove? E perché?
Erano le domande che si accavallavano con maggiore frequenza, coinvolgendo un po’ tutti, grandi e piccini. Per i più piccoli, per la verità, fu anche motivo di divertimento: nella loro vita non si erano mai trovati a vivere un momento così critico, che l'innocenza aveva tramutato in una specie di fiaba agrodolce. La folla si ricompose e il silenzio calò, quando dalla parte opposta all'ingresso principale della chiesa comparvero il Marengo e il sindaco del paese, Raimondo Boffalora; che il primo aveva interpellato subito dopo la visita delle tre donne e del Giannino.
Il Marengo aveva la faccia scura, come raramente era capitato di vedere. L'intero giorno trascorso senza avere scoperto nulla, gli aveva procurato una forte apprensione, al punto che era arrivato a temere il peggio; in cuor suo s'era immaginato che prima del calare della sera, il pievano sarebbe ricomparso fra i suoi fedeli, rassicurandoli su ogni cosa, dissipando qualunque funerea previsione; ma così non era avvenuto e ora c'era davvero da capire in che modo muoversi per cercare di venire a capo dell'incredibile enigma.
I due uomini cavalcarono un piccolo palchetto, riservato di solito alle cerimonie religiose o ai festeggiamenti, e presero a interloquire con i presenti con grande solennità:
«Cittadini di Burago», esordì il Marengo, come il grande capo di una tribù zingara, «oggi abbiamo ricevuto questa inaspettata e indecifrabile notizia, che immagino sia ormai di dominio pubblico. Don Filippo è ufficialmente sparito. Ma non sappiamo ancora nulla. Non sappiamo se è scappato, se si è fatto male da qualche parte, o se si è…»
La folla brontolò angustiata.
«L'unica cosa che abbiamo è questo biglietto… c'è scritto "scusatemi". Ma non lanciamoci in conclusioni affrettate. Può volere dire ogni cosa. L'importante, in questo momento, è non farci travolgere dall'emozione».  
Con un cenno del mento, invitò il sindaco a proseguire.
«Io e il Marengo ci siamo riuniti oggi pomeriggio e abbiamo deciso di organizzarci in questo modo. Domani sospendiamo qualunque attività, per dedicarci unanimemente alla ricerca di don Filippo. Se è scomparso come sembra, qualche traccia dovrà pur esserci. L'appuntamento è con tutti voi per le sei in punto, qui. Ci organizzeremo in due gruppi. Il primo, con il Marengo, passerà al setaccio la parte settentrionale del paese; il secondo, con me, quella meridionale. Dopo cena ci ridiamo appuntamento in questa sede, per vedere cosa abbiamo raccolto e… nient'altro, questo è quanto».
La folla si espresse con un potente brusio, ma nessuno se la sentì di opporsi all'invito del Marengo e del sindaco, benché tutti fossero consapevoli del fatto che, saltare un giorno di lavoro, in piena estate, non era certo una bella cosa.
«Se qualcuno ha delle domande da porre, questo è il momento giusto per farlo», recitò il Marengo.  
Nessuno fiatò. Il sindaco si guardò intorno perplesso in cerca di un'eventuale battuta a tempo scaduto, ma non si sentì volare una mosca.
«Bene, allora… possiamo andare a dormire, un buon riposo farà bene a tutti noi: domani ci aspetterà una lunga giornata». 

9.

4 agosto

L'ultimo ad arrivare in piazza fu il Giannino che aveva trascorso la notte perseguitato dagli incubi. In uno c'era don Filippo trasformato in un cadavere vivente che cercava di mangiargli la testa; un sogno tanto terribile da ridestarlo completamente nel cuore della notte, obbligandolo a girare per casa come un mentecatto.
«Allora ci siamo tutti», gridò il Marengo, «facciamo un po’ di attenzione».
Il sole era ancora basso sull'orizzonte e il braccio che il Marengo allungò davanti a sé non inventò alcuna ombra, rendendo ancora più lugubre l'imponente puntello.
«Alla mia destra, con me, alla mia sinistra, con il sindaco. Come dicevamo ieri… setacciamo nord e sud, senza farci scappare nulla, anche l'indizio più banale potrebbe rivelare qualcosa di importante».
«Le donne rimarranno a casa con i bimbi più piccoli», precisò il sindaco, con volto segnato da un risveglio troppo brusco, «torneremo per l'ora di pranzo. Se non abbiamo trovato nulla riprendiamo le ricerche nel pomeriggio».
Si misero in cammino come profughi in fuga da una terra devastata da epidemie e pestilenze, per un lungo tratto in fila indiana, come accade in processione.
Giunsero a un paio di chilometri dal centro abitato e, in corrispondenza delle prime boscaglie, si sparpagliarono ovunque, cercando di intuire quale direzione avrebbe potuto prendere il prete. Sperando, dunque, che fosse scappato e null'altro.
Ogni anomalia del paesaggio poteva essere potenzialmente utile alle indagini; così qualche brandello di vestito o i segni del passaggio di un cavallo al galoppo.
Il gruppo del Marengo perlustrò la zona a nord di Burago, dai confini con i giardini di villa Sottocasa, alla strada per Roncello, aiutandosi con dei bastoni per vincere i punti più impervi. Il giovane Andrea Brambilla, noto per la sua eccessiva sensibilità, tirò un urlo quando vide dietro un cespuglio di rovi uno scheletro. Vari uomini accorsero per capire cosa fosse accaduto, ma non ci volle molto a intuire che si trovavano di fronte al banale resto di un roditore, o forse di una volpe. Il severo Domenico Carimati, cugino del sindaco, gli tirò uno scappellotto ammonendolo di non sollevare cagnara per niente. Il ragazzo non si scompose più di tanto e riprese le sue ricerche come un cane bastonato.
A sud, invece, poco oltre i confini della strada che conduceva a Omate, gli uomini del sindaco girarono intorno a un pericolante cascinotto che pareva contrassegnato, in corrispondenza della porta d'ingresso, da macchie di sangue.
Lo stesso primo cittadino attirò l'attenzione dei perlustratori rimasti nel suo raggio d'azione, perché venissero a esprimere la loro opinione ed eventualmente a dargli una mano a sfondare l'uscio.
Pochi istanti dopo la questione venne risolta dall'arrivo improvviso e furibondo del padrone della piccola costruzione, che nonostante il disappunto spiegò loro l'origine del liquido ematico che aveva impiastrato parte della sua tenuta: era quello proveniente da una gallina che la moglie aveva sgozzato il giorno prima, per cuocerla in padella. Alla fine si risolse tutto con una risata isterica.
A mezzogiorno nessuno dei due gruppi aveva scovato granché. Tornarono in paese e, mangiucchiando qualcosa, si confrontarono sulla battuta appena conclusa.
«Siamo ancora in alto mare», disse il sindaco.
Il Marengo lo fissò perplesso.
«Sono anch'io dubbioso. Ma magari oggi pomeriggio andrà meglio».
Il Giannino storse la bocca, rincuorandosi che il saggio della comunità potesse avere anche solo un briciolo di ragione.

10.

Ripresero le ricerche all'una, puntando verso le radure che dividevano Burago da Cavenago, una zona presa poco in considerazione dal vivere quotidiano, anche per via delle numerose macchie boscose che in certi punti rendevano davvero difficoltoso il cammino e improponibile il transito di carri e buoi.
Il sindaco e i suoi uomini si diressero verso sud, dalle parti di cascina Trivulzina, in anticipo di qualche metro sui terreni che davano su Caponago e Cambiago. Chiesero agli abitanti del piccolo centro cavenaghese, se per caso avessero visto da qualche parte don Filippo. Ma la risposta fu negativa.
«Gli è successo qualcosa?», chiese una donna sulla cinquantina, particolarmente curiosa di ciò che accadeva a Burago, da cui proveniva il suo ramo materno.
«Non sappiamo che fine abbia fatto. Non si trova da almeno ventiquattro ore».
La donna ebbe un sussulto.
«Oh, Maria Vergine, ma com'è possibile?».
Il sindaco non volle darle troppa corda e la congedò con un misero cenno del capo. Salutarono tutti e tornarono sulla loro strada, affaticati dal calore e da ore e ore di cammino sulle spalle, senza alcun risultato.
Nei pressi del confine con Omate, si soffermarono su un cippo che pareva essere stato mozzato da poco nella parte superiore, alterando la scritta che indicava le distanze da Monza e Melzo. 
«Raimondo, guarda qui», si fece avanti Carlo Bucchi, il panettiere.
Il sindaco si avvicinò al cippo e lo accarezzò con la mano destra, impolverandosela.
«Strano, qualcuno deve essersi divertito con una vanga o un badile».
«Qui è addirittura saltato via un pezzo di granito».
Il primo cittadino guardò l'amico con sufficienza.
«Ma non saprei in che modo collegarlo alla sparizione del prete».
Il Carlo fece una smorfia buffa, rendendosi conto dell'inutilità della scoperta, ma anche del fatto che ogni tanto valeva comunque la pena soffermarsi su qualcosa di anomalo, benché banale; dando così un minimo di senso alla giornata; altrimenti sarebbe stato solo un continuo guardarsi intorno monotono e preoccupato, che nel giro di poco avrebbe ridotto a zero l'umore dell'improvvisata truppa.  
Sull'altro fronte le cose non andarono meglio. Dopo aver perlustrato i boschi fra Burago e Cavenago, ed essere finiti più volte circondati da minacciosi rovi, il Marengo e i suoi uomini si ritrovarono senza forze e speranze nei pressi del famoso laghetto, il piccolo stagno che sorgeva a metà strada fra i due paesi, e che d'estate si copriva di una spessa coltre verdognola, dovuta all'accumulo esagerato di materiale algale.
«Sarebbe utile che qualcuno andasse a farci un giro».
«Ma è pericoloso», disse Ferdinando Sala, un contadino della periferia buraghese.
«Ci vado io», si propose l'Ambrogino, il figlio di Pia la lattaia.
Il Marengo lo guardò affranto, rendendosi conto che, in effetti, avrebbe potuto correre dei rischi.
«Sei sicuro?».
«Sicurissimo».
«Va bene, ma stai attento: non avvicinarti troppo alle sponde… sai che possono trasformarsi in una trappola mortale».
«Non ho paura di niente, io».
«Ma la prudenza non è mai troppa».

L'Ambrogino lo fissò esaltato, orgoglioso di avere ricevuto un incarico tanto importante. Partì con foga, quasi di corsa, e in una decina di minuti fu a destinazione. 

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