martedì 27 novembre 2012

belle epoque, fra il passatismo di de gregori e l'avanguardismo di biolay


ascolto in questi giorni due dischi accomunati dal titolo di un brano: belle epoque. ma sono due dischi lontani anni luce. il primo è stanco, inutile, ripetitivo, potrebbe essere stato edito nel 1989 e sarebbe la stessa cosa. il secondo è moderno, fresco, internazionale, propositivo. il primo è di un mio vecchio amico, il secondo di un amico recente. i dischi del primo li ascoltavo negli anni novanta, amavo soprattutto i primi, quelli fino al '75. quelli del secondo li ascolto da qualche anno e ancora adesso sanno stupirmi. de gregori non s'è evoluto di una virgola, crede ancora che al mondo esistano solo dylan e cohen, i suoni delle sue chitarre e gli arrangiamenti sono terribilmente stantii, obsoleti, vetusti. anche verbalmente sembra passo, tronfio, loffo. l'erede di gainsbourg, invece, mette in campo il meglio dei suoni di oggi, affiancandosi a figure cult dell'intellighenzia artistica mondiale, dall'eterna vanessa a barat. ma forse non è il caso di meravigliarsi più di tanto. il primo è l'incarnazione vivente della sonnolenza romana, particolarmente esuberante in chi dopo due anni di lotte fra il sessanta e il settanta ha pensato bene di viversi addosso, convinto di un'idea intramontabile, sbiadita, in verità, già da decenni. il secondo… è la crisi di oggi, d'accordo, ma anche un monito onesto a continuare a fare musica.

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