lunedì 18 marzo 2013

Laila # 1


1.

L'amore adulto

No, no, niente di tutto ciò... non ho nessuna intenzione, per il momento, di scrivere un libro, un romanzo, un racconto più o meno lungo, trecentomila battute, quattrocentomila, rilegatura in pelle, copertina cartonata e bla, bla, bla... tantomeno un diario, il diario di... Nabokov, Neruda, Anna Frank, qualche lettura svolta nel corso dei secoli, dalle scuole medie in poi. Di fatto, non ho in mente nessuna traccia, una linea guida, un timone, una trama!, dei capitoli preconfezionati, prestabiliti, pensati durante qualche notte insonne, fra un incubo e l’altro. Scrivo a caso, a ruota libera, come un essere ingordo di parole, anche se non sono mai stato affamato di simili intenti, ma solo di ciò per cui, probabilmente, vale davvero la pena essere affamati: il cibo. Per il resto... scrivo perché ho voglia di parlare con qualcuno che non sia un essere umano... perché ho voglia di sfogarmi con un foglio di carta bianca, insignificante e amorfo, picchiettando sulla macchina da scrivere di una mia vecchia amica; un attrezzo vetusto, ma funzionante, che ha dimenticato da me, e non mi ha mai più richiesto, anche perché ci siamo persi di vista, inesorabilmente...
Stavamo quasi insieme, era un mucchio di tempo fa, ma senza farci coinvolgere troppo sul piano emotivo; come se avessimo paura di farci del male. Ci vedevamo, parlavamo del più e del meno, ci raccontavamo storie dei tempi andati, e ci stuzzicavamo sotto le coperte, come innocenti bambinetti. Ricordo ancora benissimo la prima volta in cui siamo andati oltre, mettendoci definitivamente in gioco e rinunciando ai nostri buoni propositi di ritrovarci a benedire l'ennesima tragica storia. Ci stavamo annoiando, era una sera buia e fredda, ma con l’aria già satura di aromi primaverili. Le chiesi cosa potevamo fare e lei fu senz’altro molto più brillante di me nel trovare sfogo all’agonia:
«L’amore?», mi chiese. 
Potevo aspettarmelo, volevo aspettarmelo, ma feci finta di niente, come un burbero delle steppe caucasiche, un anacoreta rapito da una tragicomica estasi, per il quale ogni gioia terrena è priva di qualunque logica e senso. Dopo pochi istanti, però, eravamo già a metà dell’opera, uno sopra all’altro; intenti a regalarci attenzioni inusitate e operazioni di contorsionismo lontane da ogni innatismo posturale. Non andammo molto per il sottile, soffermandoci su spergiuri anatomici preclusi alla luce del sole, come se stessimo vicendevolmente maneggiando una lente microscopica, per portare a compimento un'analisi microbiologica prima dell'imminente calar delle tenebre. Non mi piacque molto l’odore della sua pelle - o forse era quello del profumo che s’era spruzzata sul collo la mattina - percependolo in antitesi con la mia trama molecolare, ma fu comunque entusiasmante. Anche per lei lo fu, pensai, tenendo conto di requisiti femminili che non percepivo da lungo tempo. Andammo avanti di questo passo per vari mesi. Il più delle volte ero io a recarmi da lei, una vecchia abitazione sul limitare di una battuta via risalente alle centuriazioni romane; non molto distante da un'ampia area industriale dove per anni avevano trattato, senza alcuna riserva per l'ambiente, amianto e altri veleni. In alternativa, trovavamo sfogo al nostro desiderio di incontrarci, percorrendo a casaccio le strade che conducevano verso sud, verso il confine con il Lazio; una volta, per esempio, finimmo per rintanarci nello scantinato di una casa mezza abbandonata nel ventre di un piccolo paese della val Roveto, invaso dalle mucche ogni dì e da effluvi che rimandavano a mestieri caduti nell’oblio, come il lattaio, il mugnaio, l'arrotino. Ci ritrovammo calati in un'inaspettata cornice romantica, l'ideale per la nostra curiosità e voglia di tuffarci in esperienze che sembravano azzerare il tempo ed evocare il paranormale. Poi, però, quando entrambi razionalizzammo che non ci sarebbe stata storia, una vera storia - poiché era sempre stato subdolamente evidente a tutt'e due, che fra noi non ci sarebbe stato futuro - cominciammo a vederci sempre meno, fino a perderci e a dimenticarci.
Così di lei e di tutto ciò che fra noi c’è stato, non mi rimane che questa macchina da scrivere, con i tasti neri, uno solo rosso, ridicolo in mezzo a tutti gli altri, perduto in una giungla di bottoni consumati dal sudore acido dei polpastrelli; anch’essa, ormai, sempre più appannaggio di sorrisi trascorsi, e indipendenti dalla sua traballante e sfocata immagine. Davvero, non so che fine abbia fatto, né dove sia andata ad abitare. Qualche tempo fa, però, incontrando un pingue avvocato con cui avevamo avuto a che fare - per una questione legata a un documento, che stando al nostro verace giudizio, giustificava il diritto a un’eredità, che peraltro aveva avuto intrallazzi con la sorella maggiore della mia intima conoscente, una mezza storia finita malissimo - venni a sapere che probabilmente s’era trasferita in una città del nord Italia.
«Novara», accennò il mio interlocutore.
Aveva messo al mondo due pargoli e per far contenta non so chi, pensai a un alto prelato della famiglia (sapevo che aveva un paio di zii che erano finiti in seminario), s’era sposata in chiesa. Non feci una piega; neppure mi avessero parlato di Arimo, il cane del vicino che abbaiava tutte le volte che arrivavo a casa e che maledivo con tutte le mie forze, promettendomi un giorno di farlo saltare in aria con una miccia esplosiva, opportunamente installata nel punto in cui amava di più andare a caccia di lumache. Risentendo parlare di lei, fu come riappropriarmi del sogno di quella inaugurale e fantasmagorica notte di mezza primavera; e si riaffacciò alla mia mente una frase che mi pronunciò uno degli ultimi giorni in cui ci vedemmo e che, in qualche modo, mi colse impreparato per la sua drammaticità.
«Che delusione l’amore».
Trasalii.
«Come hai detto, scusa?».
«Hai capito benissimo».
«Sì, ma non capisco a cosa ti riferisci».
Mi guardò malamente, come si guarda uno sconosciuto con la faccia da schiaffi.
«L'amore adulto è una gran fregatura».
«Perché esiste anche un amore infantile?».
«Esiste l'amore che si rincorre quando si è molto giovani, destinato a rimanere una sciocchezza, un'utopia».
«In sostanza, non credi nell'amore eterno», azzardai con un sorriso beffardo, cercando di sdrammatizzare la situazione.
Mi condì via con un'espressione cinica.
«L'amore eterno esiste solo nei lieto fine dei film».
Apprezzai la sua arguzia.
«Perché se i film andassero avanti oltre i lieto fine…».
Ci capimmo.
«Le spine spuntano presto, e qualunque idillio svanisce come cenere al vento».
Usò proprio queste espressioni poetiche che mi lasciarono interdetto per un istante, non conoscendo questa sua attitudine all'universo letterario, ma anche non sapendo, sinceramente, come controbattere. Rimuginai, tramortito da un impeto saccente, su qualche dramma shakesperiano, anche se del vecchio bardo non avevo mai letto nulla e potevo dire di conoscerlo solo perché, anche se morto da quattrocento anni, continuava a influenzare con il suo genio l'immaginario collettivo. Quel che è certo è che non so a che amore si riferisse, di che amore stesse parlando, né quale arcano personaggio intendesse celare dietro quei suoi occhi tutt’altro che gioiosi, che sembravano indagare infiniti che non le competevano. Ma li giustificai ragionando sul suo carattere ballerino. Sapeva, infatti, ridere, ed era piacevole vederglielo fare, ma rimaneva, fondamentalmente, un tipo freddo, stonato, condizionato, calcolatore... un iceberg? Era forse timida, spaventata dalla vita, un po’ depressa o, forse, malinconica, rassegnata… era rassegnata, ecco... ecco la parola più appropriata per definirla: rassegnata. Oh, sì, certo, ho anche provato a supporre che potesse essersi innamorata di me, ma la verità è che mi frequentava solo perché non aveva alternative. Perché ero l'unico uomo che non le dava noie, non aveva alcuna pretesa, le lasciava fare e dire tutto ciò che voleva, senza mai riprenderla, anche se il suo comportamento non era in linea con il mio modo di sentire e vedere le cose. Non sapeva con chi altri passare il tempo senza finire fagocitata dallo spleen che la contrassegnava giorno e notte come il clangore di un’eresia. Non avrei altrimenti saputo comprendere il motivo per cui, mentre ci vedevamo, non perdeva occasione per confidarmi con subdola perversione l'ennesima boutade sessuale, con uomini conosciuti per caso, sul posto di lavoro, in palestra, nella hall del dentista. Se mi avesse amato, sarebbe stata più accorta.  

Manie antropocentriche

Tornando al motivo per cui mi sono messo a scrivere, cosa che non ho mai fatto in vita mia, se non per imbucare qualche cartolina, quando ancora frequentavo il liceo, stavo dicendo che preferisco confidarmi con un foglio di carta, sfogarmi con un ammasso inerme di cellulosa, piuttosto che una qualsiasi persona, semplicemente perché si fa molta meno fatica; i compromessi si azzerano e così le noie, i capricci, le incomprensioni. Può sembrare triste, forse, stupido e insensato, un rapporto di questo genere, con un foglio di carta senz'anima, incapace di corrispondere a un pensiero, barattare un'emozione, esprimere anche la più scontata opinione... ma è proprio questo che desidero; parlare con il nulla, a senso unico, senza impedimenti, senza il rischio di essere interrotto o contraddetto… ci mancherebbe pure ch'io possa essere contraddetto, ora come ora, che ho deciso di sparire proprio per non avere più nulla a che fare con le persone. Con gli uomini è tutto troppo complicato e dopo quello che è successo, che mi è successo, e che continua imperterrito a divorarmi la coscienza, non ho davvero nessuna voglia di perdere altro tempo con gli uomini; e le donne, naturalmente. Le donne, specialmente. Altre lei, come Laila. La mia Laila.
Un foglio di carta, non c'è nulla di meglio con cui sfogarsi, con cui spalancare le inferriate del proprio cuore e della mente, per donare libertà al demone che ci perseguita; il mio punch ball. Ma non è solo questo. Non posso trascurare anche il fatto di essere convinto che, in fondo, agli altri interessi ben poco di me, delle mie faccende, delle mie fantasie, delle mie turbe emozionali, del mio divenire; così come, a me, del resto, non mi importa nulla di chi mi circonda, di ciò che gli uomini si inventano per tirare a campare. Non sopporto le loro inettitudini. Dipende altresì dal fatto che, ormai, sono completamente disilluso e non ho più una grande stima dei miei simili (ammesso di avercela mai avuta!); che vilmente assimilo sempre più frequentemente a una specie dappoco, insipida, mediocre, definita intelligente per errore; un essere supremo cui sembra tutto dovuto, che si crogiola nella ricerca di un benessere fittizio, quando il vero e unico campione biologico che dovrebbe essere preso in considerazione per una corretta e filosofica analisi delle cose, dovrebbe essere di tutt’altra natura; tipo... tipo un apparentemente insignificante batterio. Sì, ho proprio detto batterio, e non batteria o battipanni o Battipaglia. Un batterio, un microbo, insomma, un esserino invisibile che si annida da tutte le parti, compresi i nostri corpi leggiadri, per il quale nessuno di noi spenderebbe due lire. Una di quelle invisibili e schifose creature che di solito riconduciamo allo sporco, all'immondizia, alla spazzatura. No, non sto farneticando. Ogni mio defalco, infatti, deriva da un'elaborata e pragmatica riflessione, in parte dovuta a certi magazine letti che mi capitavano sotto tiro quando lavoravo per la multinazionale parigina; Nature, Scientific American, Journal of Biological Chemistry... In fondo, l’ho sempre pensato e continuo pensarlo: non siamo noi i prescelti. Dobbiamo svincolarci dall'antropocentrismo. Non siamo noi i prescelti. Siamo lontani anni luce dalla verità. I prescelti dovrebbero essere appannaggio di altri mondi, altri tentativi evolutivi, altre prospettive; come i batteri, appunto, per i quali, addirittura, non avrei problemi a spendermi dicendo che solo loro dovrebbero veramente essere considerate specie pensanti, durando da miliardi di anni, e avendo elaborato un’intelligenza probabilmente molto più progredita e raffinata della nostra, sottile, non di certo basata sul famigerato QI. Ma l'uomo, nonostante tutto, continua imperterrito per la sua strada, glorificandosi di titoli che non gli spettano.
Chi condivide con me simili contenuti, non avrà dunque altra scelta se non pensare all'uomo in termini minimi, riferendosi a esseri sostanzialmente ridicoli, arroganti, presuntuosi, insignificanti, inesistenti; da sempre convinti che un inappuntabile dio li abbia forgiati a sua immagine e somiglianza, perché solo loro meriterebbero tanta grazia. Che ridicolaggine. Le domande che ne derivano, certo, sono infinite. Come si fa a essere tanto insulsi? Come può un Dio con la d maiuscola, onnipotente, trascendentale, infallibile, aver creato i presupposti per una matematica così improbabile e denigrante, il rapporto uomo-dio? Che immane tragedia! Perché, in sostanza, l’Homo stupidus stupidus, se ci sono in giro specie tanto più affascinanti e lungimiranti come i batteri? I batteri! Ripetiamolo senza remore ad libitum: i batteri. Non, quindi, i numerosi animaletti su cui siamo soliti soffermarci con tutte le nostre attenzioni affettive, ritenendoli fra le migliori prove del creato, le giraffe, gli ippopotami, gli impala! Un echidna, un ornitorinco, un opossum... tutte specie che, guarda caso, rispecchiano la nostra spocchiosa e intransigente genetica. Come potrebbe un’entità divina, perfetta, purissima, creare un mondo per farlo abitare da una sola specie dominatrice, sozza e limitata come la nostra? Come potrebbe, tenendo conto di paradigmi biologici come quello tale per cui la Terra, senza il nostro incedere starebbe benissimo, mentre si spopolerebbe in pochissimo tempo se non ci fossero i batteri... l’Escherichia coli, il Clostridium tetani, lo Stafilococcus areus, che magnifiche essenze! Se solo fossimo minimamente al corrente del loro ruolo sociale, sì, sociale, del posto in cui vivono e del perché sono così utili... ma è chiaro che non ci interessa, essendo molto più attratti dalle sciocchezze, dalle quisquilie, dalle stoltezze di tutti i dì, dalle futilità, dai risultati della schedina del totocalcio o dai programmi per la prossima vacanza al mare…
L'ennesima prova concernente l'assurdo fascino dell'antropocentrismo? Deriva dal modo in cui pensiamo agli extraterrestri, immaginandoli con due braccia, due mani, due gambe; una testa con gli occhi, la bocca e le orecchie, senza valutare minimamente che gli alieni, verosimilmente, non hanno nulla a che vedere con le nostre fisionomie. Ci arroghiamo il diritto di stabilire che il non plus ultra vitale debba per forza di cose essere ricondotto a noi; ma se, come si discuteva in precedenza, la nostra realtà è infima, casuale, ingiustificata, come può avere a che fare con la strategia selettiva più vantaggiosa e il traguardo evolutivo più vincente? Il punto è che nessuno ragiona sul fatto che l’uomo possa davvero essere il frutto dello sbaglio di un creatore e non la sua opera migliore. Continuiamo, infatti, a vivere supportati dall'idea che la nostra specie sia al centro di tutto, anche se, per fortuna, il geocentrismo è andato a farsi benedire; mentre dovremmo iniziare seriamente a pensare che, anche per la biologia, come è accaduto per l'astronomia, deve esistere da qualche parte una super legge pronta a scardinare le millenarie convinzioni dell'Homo stupidus stupidus. E a tal punto come faremo a difenderci?
I batteri, in realtà, sono solo un esempio, una metafora, era il pretesto che mi serviva per giustificare il non ruolo dell'uomo a livello universale, il ruolo nel quale s'è calato senza permesso. Ma è comunque curioso considerare che, dove i microrganismi sopravvivono tranquillamente, noi non dureremmo mezza giornata. La microbiologia non è un’opinione. I batteri proliferano nelle bocche dei vulcani, nelle nubi dei cieli, nei fondali marini a pressioni inaudite, laddove i nostri corpi verrebbero ridotti immediatamente in briciole, dove soffocheremmo e i nostri cervelli andrebbero istantaneamente in tilt. Non è questa la vera intelligenza? L’intelligenza di sapere vivere ovunque e da sempre? Perché l’uomo? Come possiamo anche solo ipotizzare che il mondo sia stato inventato per le nostre esigenze e i nostri miserevoli capricci, tipo la ricerca dell’immortalità? Che idea contorta, che antropocentrismo malato...

Tazze di caffè

Mi prendo una piccola pausa. Mi alzo e vado a farmi un caffè. Manca poco a mezzogiorno, ma non ho fame. Oggi mi limiterò al caffè. Anche stamane ho bevuto il caffè. Forse me ne sto facendo un po’ troppi, ma a chi può importare? Ormai sono solo come un epigono leopardiano, non devo più rendere merito a nessuno, se non a me stesso e all'aria che mi circonda. Quello che ho sempre voluto… che ho sempre voluto dal momento in cui è successo quello che è successo. Ma cosa è successo? Non è ancora arrivato il momento…
Il caffè sta già sbuffando. Sorseggio il caffè e do un'occhiata dalla finestra. Che paese insulso, convulso, grigio, moribondo. Ma è proprio il borgo ideale nel quale sparire, dove cancellarsi, non potevo scegliere di meglio, qui, di certo, non mi verrà a cercare nessuno dei miei vecchi conoscenti e potrò organizzare la mia nuova vita, senza scocciatori.
La strada mi separa da uno sterrato che dà su un campo di calcio. Ci sono degli alberi in lontananza, forse dei pioppi neri; non ho mai avuto dimestichezza con le specie arboree, ma per i pioppi ho un certo debole. Stanotte è piovuto e l'asfalto è disseminato di pozzanghere. Nelle pozzanghere sguazzano minuscole creature che solo io posso vedere, grazie alla forza d'immaginazione, qualcosa che non mi è mai mancato. Senza la forza d'immaginazione non sarei qui ora a fissare la strada, ma chissà dove, drogato di me stesso, strisciante in qualche anfratto perduto della terra.
Il cielo è ancora colmo di acqua; ma va bene così. Mi piacciono le nuvole cariche di pioggia. Mi ricordano le otri di qualche dio alcolista. Se oggi pomeriggio dovessi decidere di andare a farmi un giro, prenderò l'ombrello… ma potrei anche starmene in casa a vedere qualche stupido programma in tv; o a leggere. Da quando ho deciso di eclissarmi ho riscoperto l'amore per la lettura. Faccio fuori anche tre libri alla settimana. Mi piacciono i libri dei primi del Novecento o di fine Ottocento, euroasiatici, perlopiù; come quelli di Thomas Mann, Hermann Hesse, Turgenev. Finisco di bere il caffè e torno a scrivere come un automa tirando in ballo un nuovo argomento che mi assilla: il sesso.

Riproduzioni agamiche

C'è, di fatto, anche l'aspetto sessuale sul quale vorrei soffermarmi in questo mio delirio cosciente, legato al desiderio di esprimermi con un foglio di carta per tentare di cancellare, o almeno arginare, i motivi della mia fuga dal mondo. Da qualunque parte si voglia vedere, infatti, tutto dipende da lui, da ciò che i latini chiamavano sexum. Tutto ruota intorno ad esso; anche e soprattutto la nostra boria, la nostra convinzione di esseri gli unici a meritare destini raggianti, in virtù di un traguardo evolutivo che non avrebbe eguali nella storia post Big Bang. Che inaudita scemenza. Il sesso e Laila… senza il sesso ci sarebbe stata Laila? Forse, ma sarebbe stato lo stesso fra me e lei? E le cose sarebbero andate come sono andate? Sarebbero in ogni caso precipitate? Magari ci saremmo lasciati prima e…
D'ogni modo, a parte il mio caso specifico, l'umanità, senza il sesso, avrebbe solo da guadagnarci. Ne sono sempre stato sicuro e ora lo sono più che mai. E' una riflessione maturata da tempo nel mio cuore, ancor prima di incappare in Laila e nella nostra storia. Il punto è che non ci rendiamo conto di quanti problemi in meno ci sarebbero, se tutto ciò che ruota intorno a sottane e simili non esistesse. A cominciare dal maschilismo, dalla prevaricazione maschile, per arrivare agli stupri, agli omicidi e… da sempre, d'altronde, il sesso governa il mondo, come far finta di niente?
Sarebbe, dunque, sufficiente soffermarsi su questa considerazione per riflettere ancora una volta sulla nostra primitività. Se c’è, infatti, ancora oggi bisogno di un contatto carnale fra due individui della stessa specie per poter procreare è perché siamo ancora agli albori della vera civiltà. Probabilmente non sarà una prerogativa della nostra razza, ma la riproduzione, un domani, c’è da scommetterci, non dipenderà più dagli organi genitali, bensì dal cervello. Ne sono super convinto. Peni e vagine cadranno nel dimenticatoio, si atrofizzeranno e anche l'espulsione di materiale organico inadatto ai nostri metabolismi, troverà un modo diverso per smaterializzarsi, evitando di intossicarci. Attraverso dei meccanismi che oggi non possiamo minimamente immaginare, maschi e femmine s'incroceranno fra loro, producendo energie particolari che, sprigionandosi dai singoli neuroni, determineranno la genesi di un nuovo vivente. Si dice che i batteri abbiano elaborato uno stratagemma riproduttivo insignificante in confronto al nostro, ma non è vero. In realtà sono molto più avanti di noi. Si riproducono per scissione binaria - la cellula madre si divide in due cellule figlie, identiche a quella originaria - ma è proprio grazie a questa loro prerogativa asessuale, che apparentemente non contempla nessun genere di piacere, che evitano un sacco di fastidi e paranoie.  
Anche il presupposto più strambo, il più inimmaginato, del resto, finisce per essere ricondotto al sesso, e da esso dipende come una goccia di ambra fossile alla sua elegante e raffinata catenella. Ci si può aiutare con qualche semplice domanda: perché l’uomo desidera fare carriera? Perché tutti vogliono avere successo, sfondare? Di primo acchito verrebbe da rispondere: per guadagnare più soldi, ottenere fama, vivere in totale libertà. Ma ragionando con maggiore arguzia, giungeremmo a una sintesi assai più prosaica e intellegibile. Questi aspetti legati all'imposizione della propria immagine mirano, infatti, a soddisfare un solo e unico retroscena della natura umana: il potere. Di fatto, grazie alla facoltà del comando, l'uomo ha la possibilità di conquistare più donne e, dunque… fare più sesso. Perché l'uomo combatte? Nuova domanda, stessa risposta. Perché le guerre portano potere e quindi predispongono i vincitori a un parterre femminile molto più ampio su cui puntare con il proprio discernimento, rispetto a quello che spetterebbe a una povera e insulsa satrapia, perennemente assoggettata da dogmi che non la rappresentano.
Mi viene in mente la vicenda di Elena di Troia, figura di omerica memoria, anch'essa retaggio degli studi dell'obbligo. Arrivato anche per lei il momento di sposarsi, si fecero avanti tutti i leader greci, rimbambiti dalla sua bellezza. Volendola conquistare, s'iniziarono a guardare in cagnesco, rischiando di far scoppiare un super conflitto, che venne momentaneamente scongiurato dall'intervento dell'astuto Ulisse. Il leggendario navigatore suggerì, infatti, a Tindaro di sacrificare un cavallo, per poi far siglare sulla sua pelle un giuramento unanime, secondo il quale i pretendenti si sarebbero dati da fare per aiutare il fortunato prescelto, ed evitare che la moglie potesse essere rapita. Figuriamoci… speranza vana; sappiamo bene, infatti, come sono andate a finire le cose. Elena divenne moglie di Menelao e presto fu rapita dal principe troiano Paride, secondogenito di Priamo, sancendo l'epilogo più scontato: Menelao e suo fratello Agamennone dichiararono guerra a Troia.
E si potrebbe andare avanti all'infinito, poiché il sesso concerne ogni aspetto riguardante l'uomo e ogni sua attitudine. Ecco un ultimo piccolo esempio... Un giorno sono uscito a pranzo con un politico che bazzicava spesso fra gli uffici della multinazionale, che mi invitava a prendere parte al suo movimento. Gli chiesi perché avrei dovuto farlo, visto che non mi ero mai occupato di politica; e lui fu fin troppo sincero nel darmi un'esaustiva risposta:
«Perché con noi si scopa di più».
Serve aggiungere altro? Con la religione è lo stesso. Qualunque religione. I grandi capi spirituali, pur mascherando ben bene ogni loro mossa, ambiscono agli alti ruoli sacerdotali non di certo perché un giorno potranno essere proclamati santi. Anche per loro vale un solo e preponderante obiettivo: divertirsi sessualmente. Non importa se, in questo caso, l'argomento rischia di farsi ancor più delicato, dovendo tirare in ballo anche figure che, col sesso, bontà loro, non dovrebbero avere nulla a che fare. I bambini, appunto… si sono mai visti dei bimbi dichiararsi guerra? E come mai non lo hanno mai fatto? A parte, forse, ne "Il signore delle mosche" e ne "I ragazzi della via Paal"?, (che comunque rimangono due libri, frutto della fantasia di due dotati scrittori..). Proprio perché non conoscono ancora tutto ciò che ruota e volteggia come un manto oscuro intorno al sesso; perché il sesso non è ancora giunto a turbare i loro animi e a innescare sconquassi emotivi dei quali si farebbe volentieri a meno. Il problema è che siamo prigionieri delle nostre pulsioni, essendo biologicamente programmati per uno scopo ben preciso: riprodurci. La nostra storia, in sostanza, è un gatto che si mangia la coda. Staremmo psicologicamente meglio senza il sesso, ma non possiamo farne a meno sennò corriamo il rischio di estinguerci. Ma a questo punto è lecito porsi un ultimo eclatante quesito: e se fosse proprio l'estinzione la meta da perseguire per ricominciare tutto daccapo, e non ritrovarci più vittime di un disegno sbagliato, ma finalmente i prescelti a cui tanto aneliamo?

Vita in fumo

Va beh, per oggi ho blaterato abbastanza. Finisco qui, mi riposo, penso ad altro... riprendo domani, se ne avrò voglia, sennò uno dei prossimi giorni. In fondo, non mi corre dietro nessuno…
Le nuvole hanno dato sfogo a qualche timido raggio di sole, ma fa ancora molto freddo: si capisce dalle persone che transitano davanti alla mia finestra, imbacuccate fino al midollo. Rimangono le pozzanghere, benché ridimensionate, ancora liete di ospitare minuscole creature appannaggio della fantasia. Sto pensando seriamente di mettermi in movimento: andrò a fare due passi. In fondo, non so nulla di questo borgo, e la mia curiosità, nonostante i casini del passato, è rimasta intatta. Gironzolerò a casaccio… dovrei peraltro prendere qualcosa da mangiare, non posso continuare a saltare i pasti. Ho finito anche le sigarette e senza le bionde (così le chiamavano i tipi della multinazionale) non si può vivere; ricordo ancora mio nonno quando lo diceva:
«Se non fumi, non sei un uomo».

Ci sarà pure un tabacchino in questo posto dimenticato da dio. Ci sarà nascosto da qualche parte. 

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