Nonostante tutto, rimane il desiderio di raccontare storie, anche se in musica se ne raccontano sempre meno. Sedici canzoni, in realtà sedici vite andate, perdute, ritrovate, ricominciate: folk songs nel vero senso del termine, bozzetti di quotidianità globale, senza fronzoli, finte, allusioni… troubadour arriva mentre le memorie collettive trepidano nelle nebbie dei secoli e dei decenni, infinitamente lontane da quei signorini che, coperti da pastrani demodé, o cappellacci alla marinara, giravano di tavolo in tavolo, di pub in pub, a diffondere 'la buona novella', come un pettegolezzo che potesse servire per destreggiarsi in un mondo sempre più veloce, ma anche più complicato e intransigente. Non si guarda certo alle mode, ma poco importa, quel che vale è la sottigliezza d'intenti, la facilità con cui un sortilegio chiede alla penna di graffiare un nuovo foglio, parafrasando le epopee più diverse, dai caffè del Greenwich Village, al circuito londinese di Soho; da Le Vieux Belle Ville di Montmartre, al Lullaby di Sulbiate.