giovedì 26 giugno 2014

Ferragosto # 14


66.

«Salve Marengo», gridò Luciano Brioschi, vedendo il saggio della comunità uscire a passo spedito dal panettiere.
«Ciao Luciano», rispose il Marengo.
«Oggi giornata calda».
«Puoi ben dirlo, non finisce più».
Poi fu la volta di Giorgio Galbusera, infastidito da una ferita al piede con non ne voleva sapere di rimarginarsi.  
«Buongiorno Marengo», disse con voce flebile, in prossimità del confine meridionale del paese.
«Buongiorno Giorgio».
«Ancora niente di don Filippo?».
«Nulla, purtroppo».
Riuscì a evitare altri inaspettati incontri solo dopo avere superato il cippo più esterno del villaggio. Il sole era ormai alto, e la giornata, come le tante che l'avevano preceduta, si prospettava davvero incandescente. Complice l'umidità che in certi momenti toglieva letteralmente il respiro, facendo assomigliare il borgo a una sperduta landa equatoriale, così poco concepibile ai piedi del Resegone. Era anche il motivo per cui molti giovani riuscivano a svincolarsi dal lavoro prima del tempo, per poter raggiungere le acque del Molgora e rinfrescarsi con un tuffo. Un'abitudine che avevano tutti i buraghesi, dalla notte dei tempi; tanto radicata nell'immaginario collettivo che nessuno si lamentava se qualche giovane abbandonava per mezz'oretta i campi per un bagno rigenerante. Gli adulti non erano così fiscali come in altre realtà della zona, ma era meglio non esagerare. Anni prima un ragazzo che aveva ritardato oltre il dovuto, aveva saltato la cena per due sere di fila.
Lungo la sponda orientale del torrente, il Marengo ripensò a quella volta che con don Filippo aveva raggiunto Omate per parlare con il prete del posto. C'era in ballo una faccenda legata all'ipotesi di festeggiare insieme le sacre Quarantore, con una bella processione che si sarebbe dovuta snodare da una parte all'altra dei due borghi. Il Marengo era stato interpellato perché alla fine della cerimonia si desiderava l'intervento di uno dei personaggi più in vista della zona, capace con il suo intelletto e la sua cultura di raccontare il succo dell'importante momento religioso da un punto di vista laico, affrontando argomenti come la necessità di credere nonostante la consapevolezza della provvisorietà umana e delle fatiche di tutti i giorni.
Il Marengo cercò di rammentare come era andata la sua scompagnata con il sacerdote del paese ma non gli venne in mente nulla di particolare, o di utile a fare luce sulle indagini. Aveva cancellato le cose che si erano detti, e rendendosene conto s'intristì; ma la malinconia non durò molto. All'improvviso sentì una specie di urlo provenire da un lungo filare di canne di palude che copriva completamente la visuale sulla destra, formando una specie di muro vegetale, potenzialmente in grado di confondere anche un pachiderma. Incuriosito, tentò di avvicinarsi lentamente al margine del Molgora, scoprendo uno spettacolo del tutto inaspettato e imbarazzante: la Lina stava mostrando le sue grazie all'Ambrogino, due seni alti e robusti come solo una ragazzetta nel pieno della sua esuberanza fisica può mettere in mostra.
L'accidentale show procurò al Marengo un violento brivido, che gli percorse tutta la schiena, come il colpo mortale di un fulmine proveniente da un cielo plumbeo ed evanescente. Fu il primo a rimanerci male, rendendosi conto che, benché in là con gli anni, ancora non aveva imparato a domare le pulsioni sessuali e a rimanere freddo e distaccato di fronte a certi imperativi della carne. La verità è che non era un prete, e alla carne non aveva mai detto di no. Si vergognò, pertanto, della sua libidine, ma non poté fare a meno di soffermarsi in silenzio di fronte a quel siparietto osé. E per un attimo non disdegnò perfino l'idea di potersi trovare al posto del ragazzetto che ben conosceva.
L'Ambrogino compì la mossa successiva, mandando definitivamente in crisi l'anziano buraghese. Iniziò, infatti, ad accarezzare il busto della fidanzatina, per poi baciarle profusamente i seni e a infilare le mani qua e là come una piovra imbizzarrita.
Il Marengo prese a sudare freddo, finché non percepì una zolla di terra cedere sotto i suoi piedi, causando un suono roboante. Non sfuggì ai due giovanotti che immediatamente si ricomposero, fingendo di essere lì solo per guardare in aria e magari discutere di chissà quale argomento filosofico; la Lina si allarmò quel tanto che basta a farle agguantare la camicetta e coprire in fretta e furia le sue nudità, vivamente preoccupata che qualcuno potesse averla vista. 
«Cos'è stato?!», domandò all'Ambrogino.
Il ragazzo si alzò per vedere se c'era qualcosa che non andava, ma scoprì solo una lepre darsela a gambe, fra alcune sterpaglie appassite di luppolo.
«Niente di che», sorrise, tornando a pensare alla sua dolce metà e ai tanti misteri che ancora la circondavano.
Il Marengo impietrito, contratto, indietreggiò definitivamente per riguadagnare la strada maestra, con il cuore che batteva all'impazzata: aveva visto abbastanza, forse fin troppo.

67.

Incontrò sul suo cammino un merlo azzoppato e un riccio che attraversava il sentiero, passando da una barriera di rovi all'altra; un gatto selvatico lo fissò minaccioso fra i rami di un acero campestre, prima di correre verso l'ignoto e dargli modo di accorgersi che era già in prossimità della meta. Ne ebbe conferma udendo, all'improvviso, il fracasso sollevato da un tuffo, e dagli schiamazzi di gioia che lo seguirono. Era la voce di Calimero Biffi, la conosceva bene, un ragazzo che aveva avuto con sé anche durante la ricognizione in cerca di don Filippo. Il vocio si fece sempre più vivace, inoltrandosi lungo uno stretto e ripido sentiero.
Scoprì l'allegra comitiva di giovanotti superando il grosso platano dal quale si devia per muoversi verso il cavenaghese e raggiungere da sud il trezzese. Un nuovo brivido lo colse ripensando a ciò che aveva appena visto, e all'imbarazzo che forse, in futuro, avrebbe provato ritrovandosi a tu per tu con la Lina. Come avrebbe reagito di fronte ai suoi occhi, sapendo di averla vista completamente nuda? E l'Ambrogino? Pensò anche al giovane che, con tanta volontà, gli stava dando una mano per risolvere il caso e, di nuovo, provò nei suoi confronti un pizzico di invidia. Era un ragazzo in gamba, era giovane, e ora che aveva anche la fortuna di poter stringere fra le braccia una delle più belle fanciulle del paese, cosa poteva desiderare di più dalla vita? E invece lui, che aveva trascorso quasi tutta la giovinezza sui libri, si poteva dire altrettanto felice e soddisfatto? Con rammarico si disse che forse avrebbe potuto passare meno tempo sui libri, per dedicarsi alle gioie più comuni della vita, fra cui quelle, appunto, che solo una bella ragazza è in grado di confortare. Ma ormai, i giochi erano fatti. C'era ben poco da scherzare. La verità è che con le donne non era mai stato particolarmente scaltro. E forse anche per questo motivo aveva provato quel senso di profondo disagio, pochi istanti prima, innanzi a un'intimità che in vita sua non aveva mai vissuto.  
Non era un brutto uomo, anzi, ma aveva sempre avuto una grande difficoltà a palesare i propri sentimenti e, in particolare, con l'altro sesso, poteva davvero dirsi una frana. Sapeva tutto di tutto e tutti, ma le donne erano il suo punto debole. Eccelleva in ogni campo, era forte e coraggioso, ma forse per il troppo pudore non si era mai lasciato andare, perdendo ogni occasione di crearsi una famiglia, fare dei figli, abbracciare una donna, coccolarla, vivere con lei sogni e speranze. Di avere una famiglia, del resto, non ci aveva mai pensato seriamente, ma di dividere il letto con una compagna, indubbiamente sì. Eppure le cose erano andate sempre al contrario, e adesso c'era ben poco da fare per cambiare il corso del destino, se non a costo di rendersi ridicolo. La Lina poteva essere sua nipote. E certo non si sarebbe innamorato di una coetanea, con tutti i problemi che una sessantenne può portarsi dietro. Figuriamoci di donne come la perpetua, dove, paradossalmente, il problema dell'età, avrebbe potuto essere il più marginale.
Cercò, dunque, di scacciare tutti questi pensieri tornando a concentrarsi sulla faccenda di don Filippo, che guarda caso riguardava proprio l'atipico e forse malato rapporto fra un adulto e un'adolescente. Cosa  era venuto in mente a don Filippo di cacciarsi in un guaio del genere? Se lui stesso, da sempre, era stato in grado di tenere a bada le pulsioni sessuali, com'era possibile che un prete non fosse stato capace di fare altrettanto? Non ci credeva, non si capacitiva. Ma forse confrontandosi con l'Agnese avrebbe potuto risolvere molti suoi dubbi. Forse. In ogni caso il suo scopo era soprattutto un altro: capire se ci poteva essere un legame fra la tresca e i periodici incontri fra il curato e i misteriosi guappi che lo punzecchiavano per sottrargli nuove somme.

68.

Lungo la riva riconobbe gran parte dei ragazzi. C'era il Giannino, fra quelli che facevano più chiasso; Andrea Brambilla, Roberto Stucchi, Emanuele Oggioni, Calimero Biffi, Felice Galbiati; la figlia della Mariani, la nipote del Cereda… e naturalmente c'era lei, l'Agnese, il motivo per cui si trovava lì, come un mendico desideroso di un po’ di riposo. La ragazza pareva fra le più indiavolate e si buttava in acqua con grande spregiudicatezza. Indossava un abito corto, a malapena superava il ginocchio; il Marengo lo associò immediatamente a don Filippo, e si chiese se anche il prete aveva provato a vederla così, fresca, giovane, sconvolgente. Andò oltre, vagamente perverso, immaginando fra i due una scena spinta, nella quale il curato glielo levava del tutto per sedare la sua voglia di possederla. Storse le labbra, disgustato. Ma non ci mise molto a ritrovare se stesso, e a giustificare, in fondo, don Filippo, ripensando a ciò che aveva appena visto, e dunque anche alla propria umanissima debolezza interiore, su cui non si era mai soffermato. Si chiese peraltro come si sarebbe comportato lui al posto del sacerdote, con una suadente ragazzina pronta a donare ogni parte di sé. Non doveva essere stato facile per entrambi. L'argomento era davvero delicato e andava preso con le pinze.
Continuò, comunque, a elucubrare sulla faccenda e alla fine si convinse che lui non avrebbe ceduto, benché comprendesse l'inevitabilità di doversi trovare a vivere in prima persona certe situazioni per poter affermare con certezza di essere tanto forti da resistere a qualunque tentazione. Arrivò perfino alle sacre scritture, interrogando la volta in cui lo stesso Gesù fu tentato, e vacillò, quando si trovò a vagabondare per il deserto, dopo essere stato battezzato. La verità è che nessuno può essere indifferente alla carne, dato che l'uomo è tarato proprio per questo scopo: riprodursi.
«Ragazzi c'è il Marengo», urlò il Giannino, distogliendo l'uomo dalle sue faticose riflessioni.  
Il saggio del villaggio non fu felice della calda accoglienza e si sentì fuori luogo. Ebbe un capogiro, che vinse allargando leggermente le gambe, e cercando un nuovo equilibrio.  
«Marengo! Venga a fare un tuffo con noi!», continuarono i ragazzi.
L'uomo li squadrò malamente, insofferente, spiegandosi in modo rocambolesco, perdendo tutta la sua naturale eleganza.
«Non ci penso nemmeno!», gridò.
Era tuttavia un bel punto per fare il bagno, nell'angolo in cui una piccola cascatella, di poco in anticipo sul ponte omatese, creava una pozza sufficientemente ampia per potersi scontrare con la refrigerante massa d'acqua in movimento. Un punto che, peraltro, conosceva molto bene, dove c'era stato centinaia di volte, non solo per mitigare l'arsura, ma anche per controllare il regolare corso del torrente, non sempre felice di scorrere fra i suoi argini.
I ragazzi si buttarono l'uno dopo l'altro, quasi a voler dimostrare al Marengo quanto fossero abili a sguazzare fra i flutti.
«Dai Marengo! Forza!», berciò il timido Andrea Brambilla, con una specie di costume di lana, che ricordava i mutandoni invernali.
L'uomo scosse la testa affranto, maledicendo tutta quella cagnara.
«Non sono venuto qui per fare un bagno», mugugnò.
Ma nessuno lo sentì.
I giovani andarono avanti per la loro strada, divertendosi e strepitando come avevano fatto fino a quel momento. Non fu, dunque, facile per il Marengo trovare il momento propizio per richiamare a sé l'attenzione dell'Agnese.

69.

«Salve Marengo».
Il tanto temuto incontro si verificò molto prima del previsto. Alle spalle del saggio della comunità si materializzarono, infatti, l'Ambrogino e la Lina. L'uomo, preso alla sprovvista, non ebbe nemmeno il tempo di ragionare sul da farsi e il suo occhio cadde maldestramente sui capezzoli turgidi della ragazza, che picchiavano sulla camicetta lasciando intravedere tutto. Divenne rosso come un peperone, ma per sua fortuna nessuno dei due giovani lo notò.
«Che ci fa da queste parti?», incalzò la coppia, sorpresa dalla presenza del Marengo.
L'uomo sempre più irriconoscibile e imbranato abbozzò una risposta frammentaria.
«Devo sbrigare una faccenda».
I ragazzi lo guardarono stupiti, non avendolo mai visto così impacciato e non comprendendo la sua cripticità.
«Marengo, si sente bene?».
«Credo di sì», disse l'uomo, compiendo un passo indietro per cercare un po’ di ombra.
«Dai andiamo», sussurrò la Lina alle orecchie dell'Ambrogino, impaziente di poter raggiungere gli altri in acqua e del tutto disinteressata alla sorte dell'anziano buraghese.
«Allora Marengo, se non le serve altro, la salutiamo», disse gentilmente, l'Ambrogino.
«Una cosa mi servirebbe, per la verità», sentenziò il Marengo, superando l'empasse e riacquistando la sua solita credibilità.   
Fece cenno al ragazzo di lasciare libera la Lina di raggiungere gli altri, così da potergli parlare in segreto.
L'Ambrogino capì al volo.
«Va pure, Lina, arrivo subito».
«Ciao, ciao», disse la giovane, inconsapevole degli interessi fra i due compaesani.
«Hai visto chi c'è?», domandò il Marengo.
Il ragazzo non aveva ancora fatto caso all'Agnese e del resto non aveva nemmeno pensato a lei. Ma la vide sollecitato da un movimento brusco del mento del Marengo, mentre stava prendendo per i fondelli Andrea Brambilla, gridandogli "Andrea Brambilla faccia da camomilla".
«Porca vacca», esclamò l'Ambrogino.
Il Marengo annuì.
«Ecco perché è qui».
«Silenzio, fai silenzio. Non hai spifferato nulla, vero?».
«Muto come una tomba, Marengo, gliel'ho detto che si può fidare di me».
«Bravissimo».
L'Ambrogino strabuzzò gli occhi e inarcò le sopracciglia ribadendo tutto il suo stupore.
«Glielo dici tu? Io non credo di poter infilarmi in quella bolgia».
«Dirle cosa?».
«Che devo parlare con lei».
Per un attimo l'Ambrogino rimase interdetto, incapace di mettere in relazione la difficoltà del Marengo con la reale situazione che, di fatto, non mostrava alcun pericolo. Gli parve impossibile che un uomo della statura del saggio della comunità potesse trovarsi infastidito da tanti giovani con abiti semplicemente un po’ più succinti del solito. E invece era proprio così. Si meravigliò di scoprire questo lato debole del Marengo, ma la cosa non lo indispose, anzi: fu felice di sapere che, in fondo, anche lui era un uomo come tutti gli altri, con le sue passioni e i suoi desideri.
«Ci penso io, Marengo, non si muova da qui».
«Ambrogino».
«Dica».
«Sii discreto, non è il caso che sappiano tutti».
L'Ambrogino si espresse con un vago sorriso e si fiondò dall'amica.

70.

«Andrea Brambilla, faccia da camomilla».
«Agnese!», gridò l'Ambrogino.
«Andrea Brambilla, faccia da camomilla».
«Ti prendo e ti ammazzo», reclamò il destinatario degli sfottò, ma la ragazza fu così rapida e abile fra i flutti che il povero Andrea non impensierì minimamente le sue mosse.  
«Agnese!», tornò a berciare l'Ambrogino.
Non ebbe di nuovo risposta e si convinse che ci fosse un solo modo per sedare l'esuberanza dell'amica: atterrarla e costringerla a starlo ad ascoltare.
L'Agnese compì una brusca virata in corrispondenza di un punto in cui le acque raggiungevano il metro di altezza, ma non fu in grado di divincolarsi dall'attacco forsennato dell'Ambrogino.
«Che fai!», esclamò contrariata.
«Mi vuoi stare a sentire?», domandò l'Ambrogino, mentre il resto degli amici continuava a sguazzare, tutti felici e beati fra le piccole onde del torrente.
«Inizia a tenere giù le mani».
Si accorse la Lina dell'alterco fra i due, e lanciò un'occhiata furente allo spasimante.
L'Ambrogino cercò con uno sguardo accigliato di rassicurarla, ma la cosa andò in porto solo quando vide in cima alla scarpata il Marengo che le faceva intuire che il fidanzato stava agendo per un suo ordine.
«Ti devo dire una cosa molto importante».
L'Agnese si acquietò notando la severità dell'amico.
«Il Marengo ti vuole parlare».
«A me? Ma stai scherzando?»
«Non sto scherzando. Lo vedi lassù?».
Insieme si girarono verso l'uomo che li rincuorò con un sorriso.
«Ma che vuole da me?».
«Non ti preoccupare, tu dammi retta. E' venuto qui apposta».
L'Agnese corrucciò la fronte, tormentata da questa stranissima richiesta. Sapeva benissimo chi fosse il Marengo, e dell'amicizia che lo legava al padre, tuttavia non riuscì proprio a immaginare cosa c'entrasse lei con il più importante uomo del villaggio.
«Allora vado?», mugugnò, quasi impaurita.
«Certo, continueremo domani a divertirci con l'acqua. Vai tranquilla».
L'Agnese annuì e con molta meno foga di quando era arrivata fin lì, cercò la riva per raggiungere il Marengo.
«Ah, maledetta».
Andrea Brambilla, inconsapevole di ogni cosa, l'aveva stretta alle spalle per vendicarsi delle prese per i fondelli patite.   
«Finalmente ti ho catturata. Lo dici ancora che ho la faccia da camomilla?».
E mentre glielo domandava le affondava la faccia nel torrente.
«No, ti prego!», tartagliò la ragazza.
Agnese che aveva rimosso ogni cosa, sopraffatta da una visita del tutto inaspettata, non comprese la reazione bellicosa dell'amico e si spaventò a morte.
«Allora, mi prendi ancora in giro?», continuò il giovane.
«Lasciala stare», ordinò l'Ambrogino, corso in aiuto dell'amica. «Andrea, ascoltami, adesso non è il caso di andare avanti a scherzare».
«Infatti non sto scherzando. Lei…».
Non finì la frase.
«Adesso basta! Agnese, vieni subito qui!».

Al vocio potente e autorevole del Marengo tutti i ragazzi zittirono e lungo il corso del torrente calò uno strano silenzio. All'unanimità si chiesero cosa stesse succedendo, ma l'Ambrogino, come aveva promesso al saggio del villaggio, continuò a rimanere muto come una tomba. 

venerdì 20 giugno 2014

Ferragosto # 13


61.

Percorsero le scale con molta meno furia di quando erano giunti fin lì, consapevoli di aver individuato ciò che cercavano e di non avere più alcuna fretta. Trovarono la perpetua assorta nei suoi pensieri, nei pressi del lavandino della cucina, dove aveva appena finito di tagliuzzare alcune patate.
«Perpetua», disse il Marengo.
«Sì, sì», rispose la donna, ritornando alla realtà, «avete scoperto qualcosa?».
«Niente di particolare. Ci sono solo tanti libri e numerosi quadernetti pieni di annotazioni, ma nulla che possa davvero dare una scossa alle indagini. Proveremo a indirizzare altrove le nostre ricerche, sperando di non averla disturbata».
«E questo che ci fa qui?», domandò la perpetua, notando in clamoroso ritardo che il saggio del villaggio non era solo, e che qualcuno s'era intrufolato clandestinamente nella sua dimora.
«Ho trovato la porta aperta e ho pensato di dare una mano al Marengo», disse il ragazzo, diplomaticamente, «non l'avrei mai fatto se non fossi stato sicuro di poter rendermi utile. Credevo, peraltro, che in casa non ci fosse nessuno. Spero di non averla offesa».
La perpetua lo guardò con dissenso, ma non disse altro, contenta che se ne sarebbero finalmente andati e l'avrebbero lasciata in pace.
«Va bene, va bene, allora arrivederci, e vi prego, abbiate pietà di me, non tiratemi di nuovo in ballo per altre questioni, devo ancora riprendermi dalla tragedia».
«Lo sappiamo signora», disse il Marengo, «le prometto che non torneremo più a disturbarla, a meno che non dovesse saltare fuori qualcosa di veramente… di veramente sconvolgente».
La perpetua lo guardò perplessa, in cuor suo convinta che la storia non sarebbe finita lì. E subitaneamente cominciò a pensare al destino che l'avrebbe attesa, nella speranza che il futuro prete la volesse con sé. Non era esclusa, infatti, la possibilità di dover fare i bagagli e trasferirsi chissà dove, in cerca di un altro lavoro. Una propria casa, del resto, non l'aveva mai avuta, era sempre stata adottata da qualche sacerdote bisognoso del suo appoggio.
«Arrivederci», dissero i due uomini incamminandosi per la contrada principale, a quell'ora del giorno, pressoché deserta.
«Allora…».
«Non fiatare».
L'Ambrogino zittì, benché non comprendesse l'incredibile stato d'ansia del Marengo; in fondo non c'era nessuno che potesse ascoltarli e diffondere strane voci.
«Va bene, ma che facciamo adesso?», chiese sottovoce, il ragazzo, un paio di minuti dopo.  
«Dobbiamo riflettere sul da farsi. Con calma. Tu hai giurato di non dire niente, mi raccomando, sennò salta fuori un macello e non concludiamo nulla. Ora ho bisogno di pensare, devo ragionare su un bel po’ di aspetti».
«Marengo, la lettera! La lettera l'abbiamo presa?», domandò all'improvviso l'Ambrogino, sopraffatto da un brutto presentimento.
Il Marengo non fiatò, ma gli fece intendere con un gesto rapido dei bulbi oculari che il documento era al sicuro nella tasca dei pantaloni.
«Per un attimo avevo pensato che l'avessimo lasciata là».
L'uomo tagliò corto, sopraffatto dalla premura.
«Ambrogino, ti ringrazio per il tuo interesse e il tuo appoggio, ma adesso mi devi lasciare solo».
Il ragazzo capì al volo e non fece tante storie, ridimensionando la sua esuberanza.
«D'accordo, ma mi faccia sapere, se le occorre il mio aiuto sa dove trovarmi».
Se ne andò accennando a un saluto, sorprendendo il Marengo per la solita risolutezza e audacia.

62.

Aveva sempre amato i campi che correvano verso Bellusco e Aicurzio, da cui era possibile rimirare le Alpi e le Prealpi. In inverno si coloravano di bianco, e nelle giornate più limpide pareva che fossero proprio a un palmo di naso. Non era così e lo sapeva bene, da quel che giorno che, da ragazzo, con l'amico Giovanni Trotti, s'era messo in cammino per raggiungere entro sera le prime alture; per poi accorgersi che, con il calare delle tenebre, non erano andati oltre le radure carnatesi. Ma lungo quei campi ci andava spesso anche per lavoro e qualche volta per meditare. Erano angoli suggestivi che pretendevano grande rispetto, come se si fosse ogni volta trovato al cospetto di Dio, pronto a interloquire con lui. Era proprio quello che cercava, qualcuno di superiore a cui confidare le pene personali, i dubbi esistenziali, gli enigmi del vivere quotidiano che lo adombravano. E adesso era addirittura peggio delle altre volte, perché si trovava davanti a un caso davvero emblematico. C'era di mezzo una ragazzina, tema già di per sé suscettibile di interpretazioni ambigue; e con lei l'amico prete, don Filippo, che conosceva molto bene, che credeva di conoscere molto bene, ma che invece, evidentemente, nascondeva segreti di una grandezza infinita.
Si diresse lungo un sentiero scarsamente battuto, oltre la via per Ornago. Intravide da lontano Cascina Rossino, e da lì si perse in una distesa campestre che poche volte aveva battuto. Il mais era ormai alto e i colori dell'estate al massimo del loro splendore. C'era un vago silenzio, rotto dal canto di ortotteri e da qualche uccellaccio nero che gli ronzava intorno in cerca di qualcosa da punzecchiare col becco affilato. Tirò un respiro profondo e con la testa semichina cominciò a interrogarsi sul da farsi. Da dove partire? A chi rivolgersi? Perché questa cosa di Agnese e don Filippo non era mai saltata fuori? Qualcuno sapeva qualcosa, ma non aveva avuto il coraggio di raccontarlo? Omertà? Tutte tesi possibili, ma certo la faccenda non si sarebbe risolta da sola. Era necessario agire in prima persona.
Prese a riflettere su Agnese. La malizia ebbe il sopravvento sui suoi pensieri. Si chiese dove, come e perché avvenivano gli incontri clandestini fra i due. E in che senso il loro rapporto fosse completo. Il Marengo non aveva grosse riserve dal punto di vista sessuale, non si accaniva su inutili pettegolezzi e morbose attitudini, tuttavia vedeva del marcio in questa relazione. Non riusciva a capacitarsi di un amore puro in una coppia del genere. C'era qualcosa che lo disgustava e che lo angustiava. Ma non ne comprendeva bene il motivo. Non era suo compito ficcare il naso in certe vicissitudini amorose. Ma in questo caso, volente o nolente, ne era totalmente coinvolto. Sapeva benissimo chi fosse l'Agnese Bucchi, ma non le aveva mai dedicato del tempo; non aveva idea di chi fosse dal punto di vista caratteriale, quali fossero i suoi sentimenti, i suoi pensieri, il suo modo di concepire l'esistenza. Non ne sapeva niente, e non sapendo niente di lei non sarebbe potuto andare molto lontano. Cercò di eclissarsi per un attimo, ma non vi riuscì. Si convinse che c'era un solo modo per risolvere ogni suo tentennamento: doveva andare di persona a parlare insieme alla figlia dell'amico panettiere.

63.

11 agosto

Si alzò con un nodo alla gola, che non riuscì a vincere nemmeno con un bel sorso d'acqua e una sniffata acre di tabacco. Abbandonò il letto che il sole non era ancora spuntato, benché fuori dalla porta ci fossero già due persone ad aspettarlo: l'Ambrogino e il Giannino. Ancora loro. Ancora la loro incredibile espansività così difficile da domare. Li vide affacciandosi dalla finestra della cucina, spalancata per respirare aria nuova: cincischiavano fra loro a bassa voce, come se stessero confidandosi vergogne inconfessabili.  
«Cosa ci fate ancora qua?».
«Scusi Marengo, ma stiamo sulle spine», disse l'Ambrogino.
«Ragazzi», sbuffò il Marengo, esasperato, «comprendo la vostra volontà di venirmi incontro, aiutarmi e starmi vicino, ma è praticamente ancora notte. A quest'ora dovreste essere nelle vostre camere. A dormire!».
«Lo sappiamo, ci scusi».
Il Marengo mostrò apertamente la sua insofferenza dondolando malinconicamente la testa e chiedendosi fin dove la loro inconsapevole insolenza sarebbe potuta arrivare. 
«Ragazzi, dobbiamo muoverci con cautela, ve l'ho già detto, dobbiamo ragionare sul da farsi, passo dopo passo, voi siete troppo precipitosi, così non andiamo da nessuna parte, lo capite? Mi spiegate il motivo di tutta questa vostra ansia? Di questa vostra urgenza? Perché siete ancora qui?».
«Marengo», disse il Giannino, « ci abbiamo pensato tutta notte e siamo arrivati alla conclusione che nel delitto possa esserci di mezzo la pazza».
Il Marengo sbigottì.
«Ma che idee vi fate venire in mente? Volete smetterla di mettere in giro voci infondate?».
«Non è così Marengo, ci ascolti», disse l'Ambrogino.
L'uomo annuì, sempre più irrequieto. 
«Ieri sera, a tarda ora, abbiamo trovato sull'uscio della sua casa un gatto morto», continuò il ragazzo.
«E allora?».
«Secondo noi ha a che fare con i riti strani della pazza».
«Ma la volete lasciare stare 'sta povera donna?».
«Marengo, lo sa bene che non è a posto».
«Potrebbe essere, ma mi spiegate cosa c'entra con la scomparsa di don Filippo?».
«Il gatto morto era… il Gaetanino», disse il Giannino, con fare spregiudicato.
Il Marengo non fiatò, pur sapendo che si stessero riferendo al micio del prete e che la cosa, in effetti, fosse alquanto strana. Aggrottò le sopracciglia e indifferente alla presenza dei giovani se ne andò in cucina per prepararsi qualcosa da mettere sotto i denti. Non ne poteva davvero più.
I ragazzi lo seguirono basiti.
«Che facciamo?», domandò il Giannino all'amico.
«Non ne ho idea».
«Non mi sarei mai immaginato un atteggiamento del genere da parte del Marengo. Mi sembrava una prova davvero schiacciante».
Stavano per andarsene, ma il padrone di casa li richiamò a sé con un filo di voce.
«Ragazzi, non so se la faccenda del gatto possa essere ricondotta a don Filippo, ma proveremo a indagare anche su questo particolare».
Brancolava nel buio, ma cercò in qualche modo di fare ordine alle tante cose che gli frullavano per la testa. Era, di fatto, concentrato sull'Agnese e ora la faccenda del Gaetanino martirizzato gli creò ulteriore scompiglio.
«Un'ultima cosa: siete sicuri che sia stato ucciso?».
«Chi?», chiese sprovvedutamente il Giannino.
«Il Gaetanino».
«Le basta se le diciamo che aveva la bocca digrignante e un rivolo di sangue che gli usciva dal naso?».
«Potrebbe essere morto per altri motivi».
«Proprio di fronte alla porta di Marta Bucchi?».
«In effetti, è alquanto strano; ma potrebbe essere stato avvelenato da qualche parte e poi qualcuno, per intimidirla, potrebbe averlo abbandonato di fronte alla sua abitazione».
«Quindi nessuna relazione con don Filippo?», disse laconicamente l'Ambrogino.
«Dobbiamo calcare le piste più sicure, senza farci suggestionare. Oggi proseguirò con le ricerche e se scoprirò qualcosa sarete i primi a saperlo. Ma non venite da me tutti i santi momenti!».
L'Ambrogino e il Giannino si guardarono delusi, comunque convinti di avere fatto una grande scoperta. Lasciarono il Marengo con un sorriso avvilito e tornarono alla casa della Bucchi per ridare un'occhiata al cadavere del Gaetanino; ma a destinazione rimasero di sasso.
«E' scomparso!», esclamò il Giannino.
«Ma come è possibile?».
«Non è ancora spuntato il sole».
«Appunto, nessuno può esservi avventurato fin qui… se non lei».
«Oddio!», gridò all'improvviso l'Ambrogino.
Da una piccola fessura della finestra scorsero la Maria Bucchi sdraiata sul divano con in mano un grosso cero: sembrava morta.

64.

Con il Carlo aveva sempre avuto un bellissimo rapporto. Era uno degli uomini del paese che stimava di più; un uomo di sani principi, burbero e difficile, ma disposto sempre a collaborare e a ragionare per qualche buona causa. Tutti ricordavano bene la grave carestia, di qualche anno prima, e dei numerosi buraghesi strapazzati dalla fame e dalle malattie. E chiunque sa ben quel che fece il Carlo, regalando a tutti un po’ di pane, pur sapendo di non navigare nell'oro e di rischiare di compromettere la stabilità economia della propria famiglia. Non ci diede peso, e soccorse chiunque. I Perego, in particolare, quelli messi peggio, tutti pelle e ossa, con i due figli devastati dalla pellagra. Alla fine non riuscirono a superare l'inverno, ma la generosità del panettiere fece scalpore. Lo stesso don Filippo lo aveva pubblicamente elogiato durante un'omelia, sottolineando il valore della sua missione, degna di un cristiano coi fiocchi. Il Marengo lo raggiunse con lo spuntare dei primi raggi di sole.
«Oh, Marengo, qual buon vento», lo accolse l'amico.
«Sempre indaffarato, eh»,
«Sai che una volta ognuno aveva il suo forno, ma oggi, sapendo di avere il panettiere dietro casa, chi si mette più a sfornare miche e michette?».
Risero come due vecchi compagni di merende.
«Si sa niente del prete?».
«Stiamo appunto indagando».
«Il Boffalora?».
«Per ora me la cavo da solo. Lui ha già un sacco di gatte da pelare».
«Insomma, non se ne viene fuori».
Fecero cadere il discorso al sopraggiungere di Ferdinando Sala.
«Salve Marengo, salve Carlo, quattro michette, grazie».
«Pronti».
L'uomo se ne andò ma arrivano subito dopo la Ilma e la Cesira. Le due donne si squadrarono con sospetto, come se avessero qualcosa da nascondersi. Ordinarono il loro pane preferito e presero a chiacchierare sul ciglio della strada, isolandosi dagli altri, ma rimanendo in qualche modo nei paraggi, e impendendo al Marengo di conversare come avrebbe voluto.
«Non ne vuole proprio sapere di piovere», tergiversò, il saggio del villaggio. 
«Mi viene in mente la carestia di qualche anno fa».
«Non mi ci fare pensare».
«Ricordi i Perego?».
«Ci stavo riflettendo prima di venirti a trovare. Che fine hanno fatto…».
«Era rimasta solo la Rachele, povera donna, non sapeva più dove andare a sbattere la testa».
«Quando le è morto anche il secondo deve avere perso la ragione».
«Al suo posto penso l'avrebbe persa chiunque».
«Dici bene».
«Non capii mai, però, lo strano rapporto che avevano con la Marta».
«Ma sai, alla fine, la donna le aveva tentate tutte per cercare un modo per curarle i figli. Al di là di quel che si può dire e pensare la Marta sa trafficare bene con erbe e unguenti. Dava loro una specie di bevanda ricavata dalle foglie di ortica e una crema da mettersi sui capelli, che si diceva mischiasse con l'urina dei pipistrelli. Non so cosa potessero realmente fare».
Si guardarono con rassegnazione, ammettendo che certe malattie sono davvero impossibili da risolvere, se non con l'intervento diretto del padreterno.
«Buongiorno!», disse la Rebecca Mariani, lontana parente del Boffalora, «c'è in corso una seduta straordinaria?».
«Buongiorno Rebecca», rispose il Marengo, «niente di tutto ciò, stavamo solo discutendo del caldo».
«E le due di fuori, di don Filippo. A proposito, scoperto qualcos'altro?».
Il Marengo trepidò.  
«Niente, ancora niente. Speriamo presto…», mugugnò augurandosi di non dover più rispondere la stessa cosa anche a tutti gli altri abitanti del paese.

65.

Appena ci fu un attimo di pausa e le tante zabette tornate alle loro dimore, il Marengo attaccò con la figlia di Carlo.
«Tua figlia?».
«Mia figlia?».
«Così, è un po’ che non la vedo».
«Mia figlia ha voglia di perdere tempo, i giovani di oggi mi sa che non sono fatti della nostra pasta».
«Forse hai ragione, ma perché ti lamenti di Agnese? A me sembra una bravissima ragazza».
«Non dico che non lo sia. Dico, però, che non ha la testa che dovrebbe avere una donna che sta per raggiungere l'età da marito».
«Non essere precipitoso, è ancora una ragazzina».
«Alla sua età, lo sai che mia madre aveva già un figlio?».
«I tempi, del resto, cambiano in fretta. Non si riesce a stare dietro a una cosa, a un fatto, che già è tutto cambiato». 
Il panettiere fece spallucce.
«Cambiano i punti di vista, le idee, così va il mondo».
«Se lo dici tu Marengo, io, guarda, a volte provo un senso di disagio di fronte a questa voglia di modernità che pare voler risolvere ogni nostro dubbio o timore. In fondo rimaniamo i soliti uomini, e dove vogliamo andare se non in paradiso o all'inferno?».
Il Marengo sorrise, felice di avere a che fare ancora una volta con un uomo tutt'altro che stupido. Il Carlo non aveva studiato e faceva da sempre il panettiere, ma aveva una bella testa, sapeva ragionare per conto suo senza farsi condizionare dagli altri o dalle mode.
«Non hai tutti i torti, eppure è giusto che il genere umano progredisca, non possiamo restare all'età della pietra».
«Con gli austriaci che ci stanno alle costole, non è mai bello sperare nell'avvenire».
«Vediamo le cose in positivo. Mazzini sa il far suo».
«Mazzini non so neanche chi sia. E a quanto pare i suoi piani insurrezionali non ottengono grandi risultati».
«Dobbiamo dargli tempo. Intanto godiamoci la nuova linea ferroviaria che collega Pordenone a Treviso. Avanti di questo passo andremo sulla Luna!».
«Non ne so nulla, ma se è questo che ambisce l'uomo, faccia pure. Io, tanto, continuerò a sfornare michette anche se dovessimo traslocare su una stella».
«Beh, la possibilità di girare in treno è un'opportunità grandiosa, non credi?».
«Credo solo a quello che vedo. E per il momento vedo solo che fa un gran caldo».
Il Marengo capì che l'amico si stava spazientendo, ed evitò di sottoporlo a nuovi ragionamenti. Arrivò, nel frattempo, la figlia di Domenico Carimati, grande amica dell'Agnese. Voleva sapere dove fosse la compagna di giochi per poterla raggiungere e trascorrere con lei la mattinata, come tante altre volte succedeva, al posto di stare a casa a imparare a cucire o a fare da mangiare.
Il Carlo non fu così entusiasta di vederla e le rispose sgarbatamente.   
«Dove vuoi che sia andata? Con questo caldo starà di sicuro lungo le rive del Molgora con le solite assassine».
Usò proprio questo termine che fece sobbalzare il Marengo; ma lo accompagnò con una strizzata d'occhio che rimise tutto a posto.
«Beati loro che trovano il tempo per rinfrescarsi nel torrente».
«Se ben ricordi lo facevamo anche noi».
«Ricordo, ma io non ho mai amato tuffarmi, ho sempre avuto un cattivo rapporto con l'acqua dei fiumi».
I due amici si salutarono, quando altre donne entrarono in negozio per rinfoltire la dispensa.
Il Marengo senza alcuna fatica, era così riuscito a sapere dove sarebbe potuto andare per cercare l'Agnese.