46.
«Perpetua!
Perpetua!».
La donna stava
ancora riposando, benché il sole fosse già alto da un po’. La rocambolesca
notte l'aveva tenuta sveglia più del previsto e il suo orologio biologico era
andato a farsi friggere. La stava chiamando una voce maschile.
«Perpetua!»,
sentì di nuovo gridare.
Chi la cercava
così insistentemente, pensò alla rinfusa, doveva avere davvero qualcosa d'importante
da dirle, visto che non era mai capitato che qualcuno la tirasse giù dal letto così
presto.
«Arrivo,
arrivo», gridò.
Si affacciò alla
finestra e vide un nugolo di paesani ai suoi piedi. Notò Giovanni Galbusera,
Ferdinando Sala, Dante Cereda, fra tantissime donne e donnine petulanti. Si
prese un colpo.
«Che diavolo è
successo ancora?».
«Niente
perpetua», anticipò tutti il Giannino, eravamo preoccupati per non averla
ancora vista uscire.
«Perché, che ore
sono?».
«E' già quasi
mezzogiorno», disse la Lina Gervasoni, «per un attimo abbiamo creduto che si
stesse ripetendo la scena dell'altra mattina».
La perpetua sbigottì,
stralunata, e per un attimo provò vergogna: non le era mai successo di
svegliarsi così tardi. E non poté crederci finché non fece caso alle ombre che
calavano quasi perpendicolarmente di fronte al suo naso allungato.
«Non badate a
me, tornate alle vostre faccende, io sto benissimo».
In effetti,
rispetto al giorno prima, si sentiva molto meglio. Anche se, in un certo senso,
le pareva di vivere ancora fuori dalla realtà e di non sapere bene che tipo di
sensazioni stesse provando. Erano un crogiolo confuso di umori che, di volta in
volta, prendevano voli diversi; disperazione e speranza si alternavano come
onde sulla battigia sospinte da un forte vento. In certi momenti le veniva
addirittura da ridere, pur comprendendo che fosse solo per isterismo e non
certo per la gioia inerente qualche bella novità.
«Andate,
andate», bofonchiò rabbiosamente.
La folla si
dissolse. Gli uomini tornarono al lavoro nei campi, le donne alle faccende di
casa. Il Giannino e l'Ambrogino rimasero per qualche istante a cincischiare fra
loro, convinti che ormai ci fosse ben poco da fare per risolvere il caso. Gli
passò di fianco la Lina Gervasoni, che sorrise spregiudicatamente facendoli
arrossire.
Rimasero al
cospetto della serva del prete soltanto la Cesira e la Maria Casiraghi,
convinte che la perpetua potesse avere bisogno del loro aiuto e forse,
inconsciamente, per ottenere materiale nuovo su cui pettegolare l'indomani.
«Ancora voi?»,
domandò trovandole sulla porta di casa, dopo aver sentito bussare con forza.
«Don Filippo sta
riposando per l'eternità, ma noi dobbiamo andare avanti, non possiamo fuggire da
noi stessi», disse la Maria, pensando di darle sollievo.
«Io sto
benissimo, ve l'ho già detto. Vorrei solo essere lasciata in pace».
In pratica le
stava mandando a quel paese.
«Ma perpetua»,
disse la Cesira, «noi vorremmo solo…».
Non finì la
frase, ritrovandosi con la porta sbattuta in faccia.
«Santa Maria»,
mugugnò incredula la più giovane delle due. «Non l'ho mai vista conciata così».
La Cesira
furibonda girò sui suoi tacchi e senza nemmeno salutare la compaesana se ne
andò per la sua strada.
47.
La perpetua mangiucchiò
qualcosa raccolto dall'orto. E con ancora pezzi di cetriolo che le ballonzolavano
per la bocca, fedele alla promessa che s'era fatta la notte appena trascorsa, partì
alla volta delle Americhe, pronta a dire tutto quel che sapeva al Marengo.
Recitò strada
facendo un paio di Ave Maria senza soffermarsi troppo sulle parole, come se
stesse bofonchiando una cantilena per scaricare l'ansia. Incontrò vari
compaesani, ma fece finta di non vedere nessuno, muovendosi con la testa china
e il passo veloce, indicando a tutti che non aveva tempo per nessuno, nemmeno
per un saluto.
Arrivò nella
casa del saggio della comunità come se avesse appena attraversato il deserto. Le
grondavano le ascelle e la fronte, dove tante goccioline si erano
misteriosamente organizzate in un curioso semicerchio. Il Marengo stava ancora mangiando
e per poco, vedendola con quella faccia contratta e spaventevole, non gli andò
tutto di traverso.
«Perpetua, cos'è
tutto questo zelo?».
«Buon Dio, non
pensavo che stesse ancora pranzando. Non volevo prenderla alla sprovvista».
«Beh, è da poco
passato mezzogiorno, non mi sembra così strano».
«Ha ragione, ma con
quel che è accaduto ho perso la cognizione del tempo. Mi deve veramente scusare».
Il Marengo
inarcò le sopracciglia, abituato ai raid selvaggi dei buraghesi (e non solo) con
qualche nuova gatta da pelare.
«Non si
preoccupi, perpetua, entri pure, posso immaginare il motivo della sua visita».
La perpetua non
se lo fece ripetere due volte e in preda all'angoscia che era tornata a farsi
sentire all'improvviso, come una tenaglia che la afferrava per la gola, si
sedette di fronte al Marengo con uno sguardo terribilmente angustiato.
Il Marengo la
fissò provando un'inconsueta soggezione. Non era da lui, ma gli occhi che aveva
davanti gli parvero davvero abitati da qualche demone pronto a divoragli
l'anima in un boccone. Per fortuna capì di non correre alcun rischio e che la
donna aveva quell'aria agonizzante, solo perché era spaventata.
«Devo
raccontarle un po’ di cose che ieri non sono riuscita a dirle».
«Sono qui per
questo, mi dica, la notte le ha portato consiglio?».
«Credo di sì.
Glielo voglio dire solo a lei, ma questa notte don Filippo è venuto a farmi
visita».
Il Marengo ebbe
un altro sussulto che lo fece tossire come un tabagista del Turkmenistan. Ne
aveva sentite tante di storie di fantasmi, ma ancora non gli pareva possibile
che qualcuno potesse essere convinto che esistessero veramente. Lui rimaneva un
dubbioso e pragmatico razionalista.
«Mi spieghi
meglio, lo avrà sognato».
La perpetua si
indispose.
«Sognato un
corno, le sto dicendo che don Filippo in carne ed ossa è tornato a farmi visita
per salutarmi. Mi ha sorriso e ha mosso le mani come si suole fare congedandosi
da qualcuno».
«Le credo, le
credo, dunque è venuta qui per dirmi questo?».
«No, è solo un
particolare che mi sono sentito in dovere di rivelarle, essendo stata presa
alla sprovvista, piacevolmente alla sprovvista… in realtà sono qui perché ho
riflettuto su tante cose che ieri non avevo chiare. Ci sono delle faccende che
potrebbero aiutarla a fare luce sulla morte di don Filippo».
«Comincia anche
a lei a credere che non si sia trattato di un…».
«Io non credo niente
e non so niente, solo il Padreterno sa certe cose. Io posso solo chiarire
alcuni aspetti della vita di don Filippo che probabilmente lei non conosce».
48.
Il Marengo si
mostrò indispettito di fronte all'improvvisa caparbietà della perpetua. Stava,
infatti, rasentando la maleducazione. Intuì che potesse essere il prezzo da
pagare per venire a capo di un caso così emblematico, ma a tutto doveva pur esserci
un limite; la cortesia, dal suo canto, era un presupposto che non doveva mai
mancare in un dialogo fra persone civili. In ogni caso, alla fine - considerato
anche il fatto che la donna non fosse completamente in lei, dopo tutto quello
che le era accaduto in così poco tempo - abbassò immediatamente la guardia.
«Sono tutto
orecchie».
«Forse lei non
lo sa, ma c'erano due brutti ceffi che venivano periodicamente a trovare don
Filippo».
Il Marengo
strabiliò.
«Avevano due
facce da fare paura, pieni di tagli e cicatrici. Brutti. E cattivi. In qualche
modo si assomigliavano, sembravano davvero dei dannati, tutt'altro che timorati
di Dio, non so se mi spiego...».
Il Marengo
strabuzzò gli occhi, incredulo di fronte a quelle parole inaspettate. E si
rincuorò, sospettando che finalmente stava per sgorgare qualcosa d'importante
dalle fauci dell'unica persona al mondo che poteva dire di conoscere a fondo il
povero prete.
«Uno dei due
pareva il capo, era quello più agitato, che impartiva ordini, e rideva come un satanasso.
Indossava sempre la stessa camicia a quadretti, cenciosa e puzzolente, Dio mio
quanto puzzava… non sono una che bada a certe cose, per me le persone possono
andare in giro come vogliono, tuttavia il loro modo di vestire era
riconoscibilissimo. Erano terribilmente grezzi, avevano la bava alla bocca e
facevano cose orribili, tipo sputare per terra e ruttare come porci».
«Chi erano?»,
domandò bruciapelo il Marengo.
«Non ne ho la
più pallida idea. Non dicevano mai i loro nomi, né da dove provenissero. Don
Filippo, vedendoli, rabbuiava, ma non mi ha mai dato indicazioni sul loro
conto. Erano creature infernali, solo questo posso dirle».
«E' molto interessante
quel che mi sta raccontando, perpetua, ma dovrebbe sforzarsi di darmi qualche
ragguaglio in più. Sono ancora troppo scarsi gli indizi per avviare un'indagine
seria, così rischiamo di non andare da nessuna parte».
«Glielo ripeto,
c'era qualcosa di losco in loro, ma non so cosa volevano da don Filippo.
Sparivano per qualche ora senza dirmi niente, e quando il nostro prete tornava,
non si lasciava scappare una parola. Era evidente che avesse qualcosa da
nascondere».
Il Marengo fu
assolutamente d'accordo con la tesi della donna.
«Non c'è altra
spiegazione».
Si alzò, e in
preda al dubbio, cominciò a trotterellare per la cucina, indifferente alla
presenza della perpetua, che lo fissava stranita.
«Non c'è
altro?», domandò.
«Non vorrei dire
una scemenza».
«Cosa».
«Beh, una volta
orecchiando i loro discorsi, mentre stavano avviandosi verso i boschi, saltò
fuori una certa cifra…».
«Sta
scherzando?».
«Affatto».
«Mi sta dicendo
che c'erano in ballo dei soldi?».
«Sentii uno dei
figuri pronunciare la parola kreuzer».
«Soldi
austriaci».
«Mah, non so il
tedesco, ma quando si parla di denaro so che… insomma, ebbi l'impressione che si
riferissero a un bel gruzzoletto».
«Di quanti
kreuzer parlarono?».
«Ho solo capito
che c'era di mezzo un onorario, forse saltò fuori anche il termine
"fiorino", ma non mi chieda la cifra».
«Perché ne è
così certa?».
«All'improvviso
uno dei due ceffi sfregò le dita facendo intendere proprio quello, sa quando si
mima il gesto…».
«Capisco. Quindi
è riuscita anche a vederli».
«Sì e no. Stavano
uscendo, io ero nell'orto, ho notato le loro sagome riflesse in uno dei vetri
della curia».
Il Marengo si
fece scuro in volto.
«Vuole dire che
lo ricattavano?».
Anche la
perpetua si incupì.
«Ho pensato alla
stessa cosa».
«Ma è così
difficile intuirne il motivo».
«Don Filippo era
pulito».
«Avrebbero
potuto minacciarlo di morte. Ma perché?».
Il Marengo
allargò le braccia e tirò un sospiro di sollievo. Per la prima volta dalla
scoperta del cadavere del sacerdote, intravide una piccola luce in fondo al
tunnel, ma già si apriva un nuovo insormontabile dilemma: chi poteva volere la
morte di un tranquillo prete di campagna?
49.
«Sappiamo che
venti kreuzer fanno una lira, tuttavia sarebbe curioso conoscere il corretto
ammontare della richiesta. Considerando che sei o sette lire austriache fanno una
paga giornaliera dignitosa…».
«Forse
accennarono a cinquanta lire».
Il Marengo si
insospettì, temendo che la donna tenesse ancora in serbo qualche importante
dettaglio.
«Perpetua, lo sa
o non lo sa?».
«Non voglio
sbilanciarmi».
«Lo faccia».
«Non vorrei dire
una fesseria, sa come sono queste cose…».
«Accidenti,
perpetua, mi dica una volte per tutte quel che ha sentito».
La donna
s'impaurì.
«Sarebbero anche
potute essere cinquecento lire o… cinquantamila lire».
«Addirittura?».
«Ma non mi
prenda alla lettera».
Il Marengo deviò
la conversazione, stanco di andare avanti per sillogismi.
«Ogni quanto si
presentavano in curia?».
«Non avevano delle
cadenze precise. Potevano giungere un paio di volte al mese, ma anche non farsi
vedere per un bel po’».
«Erano di casa,
insomma».
«Non direi. Più
di una volta ho supposto che potessero finalmente essere spariti dalla
circolazione».
«E invece?».
«All'improvviso ce
li ritrovavamo sulla porta con il solito ghigno bellicoso e tutto riprendeva
daccapo».
Il Marengo vergò
un pugno sul tavolo, facendo tremare l'anziana buraghese.
«C'è sotto
qualcosa di veramente marcio».
«Lei crede?».
«Ne sono sicuro».
«Beh, Marengo,
io lascio fare a lei. Guardi, tutto quello che sapevo gliel'ho detto. E'
testimone da lassù lo stesso don Filippo».
Il Marengo storse
la bocca, insofferente dinanzi all'ennesimo tentativo di confortare le pene umane
attingendo ai poteri dell'aldilà.
«E' stata
saggia, perpetua, non sa quanto mi sia stata d'aiuto».
La donna lasciò
la sedia e corse all'uscio come un topino in fuga.
«La accompagno».
«Grazie, non
serve».
Temeva le voci
delle donne, pettegolezzi che avrebbero potuto far pensare che fra lei e il
Marengo ci fosse una storia. Ora che non c'era più don Filippo, chissà quanti
avrebbero potuto sospettare una cosa del genere, rifletté confusamente mentre
superava la soglia della dimora del capo villaggio. Ma erano certo paranoie
personali, del tutto infondate, a cui il Marengo non avrebbe dato alcun peso.
L'uomo, in ogni
caso, non la trattenne: aveva avuto ciò che voleva e non vedeva l'ora di poter
tornare al suo pollo. Speranza vana, perché non ebbe nemmeno il tempo di
portare a termine la prima deglutizione, che alla porta si presentò il sindaco,
con un diavolo per capello, e il desiderio malato di sapere se la vicenda aveva
avuto dei risvolti.
«Proprio tu
mancavi», affermò il Marengo, con un'ala del volatile che faceva a pugni con i molari.
«Saputo
qualcosa?».
«La perpetua ha
svuotato il sacco», disse abbandonando di nuovo il piatto, rassegnato all'idea
che ormai il suo pasto non avrebbe avuto futuro. «Dice che c'erano due ceffi
che facevano visita al prete e probabilmente lo ricattavano».
Per poco il
sindaco non bestemmiò, vinto da un'eccitazione improvvisa.
«Come lo
ricattavano?».
«Proprio così.
C'è da scommetterci».
«Spiegami
meglio».
«La perpetua
dice che questi due arrivavano in curia e con lui si allontanavano per andare chissà
dove».
«Dove
andavano?».
«E che ne so?
Nessuno lo sa, nemmeno la perpetua».
Il sindaco
sbuffò.
«Un giorno ha
detto di averli sentiti reclamare una certa somma».
«Porca miseria.
Quale somma?».
«Non me l'ha
saputo dire».
«Don Filippo
ricattato, non ci posso credere. E da chi?».
«E' questo il
problema. Bisognerebbe capire chi fossero i due facinorosi».
«Mai visto
nessuno a casa del prete che non conoscessi».
«Come facciamo a
saperlo?».
«In che senso?».
«Mica vivevamo
col prete. Se era gente che passava ogni morte di papa, puoi immaginare…».
«Mah».
«In ogni caso lo
sapeva la perpetua e, infatti, è venuta a dircelo».
Il Boffalora si
fece ombroso. Non seppe che forma dare ai nuovi ragionamenti, ma anche lui si rese
conto che avevano finalmente qualcosa in mano di rilevante da cui partire.
«Ho un'idea»,
disse all'improvviso, «convochiamo una nuova assemblea e proviamo a chiedere se
qualche buraghese ha provato a vedere visitatori sospetti a casa di don Filippo
negli ultimi tempi…».
«Questo però già
lo sappiamo».
«Certo, ma
qualcuno potrebbe magari far saltare fuori qualche dettaglio in più. Se
lasciavano la curia per andare chissà dove, qualcuno potrebbe averli visti. Non
erano fantasmi».
«Non mi parlare
di fantasmi».
«Cioè?».
«Lascia stare».
50.
Convocarono
l'assemblea pubblica per la sera stessa, dopo aver diffuso la voce che
"c'era qualcosa di nuovo su cui spremere le meningi". I buraghesi si
presentarono uno a uno, con il contagocce, ancora sudati dal lavoro nei campi. Il
Giannino e l'Ambrogino erano in prima fila, ansiosi di sapere cosa bolliva in
pentola. La convocazione di una seconda adunanza collettiva lasciava presagire
qualcosa di davvero intrigante. Lo fu solo parzialmente, visto che il Marengo
debuttò laconicamente, dicendo che non c'erano grandi scoperte da rendere note,
ma solo un favore da chiedere a tutti i compaesani.
«Vi chiedo di
aprire bene le orecchie e cercare di ricordare tutto ciò che di anomalo avete
notato nei pressi della casa di don Filippo da qualche mese a questa parte. Se
sono vere le voci che ci sono giunte, potrebbero esserci state persone che
volevano male a don Filippo e cercavano ogni pretesto per rendergli la vita
difficile».
Si sollevò un
mormorio composto e stupito.
«Cosa vuol dire "anomalo"?»,
reclamò Andrea Brambilla.
Qualcuno lo
squadrò con sufficienza.
«Vuol dire
"strano", "insolito". Vi sto chiedendo se negli ultimi
tempi avete visto qualcosa di strano nei pressi della casa del don, o avete visto
lui stesso in situazioni, come dire… non normali».
I buraghesi si
guardarono fra loro storditi da un quesito che comprendevano solo in parte. Che
razza di domanda era? Nessuno aveva visto niente del genere, don Filippo lo conoscevano
tutti e tutti sapevano che era la persona più regolare del mondo, sempre
presente, disponibile e sorridente. Cosa avrebbe avuto da nascondere? Anche il
Giannino e l'Ambrogino, così coinvolti nella vicenda, condirono la richiesta
del saggio del villaggio con piglio indolente.
Da lontano la
Lina Gervasoni li osservava divertita, con la solita aria maliziosa che mandò
in solluchero l'Ambrogino. Al suo fianco c'era l'Agnese, figlia del Carlo panettiere,
che, forse a causa di un calo di zuccheri, patì un leggero capogiro.
«Abbiamo più di
un motivo per credere che don Filippo… sia stato assassinato».
Al suono di
questa parola si levò un boato di meraviglia.
«Assassinato?»,
bofonchiarono in molti.
«Santa Maria,
come assassinato?», piagnucolarono le donne.
«Non
pettegoliamo per niente», disse il sindaco, burberamente, «non c'è nulla di cui
scandalizzarci. La faccenda di don Filippo è molto più seria di quel che si può
supporre. Vi invitiamo perciò a fare mente locale e, da questo momento in poi,
a venire a farci visita, a me o al Marengo, per raccontarci qualunque cosa vi
sia capitato di vedere».
«Io ho visto don
Filippo mangiare un quintale di ciliegie», disse ironicamente la Marta Bucchi,
credendo di fare ridere qualcuno.
Il Marengo la
redarguì con uno sguardo feroce.
«Non siamo qui
per divertirci Marta. E non è certo questo il momento per le battute di
spirito».
La donna si
lasciò scappare una risata isterica che scosse ulteriormente l'animo già
turbato dei buraghesi. Qualcuno sibilò che dietro la morte di don Filippo ci
potesse essere proprio lei, e qualche suo maledetto sortilegio.