lunedì 28 aprile 2014

Ferragosto # 10


46.

«Perpetua! Perpetua!».
La donna stava ancora riposando, benché il sole fosse già alto da un po’. La rocambolesca notte l'aveva tenuta sveglia più del previsto e il suo orologio biologico era andato a farsi friggere. La stava chiamando una voce maschile.
«Perpetua!», sentì di nuovo gridare.
Chi la cercava così insistentemente, pensò alla rinfusa, doveva avere davvero qualcosa d'importante da dirle, visto che non era mai capitato che qualcuno la tirasse giù dal letto così presto.
«Arrivo, arrivo», gridò.
Si affacciò alla finestra e vide un nugolo di paesani ai suoi piedi. Notò Giovanni Galbusera, Ferdinando Sala, Dante Cereda, fra tantissime donne e donnine petulanti. Si prese un colpo.
«Che diavolo è successo ancora?».
«Niente perpetua», anticipò tutti il Giannino, eravamo preoccupati per non averla ancora vista uscire.
«Perché, che ore sono?».
«E' già quasi mezzogiorno», disse la Lina Gervasoni, «per un attimo abbiamo creduto che si stesse ripetendo la scena dell'altra mattina».
La perpetua sbigottì, stralunata, e per un attimo provò vergogna: non le era mai successo di svegliarsi così tardi. E non poté crederci finché non fece caso alle ombre che calavano quasi perpendicolarmente di fronte al suo naso allungato.
«Non badate a me, tornate alle vostre faccende, io sto benissimo».
In effetti, rispetto al giorno prima, si sentiva molto meglio. Anche se, in un certo senso, le pareva di vivere ancora fuori dalla realtà e di non sapere bene che tipo di sensazioni stesse provando. Erano un crogiolo confuso di umori che, di volta in volta, prendevano voli diversi; disperazione e speranza si alternavano come onde sulla battigia sospinte da un forte vento. In certi momenti le veniva addirittura da ridere, pur comprendendo che fosse solo per isterismo e non certo per la gioia inerente qualche bella novità.  
«Andate, andate», bofonchiò rabbiosamente.
La folla si dissolse. Gli uomini tornarono al lavoro nei campi, le donne alle faccende di casa. Il Giannino e l'Ambrogino rimasero per qualche istante a cincischiare fra loro, convinti che ormai ci fosse ben poco da fare per risolvere il caso. Gli passò di fianco la Lina Gervasoni, che sorrise spregiudicatamente facendoli arrossire.
Rimasero al cospetto della serva del prete soltanto la Cesira e la Maria Casiraghi, convinte che la perpetua potesse avere bisogno del loro aiuto e forse, inconsciamente, per ottenere materiale nuovo su cui pettegolare l'indomani.
«Ancora voi?», domandò trovandole sulla porta di casa, dopo aver sentito bussare con forza.
«Don Filippo sta riposando per l'eternità, ma noi dobbiamo andare avanti, non possiamo fuggire da noi stessi», disse la Maria, pensando di darle sollievo.
«Io sto benissimo, ve l'ho già detto. Vorrei solo essere lasciata in pace».
In pratica le stava mandando a quel paese.
«Ma perpetua», disse la Cesira, «noi vorremmo solo…».
Non finì la frase, ritrovandosi con la porta sbattuta in faccia.
«Santa Maria», mugugnò incredula la più giovane delle due. «Non l'ho mai vista conciata così».
La Cesira furibonda girò sui suoi tacchi e senza nemmeno salutare la compaesana se ne andò per la sua strada.

47.

La perpetua mangiucchiò qualcosa raccolto dall'orto. E con ancora pezzi di cetriolo che le ballonzolavano per la bocca, fedele alla promessa che s'era fatta la notte appena trascorsa, partì alla volta delle Americhe, pronta a dire tutto quel che sapeva al Marengo.
Recitò strada facendo un paio di Ave Maria senza soffermarsi troppo sulle parole, come se stesse bofonchiando una cantilena per scaricare l'ansia. Incontrò vari compaesani, ma fece finta di non vedere nessuno, muovendosi con la testa china e il passo veloce, indicando a tutti che non aveva tempo per nessuno, nemmeno per un saluto.
Arrivò nella casa del saggio della comunità come se avesse appena attraversato il deserto. Le grondavano le ascelle e la fronte, dove tante goccioline si erano misteriosamente organizzate in un curioso semicerchio. Il Marengo stava ancora mangiando e per poco, vedendola con quella faccia contratta e spaventevole, non gli andò tutto di traverso.
«Perpetua, cos'è tutto questo zelo?».
«Buon Dio, non pensavo che stesse ancora pranzando. Non volevo prenderla alla sprovvista».
«Beh, è da poco passato mezzogiorno, non mi sembra così strano».
«Ha ragione, ma con quel che è accaduto ho perso la cognizione del tempo. Mi deve veramente scusare».
Il Marengo inarcò le sopracciglia, abituato ai raid selvaggi dei buraghesi (e non solo) con qualche nuova gatta da pelare.
«Non si preoccupi, perpetua, entri pure, posso immaginare il motivo della sua visita».
La perpetua non se lo fece ripetere due volte e in preda all'angoscia che era tornata a farsi sentire all'improvviso, come una tenaglia che la afferrava per la gola, si sedette di fronte al Marengo con uno sguardo terribilmente angustiato.
Il Marengo la fissò provando un'inconsueta soggezione. Non era da lui, ma gli occhi che aveva davanti gli parvero davvero abitati da qualche demone pronto a divoragli l'anima in un boccone. Per fortuna capì di non correre alcun rischio e che la donna aveva quell'aria agonizzante, solo perché era spaventata.  
«Devo raccontarle un po’ di cose che ieri non sono riuscita a dirle».
«Sono qui per questo, mi dica, la notte le ha portato consiglio?».
«Credo di sì. Glielo voglio dire solo a lei, ma questa notte don Filippo è venuto a farmi visita».
Il Marengo ebbe un altro sussulto che lo fece tossire come un tabagista del Turkmenistan. Ne aveva sentite tante di storie di fantasmi, ma ancora non gli pareva possibile che qualcuno potesse essere convinto che esistessero veramente. Lui rimaneva un dubbioso e pragmatico razionalista.
«Mi spieghi meglio, lo avrà sognato».
La perpetua si indispose.
«Sognato un corno, le sto dicendo che don Filippo in carne ed ossa è tornato a farmi visita per salutarmi. Mi ha sorriso e ha mosso le mani come si suole fare congedandosi da qualcuno».
«Le credo, le credo, dunque è venuta qui per dirmi questo?».
«No, è solo un particolare che mi sono sentito in dovere di rivelarle, essendo stata presa alla sprovvista, piacevolmente alla sprovvista… in realtà sono qui perché ho riflettuto su tante cose che ieri non avevo chiare. Ci sono delle faccende che potrebbero aiutarla a fare luce sulla morte di don Filippo».
«Comincia anche a lei a credere che non si sia trattato di un…».
«Io non credo niente e non so niente, solo il Padreterno sa certe cose. Io posso solo chiarire alcuni aspetti della vita di don Filippo che probabilmente lei non conosce».

48.

Il Marengo si mostrò indispettito di fronte all'improvvisa caparbietà della perpetua. Stava, infatti, rasentando la maleducazione. Intuì che potesse essere il prezzo da pagare per venire a capo di un caso così emblematico, ma a tutto doveva pur esserci un limite; la cortesia, dal suo canto, era un presupposto che non doveva mai mancare in un dialogo fra persone civili. In ogni caso, alla fine - considerato anche il fatto che la donna non fosse completamente in lei, dopo tutto quello che le era accaduto in così poco tempo - abbassò immediatamente la guardia.
«Sono tutto orecchie».
«Forse lei non lo sa, ma c'erano due brutti ceffi che venivano periodicamente a trovare don Filippo».
Il Marengo strabiliò.
«Avevano due facce da fare paura, pieni di tagli e cicatrici. Brutti. E cattivi. In qualche modo si assomigliavano, sembravano davvero dei dannati, tutt'altro che timorati di Dio, non so se mi spiego...».
Il Marengo strabuzzò gli occhi, incredulo di fronte a quelle parole inaspettate. E si rincuorò, sospettando che finalmente stava per sgorgare qualcosa d'importante dalle fauci dell'unica persona al mondo che poteva dire di conoscere a fondo il povero prete.
«Uno dei due pareva il capo, era quello più agitato, che impartiva ordini, e rideva come un satanasso. Indossava sempre la stessa camicia a quadretti, cenciosa e puzzolente, Dio mio quanto puzzava… non sono una che bada a certe cose, per me le persone possono andare in giro come vogliono, tuttavia il loro modo di vestire era riconoscibilissimo. Erano terribilmente grezzi, avevano la bava alla bocca e facevano cose orribili, tipo sputare per terra e ruttare come porci».  
«Chi erano?», domandò bruciapelo il Marengo.
«Non ne ho la più pallida idea. Non dicevano mai i loro nomi, né da dove provenissero. Don Filippo, vedendoli, rabbuiava, ma non mi ha mai dato indicazioni sul loro conto. Erano creature infernali, solo questo posso dirle».
«E' molto interessante quel che mi sta raccontando, perpetua, ma dovrebbe sforzarsi di darmi qualche ragguaglio in più. Sono ancora troppo scarsi gli indizi per avviare un'indagine seria, così rischiamo di non andare da nessuna parte».
«Glielo ripeto, c'era qualcosa di losco in loro, ma non so cosa volevano da don Filippo. Sparivano per qualche ora senza dirmi niente, e quando il nostro prete tornava, non si lasciava scappare una parola. Era evidente che avesse qualcosa da nascondere».
Il Marengo fu assolutamente d'accordo con la tesi della donna.
«Non c'è altra spiegazione».
Si alzò, e in preda al dubbio, cominciò a trotterellare per la cucina, indifferente alla presenza della perpetua, che lo fissava stranita.
«Non c'è altro?», domandò.
«Non vorrei dire una scemenza».
«Cosa».
«Beh, una volta orecchiando i loro discorsi, mentre stavano avviandosi verso i boschi, saltò fuori una certa cifra…».
«Sta scherzando?».
«Affatto».
«Mi sta dicendo che c'erano in ballo dei soldi?».
«Sentii uno dei figuri pronunciare la parola kreuzer».
«Soldi austriaci».
«Mah, non so il tedesco, ma quando si parla di denaro so che… insomma, ebbi l'impressione che si riferissero a un bel gruzzoletto».
«Di quanti kreuzer parlarono?».
«Ho solo capito che c'era di mezzo un onorario, forse saltò fuori anche il termine "fiorino", ma non mi chieda la cifra».
«Perché ne è così certa?».
«All'improvviso uno dei due ceffi sfregò le dita facendo intendere proprio quello, sa quando si mima il gesto…».
«Capisco. Quindi è riuscita anche a vederli».
«Sì e no. Stavano uscendo, io ero nell'orto, ho notato le loro sagome riflesse in uno dei vetri della curia».
Il Marengo si fece scuro in volto.
«Vuole dire che lo ricattavano?».
Anche la perpetua si incupì.
«Ho pensato alla stessa cosa».
«Ma è così difficile intuirne il motivo».
«Don Filippo era pulito».
«Avrebbero potuto minacciarlo di morte. Ma perché?».
Il Marengo allargò le braccia e tirò un sospiro di sollievo. Per la prima volta dalla scoperta del cadavere del sacerdote, intravide una piccola luce in fondo al tunnel, ma già si apriva un nuovo insormontabile dilemma: chi poteva volere la morte di un tranquillo prete di campagna?

49.

«Sappiamo che venti kreuzer fanno una lira, tuttavia sarebbe curioso conoscere il corretto ammontare della richiesta. Considerando che sei o sette lire austriache fanno una paga giornaliera dignitosa…».
«Forse accennarono a cinquanta lire».
Il Marengo si insospettì, temendo che la donna tenesse ancora in serbo qualche importante dettaglio.
«Perpetua, lo sa o non lo sa?».
«Non voglio sbilanciarmi».
«Lo faccia».
«Non vorrei dire una fesseria, sa come sono queste cose…».
«Accidenti, perpetua, mi dica una volte per tutte quel che ha sentito».
La donna s'impaurì.
«Sarebbero anche potute essere cinquecento lire o… cinquantamila lire».
«Addirittura?».
«Ma non mi prenda alla lettera».
Il Marengo deviò la conversazione, stanco di andare avanti per sillogismi.
«Ogni quanto si presentavano in curia?».
«Non avevano delle cadenze precise. Potevano giungere un paio di volte al mese, ma anche non farsi vedere per un bel po’».
«Erano di casa, insomma».
«Non direi. Più di una volta ho supposto che potessero finalmente essere spariti dalla circolazione».
«E invece?».
«All'improvviso ce li ritrovavamo sulla porta con il solito ghigno bellicoso e tutto riprendeva daccapo».
Il Marengo vergò un pugno sul tavolo, facendo tremare l'anziana buraghese.
«C'è sotto qualcosa di veramente marcio».
«Lei crede?».
«Ne sono sicuro».
«Beh, Marengo, io lascio fare a lei. Guardi, tutto quello che sapevo gliel'ho detto. E' testimone da lassù lo stesso don Filippo».
Il Marengo storse la bocca, insofferente dinanzi all'ennesimo tentativo di confortare le pene umane attingendo ai poteri dell'aldilà.
«E' stata saggia, perpetua, non sa quanto mi sia stata d'aiuto».
La donna lasciò la sedia e corse all'uscio come un topino in fuga.
«La accompagno».  
«Grazie, non serve».  
Temeva le voci delle donne, pettegolezzi che avrebbero potuto far pensare che fra lei e il Marengo ci fosse una storia. Ora che non c'era più don Filippo, chissà quanti avrebbero potuto sospettare una cosa del genere, rifletté confusamente mentre superava la soglia della dimora del capo villaggio. Ma erano certo paranoie personali, del tutto infondate, a cui il Marengo non avrebbe dato alcun peso.
L'uomo, in ogni caso, non la trattenne: aveva avuto ciò che voleva e non vedeva l'ora di poter tornare al suo pollo. Speranza vana, perché non ebbe nemmeno il tempo di portare a termine la prima deglutizione, che alla porta si presentò il sindaco, con un diavolo per capello, e il desiderio malato di sapere se la vicenda aveva avuto dei risvolti.
«Proprio tu mancavi», affermò il Marengo, con un'ala del volatile che faceva a pugni con i molari.
«Saputo qualcosa?».
«La perpetua ha svuotato il sacco», disse abbandonando di nuovo il piatto, rassegnato all'idea che ormai il suo pasto non avrebbe avuto futuro. «Dice che c'erano due ceffi che facevano visita al prete e probabilmente lo ricattavano».
Per poco il sindaco non bestemmiò, vinto da un'eccitazione improvvisa.
«Come lo ricattavano?».
«Proprio così. C'è da scommetterci».
«Spiegami meglio».
«La perpetua dice che questi due arrivavano in curia e con lui si allontanavano per andare chissà dove».
«Dove andavano?».
«E che ne so? Nessuno lo sa, nemmeno la perpetua».
Il sindaco sbuffò. 
«Un giorno ha detto di averli sentiti reclamare una certa somma».
«Porca miseria. Quale somma?».
«Non me l'ha saputo dire».
«Don Filippo ricattato, non ci posso credere. E da chi?».
«E' questo il problema. Bisognerebbe capire chi fossero i due facinorosi».
«Mai visto nessuno a casa del prete che non conoscessi».
«Come facciamo a saperlo?».
«In che senso?».  
«Mica vivevamo col prete. Se era gente che passava ogni morte di papa, puoi immaginare…».
«Mah».
«In ogni caso lo sapeva la perpetua e, infatti, è venuta a dircelo».
Il Boffalora si fece ombroso. Non seppe che forma dare ai nuovi ragionamenti, ma anche lui si rese conto che avevano finalmente qualcosa in mano di rilevante da cui partire.
«Ho un'idea», disse all'improvviso, «convochiamo una nuova assemblea e proviamo a chiedere se qualche buraghese ha provato a vedere visitatori sospetti a casa di don Filippo negli ultimi tempi…».
«Questo però già lo sappiamo».
«Certo, ma qualcuno potrebbe magari far saltare fuori qualche dettaglio in più. Se lasciavano la curia per andare chissà dove, qualcuno potrebbe averli visti. Non erano fantasmi».
«Non mi parlare di fantasmi».
«Cioè?».
«Lascia stare».

50.

Convocarono l'assemblea pubblica per la sera stessa, dopo aver diffuso la voce che "c'era qualcosa di nuovo su cui spremere le meningi". I buraghesi si presentarono uno a uno, con il contagocce, ancora sudati dal lavoro nei campi. Il Giannino e l'Ambrogino erano in prima fila, ansiosi di sapere cosa bolliva in pentola. La convocazione di una seconda adunanza collettiva lasciava presagire qualcosa di davvero intrigante. Lo fu solo parzialmente, visto che il Marengo debuttò laconicamente, dicendo che non c'erano grandi scoperte da rendere note, ma solo un favore da chiedere a tutti i compaesani.
«Vi chiedo di aprire bene le orecchie e cercare di ricordare tutto ciò che di anomalo avete notato nei pressi della casa di don Filippo da qualche mese a questa parte. Se sono vere le voci che ci sono giunte, potrebbero esserci state persone che volevano male a don Filippo e cercavano ogni pretesto per rendergli la vita difficile».
Si sollevò un mormorio composto e stupito.
«Cosa vuol dire "anomalo"?», reclamò Andrea Brambilla.
Qualcuno lo squadrò con sufficienza.
«Vuol dire "strano", "insolito". Vi sto chiedendo se negli ultimi tempi avete visto qualcosa di strano nei pressi della casa del don, o avete visto lui stesso in situazioni, come dire… non normali».
I buraghesi si guardarono fra loro storditi da un quesito che comprendevano solo in parte. Che razza di domanda era? Nessuno aveva visto niente del genere, don Filippo lo conoscevano tutti e tutti sapevano che era la persona più regolare del mondo, sempre presente, disponibile e sorridente. Cosa avrebbe avuto da nascondere? Anche il Giannino e l'Ambrogino, così coinvolti nella vicenda, condirono la richiesta del saggio del villaggio con piglio indolente.
Da lontano la Lina Gervasoni li osservava divertita, con la solita aria maliziosa che mandò in solluchero l'Ambrogino. Al suo fianco c'era l'Agnese, figlia del Carlo panettiere, che, forse a causa di un calo di zuccheri, patì un leggero capogiro.
«Abbiamo più di un motivo per credere che don Filippo… sia stato assassinato».
Al suono di questa parola si levò un boato di meraviglia.
«Assassinato?», bofonchiarono in molti.
«Santa Maria, come assassinato?», piagnucolarono le donne.
«Non pettegoliamo per niente», disse il sindaco, burberamente, «non c'è nulla di cui scandalizzarci. La faccenda di don Filippo è molto più seria di quel che si può supporre. Vi invitiamo perciò a fare mente locale e, da questo momento in poi, a venire a farci visita, a me o al Marengo, per raccontarci qualunque cosa vi sia capitato di vedere».
«Io ho visto don Filippo mangiare un quintale di ciliegie», disse ironicamente la Marta Bucchi, credendo di fare ridere qualcuno.
Il Marengo la redarguì con uno sguardo feroce.   
«Non siamo qui per divertirci Marta. E non è certo questo il momento per le battute di spirito».

La donna si lasciò scappare una risata isterica che scosse ulteriormente l'animo già turbato dei buraghesi. Qualcuno sibilò che dietro la morte di don Filippo ci potesse essere proprio lei, e qualche suo maledetto sortilegio. 

mercoledì 9 aprile 2014

Ferragosto # 9


41.

«Perpetua», sussurrò il Marengo con gli occhi languidi.
La donna lo guardò avvilita.   
«Se la sentirebbe di chiacchierare un po'?».
La perpetua deglutì percependo un dolore sordo in fondo alla gola.
«Cosa volete che vi dica?».
Singhiozzò.
«Don Filippo non c'è più».
Boffalora propose di entrare in casa.
«Meglio», disse il saggio della comunità.
«Signora, ci ritiriamo per discutere con più calma?», domandò il sindaco.
Giunsero in cucina, lasciando a bocca aperta i tanti paesani indirettamente coinvolti nella mesta conversazione; curiosi di sapere cosa sarebbe saltato fuori da quell'improvvisato incontro.  
«Apra pure la credenza», blaterò la perpetua, rivolgendosi al sindaco con fare autoritario.  
Il Boffalora la guardò stupito, ma non replicò. Raggiunse il mobile e spalancò le ante, trovandosi di fronte una bottiglia di liquore circondata da cadaveri di insetti e strane macchie biancastre. Muffa.
«Era la sua preferita», disse la donna, alludendo a don Filippo, «quasi tutte le sere dopo cena ne beveva un goccetto. E guai se mi arrabbiavo con lui quando lo vedevo alzare un po’ troppo il gomito. Gli piaceva bere e… mangiare».
Era una grappa artigianale che gli arrivava direttamente da un amico prete della bergamasca che aveva intrallazzi con i contadini e non perdeva occasione per soffiare loro qualche prelibatezza. Molto secca e forte, non era indicata per tutti, ma per uno stomaco robusto e smaliziato come quello del pievano, era quanto di meglio potesse capitare per ridare tempra al corpo.
«Servitevi pure».
I due uomini ne furono lieti: benché fosse ancora mattina e di solito a quell'ora non bevessero, percepirono che qualcosa di forte gli avrebbe di sicuro fatto bene. Se non altro gli avrebbe sciolto un po’ la lingua, ora che c'era da cercare di tirare fuori qualcosa di utile dalla serva del prete e che occorreva calibrare le parole più adatte e persuasive per convincere l'interlocutrice a lasciarsi andare.
«I bicchieri?», domandò Boffalora.
«Sotto».
Il sindaco pestò la testa contro lo spigolo dell'anta che lo sovrastava e che aveva dimenticato di chiudere. Imprecò in silenzio.
Si sedettero guardandosi in faccia l'un l'altro come parenti stretti all'indomani della perdita di una persona cara. La perpetua riacquisì il suo colorito naturale, ma aveva ancora gli occhi pesti e lo sguardo assente.   
«Perpetua, non vorremmo disturbarla ma…siamo qui perché le cose potrebbero non essere andate come lei pensa», esordì il Marengo, con grande dolcezza.
La donna strabuzzò gli occhi, come se all'improvviso si fosse accesa nella sua testa una misteriosa lampadina; un luccichio che sarebbe mancato in una persona completamente estranea ai fatti.
«Vede, ci sono delle tracce che ci inducono a pensare che possa essergli accaduto qualcosa di grave, a opera di qualche malintenzionato».
La perpetua rabbrividì e tornò pallida. Cominciò a batterle forte il cuore. I due uomini si fissarono compiacenti, come se già avessero in pugno la soluzione del caso.  
«Cosa vorreste dire?».

42.

«Troppe cose non tornano. Se don Filippo avesse fatto tutto spontaneamente, non avrebbe avuto quel bel gibollo sulla testa, il chiaro segno di una colluttazione avvenuta con qualcuno, prima della morte».
«Quale gibollo?».
«L'ha confermato anche Gandolfo: una botta che abbiamo scoperto vicino alla tempia».
«E il biglietto?».
«Il biglietto, signora… può voler dire tutto e niente. Ci sono persone che sanno bene come inquinare le prove inventandosi di sana pianta tracce fasulle, o indizi che non portano da nessuna parte».
«Eppure quella è la sua calligrafia, la conosco bene».
«Noi non ne siamo così convinti. L'abbiamo osservata attentamente. E se anche fosse, non è escluso che l'abbiano costretto a tracciare quelle parole sotto minaccia».
«Sotto minaccia?».
«Proprio così».
«Non ci posso credere».
«Vede, signora», attaccò il Boffalora, «non c'era motivo perché don Filippo potesse compiere un gesto così sconsiderato. Sappiamo tutti com'era, allegro, spensierato, desideroso di mettersi al servizio dei parrocchiani e servire la comunità, con fare semplice e gioioso. Che motivo avrebbe avuto di farla finita?».
«In realtà non era sempre così come voi lo descrivete», disse la perpetua.
La guardarono incuriositi.
«In che senso?».
«Chi volete che potesse conoscere tanto bene don Filippo, se non io che vivevo nella sua stessa casa?».
«Non lo mettiamo in dubbio. Per questo siamo qui».
«Ci dica, dunque, quali sono le sue perplessità», mugugnò il Marengo.
La perpetua s'irrigidì, dando l'impressione di non volere rivelare troppi particolari del carattere del prete, come se avesse avuto qualcosa da tenere nascosto.
«Semplicemente aveva anche lui i suoi problemi, i suoi pensieri, le sue preoccupazioni, insomma… era un uomo come tutti gli altri, fatto di carne e ossa, come me e voi. Credete che sia facile portare avanti da solo una parrocchia come Burago?».
«Non diciamo questo, ma non vediamo in che modo le vicissitudini legate al paese possano avergli provocato tanto scompiglio da farlo giungere all'insaputa di tutti alla disperazione più nera».
«Come fate a dire che l'hanno ammazzato?».
«Non diciamo niente con certezza», disse il sindaco, «ma non escludiamo che don Filippo possa avere litigato con qualche misteriosa figura, per poi essere gettato già morto, o in agonia, nello stagno».
La donna fu percorsa da un brivido che le procurò un violento capogiro.
«Misericordia! Ma cosa state dicendo?».
«Sappiamo che è orribile», disse il Marengo, «tuttavia, è un'ipotesi che si sta facendo sempre più reale».
«Anche il dottore ha ammesso che uno, da solo, non si procura certe ferite», disse il Boffalora.
«Il Brambillasca non capisce niente».
«Aveva la faccia completamente tumefatta», spiegò il Marengo, «se una persona si getta in uno stagno, non ne esce così conciato. Chiunque sarebbe in grado di constatarlo».  
La conversazione si arrestò. I due uomini terminarono l'ultimo sorso di grappa e zittirono per qualche minuto, non sapendo cos'altro aggiungere. La donna si mise a fissare il pavimento, di nuovo persa in un mondo fatato. Riprese la parola solo quando vide Gaetanino - il micio che bazzicava spesso nella dimora del prete, sapendo di trovare sempre qualche rimasuglio di cibo - saltare in casa dalla finestra e infilarsi in un angolo sotto la credenza.
«Fatemi pensare, ho bisogno di pensare e di stare sola per un po’», disse la perpetua, «se mi viene in mente qualcosa, sarà mia premura comunicarvelo».

43.

Si ritirò nella propria camera, affannata e disidratata e con un nodo alla gola che non ne voleva sapere di sciogliersi. Si sdraiò per qualche istante, ma era troppo agitata per poter riposare come avrebbe voluto. Molti pensieri si accavallarono nella sua mente. Compreso quello del famigerato cocchiere che mezzo ubriaco l'aveva ricondotta a casa. Covava ancora molta rabbia nei suoi riguardi. Le ultime ore trascorse erano state a dir poco rocambolesche, orribili, diverse, devastanti. Le peggiori della sua vita. Mai si era sentita così male, così psicologicamente in balia di forze che non riusciva a mettere fuoco e a domare; mai s'era trovata in una situazione tanto difficile anche dal punto di vista pratico. Ora cosa avrebbe fatto? Non sarebbe potuta rimanere per sempre nella casa di don Filippo… Quale sarebbe stato il suo destino?
L'arrivo del Marengo e del Boffalora, peraltro, non aveva migliorato le cose. La loro visita l'aveva ulteriormente scombussolata. Benché avessero usato toni docili e gentili, aveva notato nel loro modo di fare un atteggiamento troppo spregiudicato, vagamente accusatorio, che non le era andato giù. Non bastava dover fare i conti con la morte di don Filippo, un prete al quale aveva imparato a volere bene, sinceramente, con cui si sentiva in sintonia, come se si fosse trovata a vivere in una famiglia tutta sua; c'era ora anche da dare una risposta agli uomini della legge, come se la colpa della scomparsa del sacerdote potesse in qualche modo essere ricondotta anche a lei. Che idea assurda.
Ma fu un'idea che in qualche modo si insinuò nella sua mente già febbricitante, mandandola definitivamente in tilt. Lasciò il letto e tornò in cucina per rinfrescarsi con un panno umido. Tracannò un bicchiere d'acqua e cominciò a vagare per la casa come una disgraziata. Ogni respiro era una pugnalata al cuore. Le mancava l'aria. Prese l'immaginetta della madonna infilata in un quadretto, e pregò con tutte le sue forze di poter superare presto un simile calvario. Borbottò qualche parola in latino, senza rendersene conto. E chiuse con una sfilza di "ora pro nobis". Inciampò nel Gaetanino diretto verso l'orto. Per poco non gli tirò un calcione sul muso. Aveva voglia di sfogarsi, con qualunque cosa le fosse capitata a tiro. Non era da lei, tuttavia capiva che tante tribolazioni dell'anima non sono certo cose da tutti i giorni e che, dunque, non ci fosse niente di male nell'individuare un modo per giustificarsi.
Dalla porta del retro guadagnò il piccolo spazio verde appannaggio della curia, lo stesso dove chissà quante volte aveva osservato imbarazzatissima il suo prete innaffiare di ammoniaca verbene e nasturzi. Si soffermò sul cielo terso, che incredibilmente le pesò come un macigno. Si mise a strappare alcune erbacce che crescevano rigogliose fra i gambi di iris ormai sfioriti. Fu un gesto che compì senza una vera consapevolezza, come se fosse l'unica cosa che le rimaneva da fare per allevare il dolore: compiere qualcosa di fisico per cercare di non dovere più pensare a niente. In effetti, dopo pochi minuti le sembrò di stare un po’ meglio. Strappò chili di cellulosa con sempre più accanimento, quasi non rendendosi conto del tempo che passava.

44.

Non ci mise molto a rinfrescare i suoi pensieri e a rendersi conto che aveva detto solo in parte ciò che sapeva ai due compaesani giunti in curia per interrogarla. Sapeva di più, ma aveva preferito tacere. Sapeva in particolare di due personaggi che non le erano mai piaciuti, di cui nemmeno sapeva il nome. Arrivavano e con arroganza si accomodavano al tavolo della cucina, in attesa che don Filippo rientrasse da qualche celebrazione. Era praticamente costretta a servigli il caffè, per tenere a bada la boria che li contraddistingueva e che li portava a ridere sbracatamente per le battute più assurde. Vedendoli, don Filippo rabbuiava, il suo volto vestiva una maschera di insofferenza e dava proprio l'impressione di non voler avere a che fare con essi. Ma alla fine cercava in tutti i modi di essere cordiale, chiedendogli come andava, e quale buon vento li avesse portati dalle sue parti. Fingeva, la perpetua non aveva fatto fatica a capirlo. Conosceva molto bene don Filippo e tutto ciò che si celava dietro a ogni suo sguardo.
Li invitava a seguirlo, e poi, chissà dove andavano a imboscarsi. La perpetua non l'aveva mai capito. Non aveva mai compreso, dove andassero a rintanarsi come fuggiaschi pedinati dalla gendarmeria, per un paio d'ore, lontano da tutto e da tutti. L'unica cosa certa è che don Filippo rientrava sconvolto e addolorato. Come se l'ennesima tegola gli fosse precipitata sul capo. La perpetua gli chiedeva cosa ci fosse che non andava, ma ogni volta cercava di glissare l'argomento. Non ne voleva parlare. C'era qualcosa che lo tormentava, era evidente, ma non c'era modo di riuscire a convincerlo ad aprirsi. Nel mezzo di queste elucubrazioni, la perpetua non s'era accorta che ormai s'era fatto tardi, l'imbrunire era alle porte e lei non aveva ancora messo nulla sotto i denti. Sentì un certo languorino, e finalmente si decise a spalancare le ante della credenza per sgranocchiare un po’ di pane malfermo.
Si sentì meglio quasi subito, ma con una stanchezza che non aveva mai provato. Si decise ad andare a letto, ma prima di salire in camera, fece una capatina nel soggiorno per recuperare un cuscino che l'avrebbe aiutata a vincere il bruciore di stomaco che da un po’ di notti la perseguitava. Notò sopra il camino qualcosa di strano e in una manciata di secondi le fu chiaro che sulla mensola mancava qualcosa: il candelabro d'argento. Era forse l'unico elemento di valore dell'intera curia. Omobono Farina l'aveva ricevuto da qualche alto prelato e alla sua scomparsa era rimasto a Burago. La perpetua sbigottì. Ricollegandosi alle nuove tesi del Marengo e di Boffalora, pensò che il prete potesse essere stato assassinato per un furto. Ma era possibile arrivare a tanto per un solo candelabro? C'era in giro molta gente messa male, ma per fregare qualcosa nella casa di un prete, rifletté, non serviva arrivare a commettere un omicidio. Era sulla strada sbagliata, ma non aveva più le energie per reggersi in piedi e non volle pensare ad altro. Salì in fretta e furia le scale, si spogliò e dimenticandosi per la prima volta in vita sua di recitare le orazioni, sprofondò nel sonno.

8 agosto

45.

Verso le tre di notte, nel buio più completo, le parve di udire una voce provenire dalle profondità della terra. Qualcosa di molto simile a un grido che le incusse grande paura. Pensò all'inferno e alle creature che lo popolavano. Credeva nell'inferno, forse più che nel paradiso ed era convinta che gran parte delle persone fosse destinata a bruciare per l'eternità. Viveva perennemente con il timore di compiere qualche peccato, e ogni sua azione era frenata dal dubbio e dall'angoscia. Solo la consapevolezza di poter vivere al fianco di un prete era riuscita a darle un po’ di serenità. Ma ora era tutto finito e il potere degli inferi tornò a incombere su di lei.
Tentò di alzarsi dal letto per correre a bere un bicchiere di acqua, ma fu come se le sue membra fossero immobilizzate. I muscoli e i nervi erano duri come la roccia e anche il respiro sembrava contratto e difficile. Si rese conto di non riuscire a dare una spiegazione a ciò che le stava capitando, e presto ebbe l'impressione di poter morire da un momento all'altro. Eppure era solo l'inizio dell'incubo. Dopo pochi istanti, infatti, ai piedi del letto intravide una figura che conosceva molto bene: era quella di don Filippo. Riconobbe senza esitazione il suo lungo vestito nero, e piano piano anche il suo volto rubicondo. Terrorizzata come non era mai stata nella vita, cercò nuovamente di trovare la forza per alzarsi ma invano. Don Filippo la fissava e lei non riusciva nemmeno a muovere un dito.
A questo punto, però, come per magia il tremore e la paura si smorzarono, a favore di un crescente senso di beatitudine. Comprese di trovarsi in una sorta di limbo metapsichico, dove ogni cosa terrena perdeva di significato, e anche il tempo e lo spazio assumevano sfaccettature originali e lontanissime dalla quotidianità. Don Filippo, sempre immobile come una statua, la salutò con un repentino cenno della mano e le sorrise dolcemente. Era il solito don Filippo di sempre, gaudente e brioso, per il quale da anni lavorava e che poteva ormai dire di conoscere come un figlio. Non seppe quanto durò quella comparsa inaspettata, forse una delle più belle sensazioni di pace che avesse mai provato. Poi don Filippo, così come era arrivato, se ne andò. E solo allora notò che le sue braccia e gambe erano ancora libere di muoversi come volevano.

Le sembrò di risvegliarsi da un sogno tanto terrificante, quanto meraviglioso. E si ritrovò a gestire una gioia inaspettata, autoconvinta del fatto che don Filippo fosse sceso apposta dal paradiso per lei, per rassicurarla e comunicarle che stava bene e che avrebbe vegliato sul suo cammino. Scesa a pianterreno ingollò un paio di bicchieri d'acqua e varcò la soglia del giardino per respirare il clamore della notte. Le venne incontro il Gaetanino, che si strusciò sulle sue gambe piene di vene varicose. Si sentì libera e profondamente felice. Tornò a riposare convinta che l'indomani avrebbe rivelato al Marengo e al Boffalora tutto ciò che sapeva di don Filippo: dei due strani personaggi che lo perseguitavano… e del candelabro scomparso.