13 agosto
86.
Le tracce individuate
dal gruppetto in ricognizione intorno al laghetto dell’omicidio, parlavano fin
troppo chiaro: qualcuno aveva caricato sul carretto un cadavere, per poi farlo
sparire, magari proprio nelle acque melmose dello stagno. Fu impossibile,
certo, per i buraghesi ammettere che quello fosse veramente il sangue di don
Filippo, tuttavia ogni supposizione spingeva proprio in quella direzione.
L’indomani si dettero
appuntamento in piazza della chiesa con un intento ben preciso: sferrare
l’ultimo colpo agli unici sospettati, i due fratelli Greppi di cascina Branca.
Mancavano i tre uomini al lavoro per i campi, ma non l’Ambrogino e il Giannino,
i primi a raggiungere il luogo del puntello.
«Bravi ragazzi, è ora di
dirvi che senza di voi le cose sarebbero andate diversamente, avremmo fatto molta
più fatica, e forse oggi non saremmo qui a un passo dalla soluzione del
mistero», disse il Marengo.
Si sciolsero, quasi, i
due giovani, che non vedevano l’ora di sentirsi dire dal saggio della comunità
che il loro contributo era stato determinante. L’Ambrogino strizzò l’occhio
all’amico, mettendosi in cammino verso Vimercate.
«Non abbiamo altra
scelta, se non quella di interpellare qualcuno della cascina per sapere se
hanno già visto in giro il carretto», disse il Boffalora.
«Speriamo di farcela
prima di sera. Meglio far quadrare subito i conti», disse il Marengo.
All’altezza della
cascina di San Paolo, il Giannino fu vittima di un attacco di raffreddore. Starnutì
per una ventina di volte, e quasi finì per rimanere senza fiato.
«Che diamine ti prende,
ragazzo mio? Come fai ad avere il raffreddore in piena estate?», domandò il Boffalora.
«Conosco altre persone
con questo problema», disse il Marengo, «probabilmente è dovuto alle piante».
«In che senso?», domandò
l’Ambrogino.
«Le piante rilasciano
nell’aria sostanze che in alcuni soggetti provocano malesseri come questo».
«Ma è grave?», chiese il
Giannino, in apprensione.
«Non credo, e comunque
se vorrai, quando questa storia sarà finita, potremo parlarne a Gandolfo. Oggi
con la medicina si possono fare cose miracolose».
Ripresero in silenzio il
cammino e in una ventina di minuti giunsero alle porte di Vimercate. Non fu difficile
scovare il sindaco della cittadina, a quell’ora come sempre a passeggio per il
centro, per assicurarsi che tutto fosse in ordine e non corresse il rischio di
farsi scappare qualche importante pettegolezzo.
«Sindaco», berciò il
Marengo, «proprio lei».
«Oh, Marengo, di nuovo
fra noi. Scoperto qualcosa di interessante?».
Il Marengo spiegò tutto
al Bosi, della lettera, dell’Agnese e del fatto di voler interpellare qualche
abitante di cascina Branca per capire se il carretto trovato apparteneva
davvero al duo sospetto.
«Si può fare, certo, se
lo ritenete opportuno: le macchie di sangue sono sicuramente un indizio
importante che va approfondito. Questa storia dobbiamo chiuderla al più
presto».
Si mise a pensare
all’incredibile coinvolgimento di una ragazzina, fumando con foga il suo
sigaro, mentre gli altri si guardavano intorno per allentare la tensione.
Il Giannino riprese a
starnutire, ma per fortuna, questa volta, non andò oltre i cinque colpi.
«Per l’occasione vorrei
proporvi l’Ortolina».
Era un giudice, da tempo
residente a Vimercate, che, nonostante l’età, aveva ancora il potere di emanare
mandati di cattura.
87.
«Addirittura?», domandò
il Boffalora.
«Con lui siamo sicuri di
poter giocare al meglio le nostre carte».
«Se lo dice lei»,
mugugnò il Boffalora, «sicuramente ne sa più di noi che non siamo così abituati
a storie del genere».
Il Marengo lo squadrò
con sufficienza: ancora non riusciva ad amarlo come avrebbe voluto, nonostante
le tante ore di lavoro trascorse gomito a gomito.
«Cosa suggerisce?»,
chiese il Marengo.
«Beh, andiamo di corsa a
cercarlo. A quest’ora starà di sicuro a parlare di politica al bar del Manzi».
Si trovava nel cuore di
Vimercate, di fianco alla chiesa di Santo Stefano, nei pressi delle famose
carceri, dove nel Medioevo venivano spediti i farabutti della zona. Si diceva
che anche qualche Visconti finì in quelle secrete, dopo avere compiuto qualche
nefandezza. All’epoca non c’era grande rigore morale, e fra le alte cariche del
milanese era normalissimo pugnalarsi alle spalle, non solo metaforicamente e
sfruttare meschinamente persone poco abbienti, che nessuno tutelava, per poter
soddisfare i propri interessi e desideri; comprese innocenti creature colpevoli
solo di avere due occhi belli come il cielo.
«Pazzesca la storia di
don Filippo», disse il sindaco di Vimercate, in marcia verso il ritrovo del
Manzi.
«Non lo dica a noi»,
rispose il Marengo, «non riusciamo ancora a riprenderci dall’accaduto».
«C’è in giro della gente
che non è degna di stare al mondo».
«Lo può dire forte»,
intervenne il Boffalora.
«Ma questa ragazzina è
stata informata di tutto questo macello?».
«Non è stato facile, ma
è andata anche questa», continuò il sindaco di Burago.
«E i suoi genitori?».
«Probabilmente non ne
sanno nulla», disse il Marengo, «a tempo debito provvederemo a informarli. Non
sarà una passeggiata».
«Mi metto anche nei
panni della ragazzina».
«Altroché», disse il
Marengo, «così giovane potrebbe cadere vittima delle malelingue».
«E’ un pericolo che
dobbiamo scongiurare», disse il Boffalora.
«Come?», domandò il
Bosi.
«Vedremo», disse il
Marengo, «adesso è più impellente cercare di chiudere il caso, mettendo al muro
quei due delinquenti, prima che commettano qualche altro delitto. Abbiamo prove
a sufficienza per incastrarli».
Percorso la via
principale del villaggio a passo spedito, come se ad aspettarli ci fosse stato
l'onnipotente in persona, e arrivarono dal Manzi con il fiatone. Osservarono
con puntiglio il ritrovo dall’esterno, elegante per i tempi che correvano, con
due belle piante ai lati dell’ingresso e un’insegna ben disegnata che invitava
a sedersi e a consumare qualcosa. Inquadrarono al volo l’Ortolina seduto a un
tavolo del bar, con un giornale fra le mani e, di fronte, un bicchiere di vino
bianco e a una signora che trattava di zucchine con un oste trafelato e
nervoso.
«Signor Ortolina,
buongiorno», disse il primo cittadino di Vimercate.
Il giudice si stupì di
vedere tanta gente in un sol colpo e per poco non traballò su se stesso come un
boccale di birra appena spillato.
«Sindaco, buongiorno a
lei».
«Questi sono miei
ospiti. Stiamo indagando su un caso spinoso».
Li fissò uno a uno per
sincerarsi di avere a che fare con gente per bene. Si tranquillizzò quando vide
la faccia pulita dei due ragazzi.
«Orbene, sindaco, sono
qui per lei. Ditemi tutto quello che vi serve».
Il primo cittadino di
Vimercate svuotò il sacco, lasciando letteralmente a bocca aperta il famoso rappresentante
della giustizia locale.
88.
«È una faccenda a dir
poco sconvolgente», disse l’Ortolina.
«Può dire giuro»,
mormorò il Bosi.
Il giudice si alzò dalla
sedia, alla quale era appollaiato come un barbagianni a una grondaia
all’imbrunire, e cominciò a ruotare, tarantolato, intorno al gruppetto di
visitatori. Alzava gli occhi al cielo, respirava profondamente, e ogni tanto si
fermava per emettere una specie di rutto sommesso. Data la sua mole, non c’era
da stupirsi se aveva appena finito di divorare qualche succulente pietanza,
benché fosse ancora mattina.
«Possiamo confermare il
mandato di persecuzione... e di arresto», disse l’Ortolina, «ma prima sarebbe
utile che qualcuno confermi la paternità del carretto. Se dovessimo scoprire
che il carretto è proprio quello dei tipi della cascina, siamo a cavallo».
«Altrimenti?», domandò
il Marengo.
L’Ortolina lo guardò
disincantato.
«Altrimenti dobbiamo far
saltare fuori qualche altro indizio».
«Altri indizi non ne
abbiamo, e sarebbe anche il caso di darci una mossa», disse il Boffalora, con
aria insofferente.
«Boffalora», disse il
sindaco di Vimercate, «io e lei rivestiamo lo stesso ruolo, ma sembra che il
caso stia più cuore a me che non a lei, benché riguardi il suo paese».
Raimondo dondolò la
testa, cercando di non dare peso alle parole del collega; ma in cuor suo sapeva
benissimo che aveva ragione: non ne poteva più di questa storia e se fosse
stato per lui sarebbe volentieri tornato a casa per girovagare fra le vie del proprio
borgo, per parlare con i compaesani, affrontando tematiche a lui ben più
congeniali, fossero state anche le solite e stupide trivialità legate a qualche
concittadino che aveva esagerato un po’ con il bere.
«Come potremmo
muoverci?», chiese umilmente il Marengo.
L’Ortolina, ciondolando,
come un otre piena di acquavite, pensò che tanto valeva ripresentarsi alla
cascina Branca, per far visita a qualche vicino dei fratelli indagati, in grado
di confermare le supposizioni del Marengo e dei suoi uomini.
«Sindaco», disse il
giudice, «chi conosce di fidato a cascina Branca?».
Il primo cittadino di
Vimercate pensò rapidamente agli abitanti della piccola frazione di Vimercate e
non ebbe difficoltà a individuare la famiglia che faceva al caso loro. Da anni
vivevano nel vimercatese, erano bravissime persone, timorate di dio, sempre a
disposizione degli ultimi e del prossimo. Vivevano in cascina Branca perché
dopo un rovescio economico, dovuto a un pesante furto, avevano trovato lavoro
solo lì.
«I Banfi», berciò il
Bosi, «più volte ho avuto a che fare con loro e so di per certo che
contribuiranno felicemente alla causa».
«Bene allora», disse il
giudice, «non perdiamo altro tempo e raggiungiamo i nostri amici… non vorrei
che i Greppi se la dessero a gambe».
«Ben detto», blaterò il
Boffalora, «prima partiamo, prima finiamo».
Lo biasimarono anche i
due più giovani.
Si misero in cammino
lasciando il sindaco di Burago nel suo brodo e pensando al modo ideale per poter
incontrare i Banfi senza dare nell’occhio. Trovarono la soluzione ipotizzando di
spedire una sola persona a destinazione, mentre tutti gli altri avrebbero aspettato
dalle parti della cascina San Paolo.
«Ci vado io che li
conosco già bene», disse il sindaco di Vimercate, entusiasta per la
febbricitante situazione, «così se rivedo la Birgahi, saprò cosa
raccontarle per tenere cucita la bocca».
Nessuno obiettò e
l’ultimo capitolo dell'incredibile saga buraghese giunse al via.
89.
Era quasi mezzogiorno
quando il sindaco di Vimercate bussò alla casa dei Banfi. Lo accolse la moglie
di Giuseppe Banfi, in piena tenuta a lavoro, con le maniche rimboccate, e delle
gocce di sugo fresco che pitturavano qua e là il grembiule.
«Sindaco, qual buon
vento».
«Signora, mi faccia
entrare che certi argomenti non possono essere affrontati qui sull’aia».
La donna deglutì
amaramente, non capendo tutta quella fretta; diamine, s'erano appena salutati.
Che voleva da lei il primo cittadino del paese? Le sue visite, del resto, erano così
sporadiche che anche senza tutto quell'affanno, avrebbero comunque suscitato
una certa apprensione. La povera signora provò una paura incondizionata, perché
all'improvviso temette di non avere risolto l’ultima tassazione. Ma si rese
immediatamente conto che il rischio non c'era, perché lei stesa s'era recata
qualche mese prima in centro per risolvere la semestrale incombenza. Le cose
non quadravano. Ci doveva essere dell’altro.
«La prego, sindaco, si
accomodi pure. Gli uomini sono ancora in giro per lavoro, ma può dire a me».
«Proprio di loro avrei
bisogno».
«Oh, beh, allora aspetti
qualche minuto che arriveranno… saranno già in strada, a quest'ora».
La donna invitò il
sindaco a raccontarle qualcosa, ma l’uomo preferì aspettare l’arrivo dei
contadini. Tergiversò parlando del tempo.
«Se andiamo avanti così
brucia tutto».
«Speriamo per
Ferragosto», disse la donna, «la Madonna pregherà per noi».
«Speriamo, tutto il
vimercatese sta patendo una sete senza precedenti. Anche gli animali hanno
iniziato a morire. Una moria terrificante».
«Mi viene in mente il
morbo del 1845».
«Appunto, ci manca solo
quello».
Sentirono l’uscio
aprirsi di colpo, e i due uomini di casa varcare la soglia devastati dal calore
e dalla stanchezza. Quando videro il Bosi strabuzzarono gli occhi increduli,
farneticando mentalmente come aveva fatto pochi istanti prima la signora Banfi.
«Sindaco».
«Buongiorno Banfi, non
faccia quella faccia. Non sono qui per voi, ma...».
«Ma?», chiese il figlio
Calimero, mentre riponeva il cappello su uno spuntone dello spartano
appendiabiti della cucina.
«Ma di un fatto di
cronaca che riguarda Burago».
«Non sarete mica qui per
la faccenda di don Filippo», intervenne la signora Banfi.
«Allora avete saputo
anche voi», disse il sindaco.
«Eccome, non si parla
d’altro. Povero don Filippo, chissà quanti dispiaceri avrà avuto per compiere
un gesto del genere», disse Calimero.
Il primo cittadino di
Vimercate sogghignò.
«Fosse davvero così come
la dipingete voi... non vi ha detto nulla la Biraghi?».
«Parliamo poco con loro,
non corre buon sangue».
«Capisco».
«Ma cosa intende dire
che non è come dipingiamo noi la situazione?», chiese il capofamiglia.
«Adesso non c’è tempo
per spiegarvi ogni cosa, dovete seguirmi».
«Ma sindaco», obiettò la
signora Banfi, «mettete almeno qualcosa sotto i denti».
«Avremo modo di
rifocillarci quando questa faccenda sarà chiusa. Ci sono già delle persone che
ci aspettano».
I due Banfi si guardarono
costernati: fosse stata qualunque altra persona non le avrebbero dato retta, ma
era il Bosi, impossibile far finta di niente.
«D’accordo sindaco»,
disse il Banfi, «anche se non sappiamo cosa ci attende, se può servire a
qualcosa la nostra presenza...».
90.
Si ritrovano con gli
altri poco fuori l'abitato di Vimercate, dalle parti di cascina San Paolo, alle
porte di Burago. I Banfi nel vedere quegli sconosciuti rimasero ancora più
stupiti. A questo punto, però, il Bosi narrò per filo e per segno l’intera
faccenda ai due di cascina Branca, il minimo che potesse fare.
«Avevamo sentito di don
Filippo, ma non pensavamo che in qualche modo potesse essere coinvolta una
famiglia della nostra cascina», disse il Banfi.
«Insomma, la situazione
è decisamente più intricata di quanto si sospettasse all’inizio», disse il
Marengo, dopo essersi presentato. «Don Filippo non è morto per mano sua, ma è
stato brutalmente assassinato. Le prove non mancano, ma abbiamo bisogno di una
vostra conferma».
I Banfi si guardarono
sempre più perplessi, ma ormai rassegnati.
«Abbiamo trovato un
carretto dalle parti dello stagno, e supponiamo che possa essere stato
utilizzato per il trasporto del cadavere di don Filippo, o comunque del suo
corpo ancora agonizzante», andò avanti il Marengo.
«Vi abbiamo interpellato
perché vorremmo che ci aiutaste a identificarlo», precisò il Boffalora.
«Ma di chi dovrebbe
essere questo carretto?», domandò il Calimero.
«Vi dicono niente i
fratelli Greppi?».
«Dio mio!», esclamò il
Banfi, «non vorrete mettermi contro quei brutti ceffi?».
«Non si preoccupi, se le
indagini andranno a buon fine, fra poco tempo se ne staranno al fresco per il
resto dei loro giorni», disse il Bosi.
«I Greppi?», domandò
all’improvviso il Calimero.
«Già», gli disse il Giannino,
al suo fianco nel cammino verso il laghetto.
«E pensare che li ho
incontrati proprio pochi giorni fa... mi volevano vendere un candelabro».
Sentendo queste parole,
i presenti si girarono sbalorditi verso il giovane vimercatese, chiedendosi se avevano
udito correttamente quel che aveva sentenziato.
«Come, scusa?!»,
domandarono all’unisono il Marengo e Boffalora.
Il Calimero quasi si
spaventò.
«Che ho detto di male?».
«Non hai detto nulla di
male, anzi», mugugnò il Marengo, «ma saresti gentile da ripetere quello che hai
detto?».
Il Calimero spalancò gli
occhi incredulo di fronte all’interesse mostrato per la sua ultima
affermazione, che gli pareva del tutto insignificante.
«Ho semplicemente detto
che qualche giorno fa hanno tentato di vendermi un candelabro».
Il Marengo e gli altri
uomini si fissarono conturbati: con questa notizia avevano fatto centro.
«E tu cosa gli hai
risposto?».
«Beh, era d’argento, non
avevo certo i mezzi per poterlo acquistare».
«Incredibile», sussurrò
l’Ambrogino al Giannino, «se lo avessimo saputo prima, avremmo già potuto
incastrarli».
«Questa è proprio
bella», disse il secondo.
Il Marengo diede una
pacca sulla spalla al Calimero che, avendo capito l’importanza della sua
confidenza, si stava gonfiando pieno di orgoglio.
«In realtà, non è finita
qui», aggiunse il ragazzo.
«Che c’è ancora?», gli
chiese il padre, anche lui in qualche modo stupefatto dall’uscita del figlio.
«Dopo averli incontrati,
non so perché, li ho seguiti senza farmi vedere. E ho visto che si dirigevano
verso l’orto abbandonato dei Brambillasca. Lì hanno scavato una buca bella
profonda e hanno seppellito il candelabro».
Il Marengo e il
Boffalora non potevano credere alle loro orecchie. Guardarono il Bosi con
grande soddisfazione. Il cerchio poteva dirsi definitivamente chiuso. Il
carretto sarebbe stata la conferma principe.
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