sabato 2 agosto 2014

Ferragosto # 18

 


13 agosto

86.

Le tracce individuate dal gruppetto in ricognizione intorno al laghetto dell’omicidio, parlavano fin troppo chiaro: qualcuno aveva caricato sul carretto un cadavere, per poi farlo sparire, magari proprio nelle acque melmose dello stagno. Fu impossibile, certo, per i buraghesi ammettere che quello fosse veramente il sangue di don Filippo, tuttavia ogni supposizione spingeva proprio in quella direzione.
L’indomani si dettero appuntamento in piazza della chiesa con un intento ben preciso: sferrare l’ultimo colpo agli unici sospettati, i due fratelli Greppi di cascina Branca. Mancavano i tre uomini al lavoro per i campi, ma non l’Ambrogino e il Giannino, i primi a raggiungere il luogo del puntello.
«Bravi ragazzi, è ora di dirvi che senza di voi le cose sarebbero andate diversamente, avremmo fatto molta più fatica, e forse oggi non saremmo qui a un passo dalla soluzione del mistero», disse il Marengo.
Si sciolsero, quasi, i due giovani, che non vedevano l’ora di sentirsi dire dal saggio della comunità che il loro contributo era stato determinante. L’Ambrogino strizzò l’occhio all’amico, mettendosi in cammino verso Vimercate.  
«Non abbiamo altra scelta, se non quella di interpellare qualcuno della cascina per sapere se hanno già visto in giro il carretto», disse il Boffalora.
«Speriamo di farcela prima di sera. Meglio far quadrare subito i conti», disse il Marengo.
All’altezza della cascina di San Paolo, il Giannino fu vittima di un attacco di raffreddore. Starnutì per una ventina di volte, e quasi finì per rimanere senza fiato.
«Che diamine ti prende, ragazzo mio? Come fai ad avere il raffreddore in piena estate?», domandò  il Boffalora.
«Conosco altre persone con questo problema», disse il Marengo, «probabilmente è dovuto alle piante».
«In che senso?», domandò l’Ambrogino.
«Le piante rilasciano nell’aria sostanze che in alcuni soggetti provocano malesseri come questo».
«Ma è grave?», chiese il Giannino, in apprensione.
«Non credo, e comunque se vorrai, quando questa storia sarà finita, potremo parlarne a Gandolfo. Oggi con la medicina si possono fare cose miracolose».
Ripresero in silenzio il cammino e in una ventina di minuti giunsero alle porte di Vimercate. Non fu difficile scovare il sindaco della cittadina, a quell’ora come sempre a passeggio per il centro, per assicurarsi che tutto fosse in ordine e non corresse il rischio di farsi scappare qualche importante pettegolezzo.
«Sindaco», berciò il Marengo, «proprio lei».
«Oh, Marengo, di nuovo fra noi. Scoperto qualcosa di interessante?».
Il Marengo spiegò tutto al Bosi, della lettera, dell’Agnese e del fatto di voler interpellare qualche abitante di cascina Branca per capire se il carretto trovato apparteneva davvero al duo sospetto.
«Si può fare, certo, se lo ritenete opportuno: le macchie di sangue sono sicuramente un indizio importante che va approfondito. Questa storia dobbiamo chiuderla al più presto».
Si mise a pensare all’incredibile coinvolgimento di una ragazzina, fumando con foga il suo sigaro, mentre gli altri si guardavano intorno per allentare la tensione.
Il Giannino riprese a starnutire, ma per fortuna, questa volta, non andò oltre i cinque colpi.
«Per l’occasione vorrei proporvi l’Ortolina».
Era un giudice, da tempo residente a Vimercate, che, nonostante l’età, aveva ancora il potere di emanare mandati di cattura.

87.

«Addirittura?», domandò il Boffalora.
«Con lui siamo sicuri di poter giocare al meglio le nostre carte». 
«Se lo dice lei», mugugnò il Boffalora, «sicuramente ne sa più di noi che non siamo così abituati a storie del genere».
Il Marengo lo squadrò con sufficienza: ancora non riusciva ad amarlo come avrebbe voluto, nonostante le tante ore di lavoro trascorse gomito a gomito.
«Cosa suggerisce?», chiese il Marengo.
«Beh, andiamo di corsa a cercarlo. A quest’ora starà di sicuro a parlare di politica al bar del Manzi».
Si trovava nel cuore di Vimercate, di fianco alla chiesa di Santo Stefano, nei pressi delle famose carceri, dove nel Medioevo venivano spediti i farabutti della zona. Si diceva che anche qualche Visconti finì in quelle secrete, dopo avere compiuto qualche nefandezza. All’epoca non c’era grande rigore morale, e fra le alte cariche del milanese era normalissimo pugnalarsi alle spalle, non solo metaforicamente e sfruttare meschinamente persone poco abbienti, che nessuno tutelava, per poter soddisfare i propri interessi e desideri; comprese innocenti creature colpevoli solo di avere due occhi belli come il cielo.
«Pazzesca la storia di don Filippo», disse il sindaco di Vimercate, in marcia verso il ritrovo del Manzi.
«Non lo dica a noi», rispose il Marengo, «non riusciamo ancora a riprenderci dall’accaduto».
«C’è in giro della gente che non è degna di stare al mondo».
«Lo può dire forte», intervenne il Boffalora.
«Ma questa ragazzina è stata informata di tutto questo macello?».
«Non è stato facile, ma è andata anche questa», continuò il sindaco di Burago.
«E i suoi genitori?».
«Probabilmente non ne sanno nulla», disse il Marengo, «a tempo debito provvederemo a informarli. Non sarà una passeggiata».
«Mi metto anche nei panni della ragazzina».
«Altroché», disse il Marengo, «così giovane potrebbe cadere vittima delle malelingue».
«E’ un pericolo che dobbiamo scongiurare», disse il Boffalora.
«Come?», domandò il Bosi. 
«Vedremo», disse il Marengo, «adesso è più impellente cercare di chiudere il caso, mettendo al muro quei due delinquenti, prima che commettano qualche altro delitto. Abbiamo prove a sufficienza per incastrarli».
Percorso la via principale del villaggio a passo spedito, come se ad aspettarli ci fosse stato l'onnipotente in persona, e arrivarono dal Manzi con il fiatone. Osservarono con puntiglio il ritrovo dall’esterno, elegante per i tempi che correvano, con due belle piante ai lati dell’ingresso e un’insegna ben disegnata che invitava a sedersi e a consumare qualcosa. Inquadrarono al volo l’Ortolina seduto a un tavolo del bar, con un giornale fra le mani e, di fronte, un bicchiere di vino bianco e a una signora che trattava di zucchine con un oste trafelato e nervoso.
«Signor Ortolina, buongiorno», disse il primo cittadino di Vimercate.
Il giudice si stupì di vedere tanta gente in un sol colpo e per poco non traballò su se stesso come un boccale di birra appena spillato.
«Sindaco, buongiorno a lei».
«Questi sono miei ospiti. Stiamo indagando su un caso spinoso».
Li fissò uno a uno per sincerarsi di avere a che fare con gente per bene. Si tranquillizzò quando vide la faccia pulita dei due ragazzi.
«Orbene, sindaco, sono qui per lei. Ditemi tutto quello che vi serve».
Il primo cittadino di Vimercate svuotò il sacco, lasciando letteralmente a bocca aperta il famoso rappresentante della giustizia locale.

88.

«È una faccenda a dir poco sconvolgente», disse l’Ortolina.
«Può dire giuro», mormorò il Bosi.  
Il giudice si alzò dalla sedia, alla quale era appollaiato come un barbagianni a una grondaia all’imbrunire, e cominciò a ruotare, tarantolato, intorno al gruppetto di visitatori. Alzava gli occhi al cielo, respirava profondamente, e ogni tanto si fermava per emettere una specie di rutto sommesso. Data la sua mole, non c’era da stupirsi se aveva appena finito di divorare qualche succulente pietanza, benché fosse ancora mattina.
«Possiamo confermare il mandato di persecuzione... e di arresto», disse l’Ortolina, «ma prima sarebbe utile che qualcuno confermi la paternità del carretto. Se dovessimo scoprire che il carretto è proprio quello dei tipi della cascina, siamo a cavallo».
«Altrimenti?», domandò il Marengo.
L’Ortolina lo guardò disincantato.
«Altrimenti dobbiamo far saltare fuori qualche altro indizio».
«Altri indizi non ne abbiamo, e sarebbe anche il caso di darci una mossa», disse il Boffalora, con aria insofferente.
«Boffalora», disse il sindaco di Vimercate, «io e lei rivestiamo lo stesso ruolo, ma sembra che il caso stia più cuore a me che non a lei, benché riguardi il suo paese».
Raimondo dondolò la testa, cercando di non dare peso alle parole del collega; ma in cuor suo sapeva benissimo che aveva ragione: non ne poteva più di questa storia e se fosse stato per lui sarebbe volentieri tornato a casa per girovagare fra le vie del proprio borgo, per parlare con i compaesani, affrontando tematiche a lui ben più congeniali, fossero state anche le solite e stupide trivialità legate a qualche concittadino che aveva esagerato un po’ con il bere.
«Come potremmo muoverci?», chiese umilmente il Marengo.
L’Ortolina, ciondolando, come un otre piena di acquavite, pensò che tanto valeva ripresentarsi alla cascina Branca, per far visita a qualche vicino dei fratelli indagati, in grado di confermare le supposizioni del Marengo e dei suoi uomini.
«Sindaco», disse il giudice, «chi conosce di fidato a cascina Branca?».
Il primo cittadino di Vimercate pensò rapidamente agli abitanti della piccola frazione di Vimercate e non ebbe difficoltà a individuare la famiglia che faceva al caso loro. Da anni vivevano nel vimercatese, erano bravissime persone, timorate di dio, sempre a disposizione degli ultimi e del prossimo. Vivevano in cascina Branca perché dopo un rovescio economico, dovuto a un pesante furto, avevano trovato lavoro solo lì.
«I Banfi», berciò il Bosi, «più volte ho avuto a che fare con loro e so di per certo che contribuiranno felicemente alla causa».
«Bene allora», disse il giudice, «non perdiamo altro tempo e raggiungiamo i nostri amici… non vorrei che i Greppi se la dessero a gambe».
«Ben detto», blaterò il Boffalora, «prima partiamo, prima finiamo».
Lo biasimarono anche i due più giovani.
Si misero in cammino lasciando il sindaco di Burago nel suo brodo e pensando al modo ideale per poter incontrare i Banfi senza dare nell’occhio. Trovarono la soluzione ipotizzando di spedire una sola persona a destinazione, mentre tutti gli altri avrebbero aspettato dalle parti della cascina San Paolo.
«Ci vado io che li conosco già bene», disse il sindaco di Vimercate, entusiasta per la febbricitante situazione, «così se rivedo la Birgahi, saprò cosa raccontarle per tenere cucita la bocca».
Nessuno obiettò e l’ultimo capitolo dell'incredibile saga buraghese giunse al via.

89.

Era quasi mezzogiorno quando il sindaco di Vimercate bussò alla casa dei Banfi. Lo accolse la moglie di Giuseppe Banfi, in piena tenuta a lavoro, con le maniche rimboccate, e delle gocce di sugo fresco che pitturavano qua e là il grembiule.
«Sindaco, qual buon vento».
«Signora, mi faccia entrare che certi argomenti non possono essere affrontati qui sull’aia».
La donna deglutì amaramente, non capendo tutta quella fretta; diamine, s'erano appena salutati. Che voleva da lei il primo cittadino del paese?  Le sue visite, del resto, erano così sporadiche che anche senza tutto quell'affanno, avrebbero comunque suscitato una certa apprensione. La povera signora provò una paura incondizionata, perché all'improvviso temette di non avere risolto l’ultima tassazione. Ma si rese immediatamente conto che il rischio non c'era, perché lei stesa s'era recata qualche mese prima in centro per risolvere la semestrale incombenza. Le cose non quadravano. Ci doveva essere dell’altro.
«La prego, sindaco, si accomodi pure. Gli uomini sono ancora in giro per lavoro, ma può dire a me».
«Proprio di loro avrei bisogno».
«Oh, beh, allora aspetti qualche minuto che arriveranno… saranno già in strada, a quest'ora».
La donna invitò il sindaco a raccontarle qualcosa, ma l’uomo preferì aspettare l’arrivo dei contadini. Tergiversò parlando del tempo.
«Se andiamo avanti così brucia tutto».
«Speriamo per Ferragosto», disse la donna, «la Madonna pregherà per noi».
«Speriamo, tutto il vimercatese sta patendo una sete senza precedenti. Anche gli animali hanno iniziato a morire. Una moria terrificante».  
«Mi viene in mente il morbo del 1845».
«Appunto, ci manca solo quello».
Sentirono l’uscio aprirsi di colpo, e i due uomini di casa varcare la soglia devastati dal calore e dalla stanchezza. Quando videro il Bosi strabuzzarono gli occhi increduli, farneticando mentalmente come aveva fatto pochi istanti prima la signora Banfi.
«Sindaco».
«Buongiorno Banfi, non faccia quella faccia. Non sono qui per voi, ma...».
«Ma?», chiese il figlio Calimero, mentre riponeva il cappello su uno spuntone dello spartano appendiabiti della cucina.
«Ma di un fatto di cronaca che riguarda Burago».
«Non sarete mica qui per la faccenda di don Filippo», intervenne la signora Banfi.
«Allora avete saputo anche voi», disse il sindaco.
«Eccome, non si parla d’altro. Povero don Filippo, chissà quanti dispiaceri avrà avuto per compiere un gesto del genere», disse Calimero.
Il primo cittadino di Vimercate sogghignò.
«Fosse davvero così come la dipingete voi... non vi ha detto nulla la Biraghi?».
«Parliamo poco con loro, non corre buon sangue».
«Capisco».
«Ma cosa intende dire che non è come dipingiamo noi la situazione?», chiese il capofamiglia. 
«Adesso non c’è tempo per spiegarvi ogni cosa, dovete seguirmi».
«Ma sindaco», obiettò la signora Banfi, «mettete almeno qualcosa sotto i denti».
«Avremo modo di rifocillarci quando questa faccenda sarà chiusa. Ci sono già delle persone che ci aspettano».
I due Banfi si guardarono costernati: fosse stata qualunque altra persona non le avrebbero dato retta, ma era il Bosi, impossibile far finta di niente.
«D’accordo sindaco», disse il Banfi, «anche se non sappiamo cosa ci attende, se può servire a qualcosa la nostra presenza...».

90.

Si ritrovano con gli altri poco fuori l'abitato di Vimercate, dalle parti di cascina San Paolo, alle porte di Burago. I Banfi nel vedere quegli sconosciuti rimasero ancora più stupiti. A questo punto, però, il Bosi narrò per filo e per segno l’intera faccenda ai due di cascina Branca, il minimo che potesse fare.  
«Avevamo sentito di don Filippo, ma non pensavamo che in qualche modo potesse essere coinvolta una famiglia della nostra cascina», disse il Banfi.
«Insomma, la situazione è decisamente più intricata di quanto si sospettasse all’inizio», disse il Marengo, dopo essersi presentato. «Don Filippo non è morto per mano sua, ma è stato brutalmente assassinato. Le prove non mancano, ma abbiamo bisogno di una vostra conferma».
I Banfi si guardarono sempre più perplessi, ma ormai rassegnati.
«Abbiamo trovato un carretto dalle parti dello stagno, e supponiamo che possa essere stato utilizzato per il trasporto del cadavere di don Filippo, o comunque del suo corpo ancora agonizzante», andò avanti il Marengo.
«Vi abbiamo interpellato perché vorremmo che ci aiutaste a identificarlo», precisò il Boffalora.
«Ma di chi dovrebbe essere questo carretto?», domandò il Calimero.
«Vi dicono niente i fratelli Greppi?».
«Dio mio!», esclamò il Banfi, «non vorrete mettermi contro quei brutti ceffi?».
«Non si preoccupi, se le indagini andranno a buon fine, fra poco tempo se ne staranno al fresco per il resto dei loro giorni», disse il Bosi.
«I Greppi?», domandò all’improvviso il Calimero.
«Già», gli disse il Giannino, al suo fianco nel cammino verso il laghetto.
«E pensare che li ho incontrati proprio pochi giorni fa... mi volevano vendere un candelabro».
Sentendo queste parole, i presenti si girarono sbalorditi verso il giovane vimercatese, chiedendosi se avevano udito correttamente quel che aveva sentenziato.  
«Come, scusa?!», domandarono all’unisono il Marengo e Boffalora.
Il Calimero quasi si spaventò.
«Che ho detto di male?».
«Non hai detto nulla di male, anzi», mugugnò il Marengo, «ma saresti gentile da ripetere quello che hai detto?».
Il Calimero spalancò gli occhi incredulo di fronte all’interesse mostrato per la sua ultima affermazione, che gli pareva del tutto insignificante. 
«Ho semplicemente detto che qualche giorno fa hanno tentato di vendermi un candelabro».
Il Marengo e gli altri uomini si fissarono conturbati: con questa notizia avevano fatto centro.
«E tu cosa gli hai risposto?».
«Beh, era d’argento, non avevo certo i mezzi per poterlo acquistare».
«Incredibile», sussurrò l’Ambrogino al Giannino, «se lo avessimo saputo prima, avremmo già potuto incastrarli».
«Questa è proprio bella», disse il secondo. 
Il Marengo diede una pacca sulla spalla al Calimero che, avendo capito l’importanza della sua confidenza, si stava gonfiando pieno di orgoglio.
«In realtà, non è finita qui», aggiunse il ragazzo.
«Che c’è ancora?», gli chiese il padre, anche lui in qualche modo stupefatto dall’uscita del figlio.
«Dopo averli incontrati, non so perché, li ho seguiti senza farmi vedere. E ho visto che si dirigevano verso l’orto abbandonato dei Brambillasca. Lì hanno scavato una buca bella profonda e hanno seppellito il candelabro».

Il Marengo e il Boffalora non potevano credere alle loro orecchie. Guardarono il Bosi con grande soddisfazione. Il cerchio poteva dirsi definitivamente chiuso. Il carretto sarebbe stata la conferma principe.

Nessun commento:

Posta un commento